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Il ruolo dell’immaginazione motoria nei processi di apprendimento

Un training che comprenda anche l'immaginazione motoria rende l'allenamento completo perché stimola tutte le componenti coinvolte nella performance sportiva

Di Giovanni Caproni

Pubblicato il 19 Giu. 2020

Grazie all’immaginazione motoria, dall’inglese “motor imagery”, l’atleta riesce a rappresentarsi mentalmente un movimento senza implementare una risposta motoria. La motor imagery può essere suddivisa in visual imagery e kinaesthetic imagery.

 

L’immaginazione motoria dall’inglese “motor imagery” consiste dal punto di vista dell’atleta di formare una rappresentazione di un movimento senza implementare una risposta motoria. Oggetto di studio e di approfondimento sono state in particolare le varie articolazioni di questo costrutto nel campo dell’apprendimento e del perfezionamento di un atto motorio. La motor imagery (MI) infatti può essere suddivisa, così emerge dalla letteratura, in visual imagery e kinaesthetic imagery.

La prima riguarda la composizione all’interno dell’encefalo, di un’immagine di un gesto motorio che sintetizza gli aspetti visivi della percezione (forma, colore, dimensione, posizione nello spazio, coordinate durante il movimento), la seconda invece riguarda la costituzione di una rappresentazione non visiva sintetizzando aspetti propriocettivi, tattili, viscerali (es. temperatura corporea, battiti cardiaci, sensazione di pesantezza o leggerezza di un arto, contrazione muscolare). Se si va ad indagare e a scavare in profondità, si può notare come i processi di immaginazione così distinti non seguano due vie neuronali completamente svincolate tra loro. E’ vero che nel caso della visual imagery vi è un coinvolgimento maggiore delle aree occipitali e nella kinaesthetic imagery delle aree somatosensoriali, ma diversi studi hanno dimostrato la compresenza di questi due processi in un network in comune. In particolar modo si fa riferimento alla corteccia supplementare motoria e alla corteccia pre-frontale. Questo significa che diverse modalità di rappresentazione di un atto motorio condividono dei network in comune.

Tale risultato è stato il punto di partenza per un’altra serie di ricerche che hanno indagato sulla comparazione tra i meccanismi neuro-fisiologici coinvolti nella MI e su quelli coinvolti durante l’osservazione di un atto motorio. Da queste ricerche emerge come osservazione e immaginazione di un atto motorio coinvolgano aree pressoché sovrapponibili. Questi dati hanno potenzialmente un valore importante per chi si occupa di apprendimento, se si assume poi, come si deduce dalla teoria piagetiana che la base di tutti gli apprendimenti è di natura motoria. Non si può prescindere, quindi, dalla conoscenza delle tappe dello sviluppo dell’immaginazione motoria se si vuole parlare di apprendimento cioè di come utilizzare questo costrutto in maniera fruttifera.

In particolare Mizuguchi (2016) ha perfezionato uno strumento di facile somministrazione nella scuola elementare per i processi di immaginazione motoria nella prima infanzia e in adolescenza. Tale studio prevedeva che alcuni bambini delle scuole elementari dovessero osservare delle immagini ritraenti alcune mani secondo diversi orientamenti (dorsale, palmare) e secondo diverse angolazioni (0°,90°,180°), e in un secondo momento dichiarare se l’immagine ritraeva una mano destra o una mano sinistra. Tale compito, come ha spiegato il ricercatore, presuppone abilità di rotazione mentale di oggetti e quindi la costituzione di veri e propri tracciati del percorso effettuato dalla mano nello spostamento. I risultati hanno dimostrato che prima degli 8 anni di età i bambini effettuavano molti più errori rispetto a quelli di 11 anni di età. Questa fase di pre-adolescenza sembrerebbe il crocevia per lo sviluppo di abilità di immaginazione motoria. L’abilità di immaginazione motoria segue una parabola discendente dopo i 60 anni di età e questo è supportato dalla vasta gamma di studi sull’effetto di accoppiamento bimanuale, in cui viene chiesto di eseguire un gesto con una mano e di immaginare di eseguire un gesto con l’altra mano in maniera sincronizzata, l’incapacità di eseguire il compito si traduce in un’interferenza dei meccanismi di immaginazione sui meccanismi di esecuzione. In particolare i bambini sviluppano precocemente abilità di visual imagery a dispetto della kineasthetic imagery. La seconda abilità immaginativa è strettamente correlata allo sviluppo del sistema limbico e quindi intorno ai 17 anni di età.

Tenendo conto di queste premesse lo studio dell’apprendimento e del perfezionamento di abilità di immaginazione motoria ha trovato terreno fertile soprattutto nel campo della psicologia dello sport. Nel settore sportivo riprendendo i concetti precedentemente esposti, la visual imagery, ovvero la visualizzazione di un atto motorio, è stata suddivisa in Visual Internal Imagery e in Visual External Imagery.

La visual internal imagery fa riferimento alla visualizzazione di un atto motorio in prima persona, quindi l’atleta immagina/visualizza le parti del suo corpo muoversi come se avesse una telecamera sul capo, mantenendo quindi delle coordinate spaziali di tipo egocentrico. La visual external imagery invece fa riferimento alla visualizzazione di un atto motorio in terza persona, quindi l’atleta immagina sé stesso da fuori nell’esecuzione di un atto motorio. Nel secondo caso quindi l’atleta è spettatore di sé stesso. Questa suddivisione è stata innovativa nel campo della ricerca in ambito sportivo, perché i risultati descrivono come gli atleti principianti (e spesso più giovani) siano inclini e più propensi ad utilizzare immagini in terza persona nelle fasi di apprendimento di un nuovo atto motorio e immagini in prima persona nella fase di perfezionamento o consolidamento di un atto motorio. Risultati che sono opposti a quelli dei professionisti che sembrano più concentrati sul “sentire” o percepire quelle sensazioni viscerali e tattili legate ad un atto motorio nelle fasi di apprendimento, quindi utilizzando immagini in prima persona, e viceversa sembrano utilizzare immagini motorie in terza persona nella fase di consolidamento o perfezionamento di un atto motorio. Questo significa che l’atleta più giovane è nelle fasi iniziali concentrato prevalentemente sugli aspetti ecologici dell’apprendimento, per poi familiarizzare e prendere consapevolezza dei cambiamenti personali che intercorrono mentre esegue un gesto. L’atleta professionista, data la vasta gamma di esperienze a cui ha preso parte, conosce alla perfezione il proprio corpo e le sue reazioni e ha imparato a spostare il focus prima su sé stesso nelle fasi di apprendimento, per migliorare la prestazione del gesto singolo, e poi a concentrarsi sugli aspetti ecologici che prevedono l’articolazione dei vari gesti in relazione allo spostamento dell’avversario e/o compagni di squadra.

Sulla base di questi risultati Holmes e Collins (2007) hanno sviluppato il modello PETTLEP per progettare un allenamento basato sull’immaginazione motoria. L’acronimo PETTLEP si riferisce ad alcune caratteristiche che un un allenamento basato sull’immaginazione motoria dovrebbe avere ovvero:

  • Fisica: l’immagine è più efficace quando include tutti i sensi che sarebbero coinvolti e le sensazioni cinestetiche che potrebbero essere vissute durante le prestazioni effettive.
  • Ambientale: è importante che l’ambiente in cui si svolge il processo di immaginazione sia simile all’ambiente reale di esecuzione.
  • Attività: l’attività immaginata deve essere strettamente correlata all’attività effettiva. I partecipanti dovrebbero essere incoraggiati a riportare verbalmente il coinvolgimento fisiologico e comportamentale.
  • Tempistica: l’equivalenza temporale tra movimento immaginato ed eseguito è importante, i tempi di immaginazione e i tempi di esecuzione dovrebbero essere simili per poter accedere alla stessa rappresentazione motoria durante l’immaginazione.
  • Apprendimento: il contenuto delle immagini deve essere adattato alla fase di apprendimento in cui si trova attualmente l’atleta. Per prima cosa quindi un esecutore non esperto dovrà pensare di più alla tecnica, ma nelle fasi successive dell’apprendimento potrà focalizzarsi maggiormente sulla “sensazione” del movimento.
  • Emozione: la persona dovrebbe provare e sperimentare le stesse emozioni associate alla performance, le risposte emotive del performer devono quindi essere incluse nelle immagini.
  • Prospettiva: le immagini in prima persona, soprattutto nelle fasi iniziali, sono preferibili perché sono più simili a ciò che l’atleta vede quando esegue il movimento.

Tale training, se supportato dalla pratica fisica e dall’osservazione costante, rende l’allenamento completo perché va a stimolare tutte le componenti coinvolte in qualsiasi performance sportiva: Immaginazione, Osservazione, Esecuzione.

L’immaginazione motoria consente quindi di apprendere nuovi atti motori e di perfezionare quelli precedentemente appresi ed è alla base della creatività, cioè di quella capacità di formare e combinare rappresentazioni diverse di uno stesso gesto.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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