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Dalla prevenzione alla promozione del benessere

Promuovere la cultura della salute significa far prendere coscienza al soggetto delle sue scelte e a far sì che salute e benessere diventino stili di vita

Di Santina Micieli

Pubblicato il 03 Lug. 2020

L’attuale concetto di salute comporta il superamento della prevenzione in favore di un’ottica che enfatizza la promozione della salute e la valorizzazione della persona: cultura, scuola e persona sono inscindibili (Guido & Verni, 2006).

 

In tutto il mondo occidentale e quindi anche in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, sono cambiate le condizioni di vita e di benessere; infatti, si è assistito ad un miglioramento del benessere economico, sono aumentate le scoperte della medicina che a livello terapeutico e diagnostico hanno contribuito all’eliminazione di alcune malattie, e c’è stato uno sviluppo di interventi di prevenzione (De Piccoli, 2016).

In pochi anni si è passati da uno stato di salute di tipo arcaico (caratterizzato da un’alta percentuale di malattie infettive e malattie provocate da malnutrizione) ad uno stato di salute di tipo moderno (patologie cardiologiçhe e tumorali, dovute a stili di vita poco sani, tra cui: stress, cattive abitudini alimentari, inquinamento, sedentarietà etc.) (Ibidem).

Il concetto di salute viene definito in due modalità differenti. Secondo la prima definizione, che viene attribuita al modello biomedico, la salute viene considerata un’assenza di malattia, intesa quest’ultima come uno stato di default, che non ammette gradi, oppure essere entro certi limiti di tolleranza.

La seconda definizione, invece, viene attribuita al modello olistico, fa riferimento a concetti positivi, tra cui il concetto di benessere, felicità, raggiungimento dei propri obiettivi, realizzazione del proprio potenziale, non alienazione dal proprio corpo, etc.

In quest’ultimo caso si deve fare riferimento a due visioni diverse, nelle quali il concetto di salute è declinabile in modo positivo.

In primo luogo, il concetto di salute non dev’essere inteso come una mancanza di qualcosa, di solito la malattia, ma deve individuare piuttosto dei requisiti effettivi e operativi della salute.

Ad esempio, essere in salute potrebbe significare essere in grado di compiere svariate attività (lavorare, realizzare i propri scopi vitali, etc).

In secondo luogo ci si può riferire ad una vera e propria concezione positiva, in relazione alla quale la salute rappresenterebbe una situazione di optimum, ovvero un ideale che tiene conto della possibilità di ottimizzare la condizione di un individuo, in relazione non solo alla dimensione biologica, fisiologica, e psicologica, ma anche a fattori eterogenei, quali gli scopi e i valori personali e/o culturali, il ruolo sociale o la prospettiva fenomenologica del soggetto (Morandi Corradini, 2019).

Questa condizione è mutevole, infatti viene rappresentata lungo un continuum che va da uno stato di salute ad uno stato di malattia e il soggetto può avvicinarvisi o allontanarvisi dalle stesse.

Un concetto di salute che è stato ed è oggetto di dibattito è quello espresso nella Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

In questo caso la nozione di salute non solo viene definita facendo riferimento a caratteristiche positive, ma viene anche concepita in un senso ideale: non ci si accontenta di raggiungere un qualche livello minimo o uno stato di default, ma si aspira all’aggettivo completo, al raggiungimento di un buon stato di optimum. Quest’ultima definizione ha portato a diverse critiche, in quanto nessuno potrebbe affermare di essere in salute (Morandi Corradini, 2019).

Anche la psicologia ha dato un contributo per quanto riguarda gli studi sul benessere, in particolare una branca della psicologia: la psicologia positiva. Gli studi si articolano in due diverse prospettive (Ryan & Deci, 2001): la prospettiva edonica e la prospettiva eudaimonica.

La prima analizza il benessere soggettivo (SWB = subjective well-being) e lo riconduce principalmente alla dimensione affettiva (presenza di emozioni positive ed assenza di emozioni negative) e alla soddisfazione di vita (Diener, Kahneman, & Schwarz, 1999).

La seconda prospettiva invece si riferisce al “benessere psicologico” (PWB = psychological well-being) e lo riferisce fondamentalmente all’auto-realizzazione (considerata come attualizzazione delle potenzialità, risorse e predisposizioni individuali), alla costruzione di significati e alla condivisione di obiettivi (Ryff & Keyes, 1995; Keyes & Haidt, 2003).

A partire da questi studi è possibile affermare che la salute non corrisponde al risultato di scelte individuali, separate dal contesto sociale, perché (come affermato in precedenza) la salute non prende in considerazione gli aspetti biomedici, ma raggruppa e coinvolge anche gli aspetti inerenti l’esistenza, richiamando, dunque, le politiche sociali ad intervenire non solo in termini sanitari (De Piccoli, 2016; Sanità, 1986).

Le politiche sociali per intervenire hanno elaborato degli interventi di prevenzione nel contesto sociale (Cristini & Santinello, 2012); per prevenzione si intende l’adozione di una serie di comportamenti per potersi cautelare da un male futuro.

In generale, la prevenzione allude ad ogni attività volta ad impedire pericoli e mali sociali di varia origine (Dionisotti & Bembo, 1966).

Quando si elaborano interventi di prevenzione, da un lato gli interventi sono basati sull’improvvisazione e sulle sensazioni che si sentono in quel momento (senza seguire schemi preordinati); dall’altro, invece, si adotta un atteggiamento di rigido determinismo in cui si pensa che si possa trovare una formula che può essere applicata in diversi contesti, ottenendo gli stessi risultati (Cristini & Santinello, 2012).

Nel primo caso si otterranno interventi che saranno originali e progettati ad hoc, tuttavia si potrebbe correre il rischio di realizzare interventi di scarsa qualità, in termini di efficienza ed efficacia.

Nel secondo caso, tutta l’attenzione sull’utilizzo di un pacchetto di prevenzione preconfezionato e sul rigore metodologico, a prescindere dalle caratteristiche degli attori interessati e del contesto in cui viene realizzato l’intervento; il rischio, in questo caso, è quello di perdere di vista le peculiarità distintive dei soggetti, la realtà di vita e le differenti prospettive e di conseguenza proporre pacchetti di prevenzione che non possono essere realizzati in modo efficace.

Un corretto intervento preventivo dev’essere in grado di mischiare entrambi i due modi di operare: evitare, quindi, l’adozione di metodologie preconfezionate ed utilizzare strategie preventive basate sull’immaginazione ed infine, creare dei programmi ad hoc che si adattino alle necessità locali.

Per creare dei programmi di prevenzione è importante sapere su cosa farla (per esempio, prevenire il consumo di sostanze), le ragioni per cui si intende intervenire e con chi si vuole intervenire (ad esempio con gli insegnanti, i genitori, etc.).

Le ragioni per cui viene intrapreso un progetto di prevenzione sono molteplici: una potrebbe essere dovuta al fatto che spesso i servizi non riescono ad individuare in modo tempestivo ed adeguato i giovani che vivono situazioni di disagio e di malessere (Cristini & Santinello, 2012).

Per avviare gli interventi preventivi, uno dei passi più importanti è quello di individuare i fattori di rischio; ovvero quelle caratteristiche o quelle condizioni che aumentano il rischio di sviluppare un disagio o una problematica.

Tra i fattori di rischio è possibile annoverare:

  • I fattori di rischio ambientali: tutti quegli stimoli ambientali che possono arrecare problematiche;
  • I fattori di rischio individuali o intrapersonali: corrispondono a tutte le caratteristiche di personalità o altre variabili psicologiche che possono aumentare i rischi di mettere in atto comportamenti problematici o far sviluppare dei disagi;
  • I fattori di rischio micro-ambientali: caratteristiche e influenze di contesti in cui l’individuo si trova in contatto indiretto (ad esempio la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari etc.);
  • I fattori di rischio macro-ambientali: caratteristiche della comunità con cui l’individuo è in contatto in modo indiretto, ma che esercita una qualche influenza (ad esempio il quartiere, la città o il Paese, etc.).

Tuttavia la sola prevenzione non è sufficiente per individuare e prevenire i rischi, per cui si è passati al concetto di promozione dei fattori di protezione e delle abilità che sono presenti nell’individuo (Cristini & Santinello, 2012).

L’attuale concetto di salute comporta, infatti, il superamento della prevenzione in favore di un’ottica che enfatizza la promozione della salute e la valorizzazione della persona: cultura, scuola e persona sono inscindibili (Guido & Verni, 2006).

Per promozione si intende un processo attraverso il quale l’individuo è in grado di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla (Sanità, 1986).

Promuovere la cultura della salute significa far prendere coscienza al soggetto delle proprie scelte, aiutarlo a prendere una decisione e a far sì che salute e benessere diventino veri e propri stili di vita (Guido & Verni, 2006).

Tornando alla prima definizione che è stata esposta in precedenza, per fattori di protezione si intendono quelle condizioni o caratteristiche che incrementano le possibilità di adattamento, di mantenere o incrementare uno stato di benessere e di salute e riducono la possibilità di sviluppare un disagio o mettere in atto comportamenti problematici (Cristini & Santinello, 2012).

Tra i fattori di protezione è possibile annoverare:

  • I fattori di protezione ambientali, le persone o le caratteristiche ambientali che possono aiutare l’individuo ad evitare determinati comportamenti;
  • I fattori di protezione individuali, le caratteristiche personologiche o i tratti di personalità che possono aiutare l’individuo ad evitare determinai comportamenti (Cristini & Santinello, 2012).

Prevenzione e promozione sono entrambe utilizzate in ambito psicosociale; tuttavia i due concetti si differenziano. Le principali differenze possono essere ricondotte all’obiettivo che si intende raggiungere con gli interventi, alla definizione di benessere e alla relativa importanza posta ai risultati di sviluppo positivi o negativi.

Gli interventi preventivi intervengono sui fattori di rischio, per ridurre la probabilità che il soggetto sviluppi un disturbo o un comportamento disfunzionale; gli interventi di promozione, invece, aumentano i comportamenti tesi al miglioramento del benessere e non si pongono in modo primario e specifico la prevenzione di un disturbo specifico (Ibidem).

Infine, negli interventi di prevenzione si pone enfasi sui disturbi o problemi che si devono prevenire, ovvero sui cosiddetti risultati di sviluppo negativo. Negli interventi di promozione del benessere e dello sviluppo positivo si pone enfasi sui cosiddetti risultati di sviluppo positivi e sulla condizione di benessere generale (Cristini & Santinello, 2012).

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Cristini, F., & Santinello, M. (2012). Reti di Protezione. Prevenzione del consumo di sostanze e di comportamenti antisociali in adolescenza. Bologna: Franco Angeli.
  • De Piccoli, N. (2016). Salute e qualità della vita nella società del benessere. Prospettive interdisciplinari. Firenze: Carocci.
  • Diener, E., Kahneman, D., & Schwarz, N. (1999). Well-being: The foundations of hedonic psychology. New York: Russell Sage Foundation.
  • Dionisotti, C., & Bembo, P. (1966). Dizionario Biografico degli Italiani, 8. Roma: Treccani.
  • Guido, C., & Verni, G. (2006). Educazione al benessere e nuova professionalità docente Ricerca – Profili – Riflessioni. Bari: Comitato Tecnico Provinciale Educazione alla Salute.
  • Keyes, C. L., & Haidt, J. (2003). Flourishing: Positive psychology and the life well-lived. Washington DC: American Psychological Association.
  • Morandi Corradini, A. (2019). Salute e malattia. In A. Morandi Corradini, Salute, benessere, armonia. Esercizi filosofici (p. 28-30). Milano.
  • Organizzazione mondiale della sanità, 1998. (s.d.).
  • Ryan, R., & Deci, E. (2001). On happiness and human potentials: A review of research on hedonic and eudaimonic well-being. Annual review of psychology, 52, 141-166.
  • Ryff, C. D., & Keyes, C. L. (1995). The structure of psychological well-being revisited. Journal of Personality and Social Psychology, 69, 719-727.
  • Sanità, A. M. (1986). La Carta di Ottawa per la Promozione della Salute. The Ottawa Charter for Health Promotion. Ottawa: The Ottawa Charter for Health Promotion.
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