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Depressione – MCT vs CBT

In uno studio recentissimo sono stati messi a confronto gli esiti della Terapia Metacognitiva (MCT) e della CBT nel trattamento di pazienti con depressione

Di Tommaso Arosio

Pubblicato il 22 Giu. 2020

La depressione è la seconda causa di disabilità a livello mondiale e comporta sofferenza personale, perdita di qualità della vita e rischio di suicidio (Ferrari et al., 2013).

 

Per quanto riguarda il trattamento della depressione, tra le terapie psicologiche disponibili la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT) è la più utilizzata e studiata, con un’efficacia simile agli antidepressivi nel breve periodo e maggiore nei follow-up (Vittengl et al., 2007).

In uno studio recentissimo (Callesen et al., 2020) si è ipotizzato che la Terapia Metacognitiva (MCT; Wells, 2009) – che ha come target i processi di controllo mentale che contribuiscono al mantenimento della sintomatologia depressiva – potesse essere più efficace della CBT nel trattamento della depressione.

Per fare ciò 155 pazienti con diagnosi di Depressione Maggiore (DSM-5, 2013) sono stati coinvolti nello studio: 73 assegnati alla MCT, 82 alla CBT. I trattamenti sono durati fino a 24 sedute da 60 minuti ciascuna, effettuati da psicologi clinici addestrati allo scopo.

Diversi test sono stati sottoposti ai pazienti in tre momenti diversi: prima del trattamento, dopo il trattamento e in un follow-up a 6 mesi dalla fine del trattamento. L’Hamilton Depression Rating Scale (HDRS; Hamilton, 1960), compilato direttamente dal terapeuta, e il Beck Depression Inventory II (BDI-II; Beck et al., 1996), autosomministrato, sono stati utilizzati per la valutazione della gravità della sintomatologia depressiva; il Beck Anxiety Inventory (BAI; Beck et al., 1988) per la misurazione della gravità dell’ansia; il Metacognitive Questionnaire-30 (MCQ-30; Wells & Cartwright-Hatton, 2004), la Negative Beliefs about Rumination Scale (NBRS; Papageorgiou & Wells, 2004), la Positive Beliefs about Rumination Scale (PBRS; Papageorgiou & Wells, 2001) (26), la Dysfunctional Attitude Scale (DAS; Weissman % Beck, 1979) e il Young’s Schema Questionnaire (YSQ; Young, 1998) per la misurazione dei processi di pensiero.

Dai risultati si è riscontrato che non ci sono state differenze post-trattamento nei punteggi dell’HDRS tra MCT e CBT. Differenze che invece si sono presentate nei punteggi del BDI-II, dimostrando la superiorità dell’MCT per quanto riguarda i punteggi sulla sintomatologia depressiva, sia nel momento appena successivo al trattamento, sia nel follow-up di 6 mesi dopo.

I due gruppi MCT e CBT non hanno mostrato differenze per quanto riguarda l’ansia esperita, né nel post-trattmento, né nel follow-up.

L’MCT si è inoltre dimostrata più efficace della CBT in entrambi i checkpoint post-trattamento e follow-up nei punteggi riguardanti gli aspetti processuali e le credenze metacognitive (MCQ, NBRS, PBRS, DAS), a eccezione della YSQ, per la quale non si sono evidenziate differenze significative.

Altro dato importante a livello clinico è che il 74% dei pazienti sottoposti alla MCT soddisfaceva i criteri per un recupero sintomatologico (basato sulla BDI-II) sia nel post-trattamento, sia nel follow-up; i pazienti sottoposti alla CBT si sono fermati al 52% (nel post-trattamento) e al 56% nel follow-up. Questi ultimi dati, in linea con la letteratura (Wells et al., 2009; Jordan et al., 2014; Jarrett & Vittengl, 2016), sottolineano la maggiore efficacia della MCT rispetto alla CBT nel trattamento della depressione e riaprono il dibattito sulla miglior efficacia terapeutica per quanto riguarda questo disturbo.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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