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Psicoterapia online ai tempi del Coronavirus: cosa rimane dell’esperienza

Il Covid-19 ha implicato delle scelte nel contesto delle psicoterapie: sospendere le sedute, proseguire vis a vis, o intraprendere degli incontri online.

Di Debora Ferrantini

Pubblicato il 03 Lug. 2020

Può uno spostamento di setting mettere in discussione l’efficacia psicoterapeutica? Non si tratta di stabilire se le terapia via Skype sia giusta o sbagliata, ma se si possa considerare questa modalità percorribile, in funzione del proprio modo di figurare il mondo.

 

…tutte le nostre percezioni attuali sono aperte alla discussione e riconsiderazione (…) persino i più ovvi accadimenti della vita di ogni giorno potrebbero mostrarsi totalmente trasformati se fossimo sufficientemente inventivi da costruirli in maniera diversa. (G.A. Kelly)

 

In tempi di pandemia, alle professioni è richiesto un alto grado di adattabilità: smart working, lezioni on line, psicoterapie via skype. In qualità di psicoterapeuta, formata sulla base della psicologia dei costrutti personali, è stato immediato il ricordo delle prime letture durante gli anni di specializzazione. George Kelly, inventore della PCP, si recò presso le aree rurali del Kansas negli anni ‘30 con la sua Clinica psicologica itinerante, in compagnia di quattro studenti, offrendo colloqui ad adulti e bambini.

Ben altro tipo di spostamento è richiesto a noi terapeuti di oggi: dallo studio alla modalità online. Tale evento ha determinato un cambiamento relativo all’esperienza sia nella vita del cliente che nella vita del terapeuta. Per ragioni relative alle distanze e agli spostamenti, fino ad oggi, le psicoterapie online dipendevano dalle necessità dei clienti. La pandemia, per chi seguiva un percorso in presenza fisica dello psicoterapeuta, ha implicato una scelta: sospendere le sedute, proseguire con gli incontri vis à vis, affacciarsi alla possibilità di una seduta attraverso una videochiamata. Compito dello psicoterapeuta, comprendere il proprio ruolo in questa fase di cambiamento.

Può uno spostamento di setting mettere in discussione l’efficacia psicoterapeutica?

Se intendiamo il setting come un luogo sicuro all’interno del quale si svolga una relazione,

in cui tutto ciò che avviene è confidenziale e distinto dal resto delle normali attività e relazioni interpersonali (Cionini, 2001, p.21),

la psicoterapia via Skype può continuare a garantire un senso di sicurezza e di unicità della relazione. Il terapeuta, laddove scelga di svolgere le sedute all’interno della propria abitazione, ricercherà quel grado di isolamento che gli era consentito dentro lo studio, l’assenza di elementi personali che possano turbare la neutralità del setting. Se intendiamo la relazione terapeutica come un rapporto di partnership fra due persone che si pongono come obiettivo il benessere del cliente, un’alterazione del setting che mantenga lo stesso livello di privacy,  la stessa vivacità della seduta, quel giusto livello di coinvolgimento emotivo, non modifica i fattori principali che rendono possibile la riuscita di una psicoterapia.

Che dire allora di chi ha preferito sospendere le sedute? O di chi abbia scelto gli incontri attraverso la videochiamata pur continuando a prediligere la seduta vis à vis? A quali riflessioni invitano i terapeuti che hanno lamentato una fatica durante questo passaggio?

Le scelte e i vissuti andrebbero guardati non tanto in termini di autocritica, ma all’interno di una possibilità di comprensione. Non si tratta di stabilire se le terapia via Skype sia giusta o sbagliata, ma se si possa considerare questa modalità percorribile, in funzione del proprio modo di figurare il mondo.

Alcuni colleghi potrebbero lamentare il fatto che non solo mancano i corpi – il video, nella postura, nei gesti, nelle espressioni, nei movimenti, li restituisce parzialmente – mancano anche quei passaggi che forse sono propedeutici all’incontro: uscire di casa, viaggiare e pensare alla seduta, vedere i gestori del bar, o i commessi del negozio di fianco prima di suonare il campanello. Qualcuno potrebbe obbiettare che anche se all’interno di una seduta via Skype è possibile stabilire la “giusta distanza” attraverso lo stile registico adottato, è più difficile ricreare quella relazione fra i corpi, fatta di spostamenti, modi di gesticolare, di distanze che assume molti significati nella stanza della terapia. Significati che non permeano necessariamente la mente del terapeuta ad un alto livello di consapevolezza, ma che costituiscono parte importante dell’intero processo terapeutico.

Se è vero che la scelta di mostrare tutto il busto o solo il viso canalizza la comunicazione, quello che emerge forse, è che non mancano i corpi, perché sono riprodotti dal video, manca la relazione tra questi. Le implicazioni della diffusione del virus sull’attività psicoterapeutica sono state numerose. Ciò che ha reso questa esperienza unica infatti è l’improvviso cambiamento di stile di vita di cliente e terapeuta, che al di là delle differenze di età, di genere e di esperienza si sono trovati a vivere una realtà eccezionalmente simile. E hanno vissuto e guardato a quella realtà con occhi uguali e diversi. Se il valore di una psicoterapia si costruisce principalmente su una relazione “ortogonale”, ortogonale perché diversa dalle relazioni precedenti e diversa in un modo specifico che è particolarmente funzionale a quel tipo di persona, allora ciò che risulta fondamentale è mantenere la qualità della relazione indipendentemente dalla scelta effettuata (sospendere gli incontri o continuarli attraverso il video). In un momento storico sociale in cui è minacciato il nostro modo di stare nel mondo e con gli altri è bene che l’alleanza terapeutica non vada incontro a nessun tipo di minaccia. Sarebbe opportuno, invece, che il terapeuta avesse addirittura la possibilità di anticipare la scelta fatta dal cliente sulla base della conoscenza dello stesso, in modo tale da non trovarsi ad essere particolarmente sorpreso.

Sappiamo quanto sia importante per svolgere il mestiere di psicoterapeuti il fatto di avere una vita ricca, in termini di interessi, relazioni significative, curiosità, attività, incontri. Tutto ciò si è reso più difficile durante il lockdown e le persone, terapeuti compresi, si sono impegnate in uno sforzo teso a ricostruire un mondo ricco in tempi rapidi.

Un’altra difficoltà che potrebbe aver accompagnato la vita delle persone è che prima della pandemia molti di noi vivevano affidandosi ad un alternarsi di pensiero logico e pensiero narrativo. L’ansia vissuta, il senso di minaccia, la riduzione del numero di narrazioni (minor numero di contatti, di incontri, di conversazioni, di visioni) potrebbero, nel loro insieme, aver potenziato l’esperienza logica a sfavore di quella narrativa, generando cambiamenti significativi all’interno della vita vissuta: quel giusto avvicendarsi di allentamento e restringimento, di pensiero logico e narrativo colora infatti in modo positivo la qualità dell’esperienza.

Tornando alla relazione terapeutica, non si può non considerare però che le scelte effettuate dai clienti in questa circostanza possono aver dato luce a diverse opportunità: arricchire la conoscenza di sé sulla base della scelta effettuata (perché non mi connetto e quali aspetti di me spiegano questa scelta), sperimentare l’assenza della psicoterapia e restituire un significato alla funzione della stessa nella propria vita, fare invece esperienza di nuovi aspetti di sé nella comunicazione attraverso il video, cogliere nella relazione online caratteristiche interessanti.

Fra le numerose domande: se lo psicoterapeuta fa ricorso all’interpretazione, a un intervento, all’adozione di tecniche, per favorire nel cliente una comprensione di sé che abbia via via un effetto discrepante tale da favorire un movimento, in che modo questo è ancora possibile in assenza dell’intercorporeità? Ci si chiede quindi in che modo sia possibile riprodurre a distanza, chiusi in stanze diverse, quella possibilità di fantasticare il cliente, di visualizzare quelle letture che favoriscono una rinarrazione. Intuizione, coraggio e creatività possono appartenere al terapeuta in un percorso che implica distanza fisica?

In Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia – Il caleidoscopio della conoscenza, Chiari (2016), racconta come dal suo punto di vista il caleidoscopio sia una fra le metafore migliori per rappresentare la complessità della conoscenza. La stessa immagine può rivelarsi utile per spiegare la molteplicità delle strade che la psicoterapia può percorrere in tempi di lockdown, senza perdere i presupposti che la contraddistinguono sul piano teorico e professionale.

 


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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Butt, T. (2009). George Kelly e la psicologia dei costrutti personali. Milano: R. Cortina.
  • Chiari, G. (2016). Il costruttivismo in psicologia e in psicoterapia: il caleidoscopio della conoscenza. Milano: R. Cortina.
  • Cionini, L. (2001). Psicoterapie: modelli a confronto. Roma: Carocci.
  • Kelly, G. A. (2004). La psicologia dei costrutti personali: teoria e personalità. Milano: R. Cortina.
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