Al fine di sviluppare e valutare trattamenti psicologici efficaci per il Binge Eating Disorder, è importante essere in grado di misurare in modo affidabile le caratteristiche sottostanti lo sviluppo e il mantenimento del disturbo.
Alice Covolan – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Mestre
II binge eating, come già è stato scritto in diversi articoli, si manifesta in episodi di alimentazione incontrollata, ciò significa mangiare una quantità di cibo oggettivamente grande in un periodo di tempo discreto, il tutto accompagnato da un senso di perdita di controllo. Nel BED, e spesso in altri disturbi alimentari, gli episodi di abbuffate sono associati a senso di colpa, disgusto, angoscia marcata e/o umore basso. Gli studi finora fatti negli Stati Uniti e in Australia hanno riscontrato una prevalenza di circa 1-1.5% per la Bulimia Nervosa (BN), 1.5-1.6% per il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (BED), 0.4-0.5% per l’Anoressia Nervosa (AN) e 3.2% per Altri Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione con Specificazione OSFED. La prevalenza di ricorrenti abbuffate nella comunità generale è stata compresa tra il 7,2% e il 13%, ed è previsto un futuro aumento nel corso degli anni.
Nel tentativo di comprendere meglio il complesso sintomo del disturbo alimentare di binge eating, in letteratura sono stati proposti numerosi modelli psicologici per il binge eating, molti dei quali focalizzati sul ruolo del limite di quantità alimentare, sulla scarsa autostima, sulla scarsa tolleranza alla sofferenza, su una sopravvalutazione del proprio peso corporeo e della propria forma, e sulle specifiche metacognizioni che invalidano la persona con binge eating. È perciò particolarmente importante valutare e riconoscere le convinzioni metacognitive che stanno alla base dello sviluppo e del mantenimento del binge eating, affinché il trattamento psicologico possa essere utile ed efficace nel tempo.
Credenze metacognitive principali
Cooper, Wells e Todd (2008) identificano tre tipi principali di convinzioni metacognitive che agiscono insieme per mantenere il binge eating: credenze positive, negative e permissive sul cibo. Secondo questo modello, un episodio di alimentazione incontrollata è scatenato da un evento angosciante che attiva una convinzione negativa sul sé come persona, come ad esempio: “non sono amabile” o “sono un fallimento”. L’attivazione di queste credenze negative su di sé è accompagnata da sentimenti di ansia, depressione o senso di colpa. Il modello propone che gli individui affetti da BED, comincino ad abbuffarsi come mezzo per far fronte a queste spiacevoli emozioni e che l’abbuffata riduca l’intensità degli stati emotivi a breve termine, il che rafforza ulteriormente le convinzioni positive riguardanti l’alimentazione. Le convinzioni positive riguardano i benefici percepiti del binge eating, in particolare nel ridurre il disagio emotivo (ad esempio: “mangiare mi aiuta a far fronte ai sentimenti negativi”). Cooper et al. (2008) descrivono un conflitto vissuto da coloro che hanno credenze positive e avversive riguardo al cibo, come “mangiare mi aiuterà a farcela, ma mangiare mi farà anche ingrassare”. Questo conflitto causa ulteriore angoscia. Di conseguenza, le credenze permissive e le credenze negative (“sono senza controllo”) sul mangiare si sviluppano come mezzo per tentare di ridurre questo disagio. Le convinzioni permissive sono quelle che permettono all’individuo di iniziare o continuare un episodio di abbuffate, ma non affrontano le convinzioni sulla propria capacità di controllare le pulsioni di abbuffarsi (per esempio: “mi merito di avere un momento di piacere come un’abbuffata”). Le convinzioni negative (“sono senza controllo”), riguardano l’incapacità percepita dall’individuo di controllarsi in termini di resistenza al cibo (oggetto desiderato) e mangiare (e / o smettere di mangiare) una volta iniziato un episodio di abbuffate (ad esempio: “una volta che inizio a mangiare non posso smettere”). L’attivazione di convinzioni permissive e credenze negative innescano episodi di binge: permettono alla persona di iniziare un’abbuffata e / o di sentirsi incapace di evitare di iniziare un’abbuffata. A sua volta, l’atto del binge eating attiva ulteriormente auto-credenze negative (ad esempio: “io sono debole”) e pensieri avversivi sul mangiare (ad esempio: “diventerò grasso”), che portano ad ulteriori episodi di abbuffata. Il ciclo viene ulteriormente rafforzato quando i comportamenti di abbuffata riattivano e / o rinforzano ulteriormente le convinzioni positive e permissive, e le convinzioni negative sul non controllo dell’atto di mangiare abbuffandosi. Pertanto, Cooper et al. (2008) suggeriscono che sono la combinazione e l’interazione delle convinzioni fondamentali (auto-credenze negative) e i tre tipi di credenze metacognitive (convinzioni positive, permissive e negative sul mangiare) a mantenere il comportamento di abbuffate.
EBQ-18 Autovalutazione delle credenze metacognitive positive, negative e permissive
Nei recenti studi di Burton et al. (2018), The revised short-form of the Eating Beliefs Questionnaire: Measuring positive, negative, and permissive beliefs about binge eating e Beliefs about Binge Eating: Psychometric Properties of the Eating Beliefs Questionnaire (EBQ-18) in Eating Disorder, Obese, and Community Samples, i ricercatori indagano le credenze metacognitive che stanno alla base del binge eating, utilizzando il questionario sulle credenze alimentari (EBQ), clinicamente testato, il quale indaga diciotto voci sull’alimentazione (EBQ-18) ed è suddiviso nelle tre sottoscale (credenze negative, positive e credenze permissive sul mangiare). Lo strumento è basato sulla teoria metacognitiva e sul modello cognitivo.
Le diciotto credenze principali sono:
- Non sono in grado di controllare i miei impulsi di mangiare
- Una volta che inizio a mangiare non riesco a smettere
- Non ho forza di volontà in relazione al cibo
- Non riesco a controllare la mia alimentazione perché sono debole
- Se non controllo me stesso non smetterei mai di mangiare
- Non c’è nulla che io possa fare per smettere di mangiare
- Mangiare significa che non devo pensare a cose negative
- Mangiare aiuta a controllare le mie emozioni
- Mangiare mantiene i miei sentimenti ad un livello tollerabile
- Mangiare mi aiuta ad affrontare pensieri negativi
- Mangiare mi aiuta a far fronte ai sentimenti negativi
- Mangiare è il mio modo migliore di far fronte a sentimenti indesiderati
- L’abbuffata è qualcosa che posso avere per me stesso
- Mi merito di avere un piacere come le abbuffate
- Sono d’accordo nell’avere una bella esperienza nelle abbuffate
- Bingeing mi permette di avere qualcosa di carino per me stesso
- Non farà differenza se mangio di più
- Mi piace abbuffarmi
Tali convinzioni metacognitive riguardanti il cibo e il pensiero alimentare sono rilevanti per il mantenimento del comportamento alimentare incontrollato e convergono con i sintomi del disturbo alimentare, della regolazione emotiva, dell’umore e dell’ansia. La valutazione delle credenze che fa l’EBQ è utile e preziosa sia per i clinici che per i ricercatori che desiderano misurare le cognizioni di mantenimento chiave, e come queste si spostano nel corso dell’intervento con individui che mangiano in modo incontrollato.
Credenza di desiderio
Lo studio di Spada et al. (2016) indaga come le metacognizioni negative sul pensiero desiderante predicano la gravità del binge eating nelle donne. Inoltre hanno verificato le possibili connessioni con l’età, l’indice di massa corporea auto-riferito (BMI), l’umore negativo, le credenze alimentari irrazionali e il craving (la voglia di..), dimostrando che le metacognizioni negative sul pensiero desiderante predicono la gravità del binge eating. Perché le metacognizioni negative sul pensiero desiderante dovrebbero essere un predittore della gravità del binge eating? La spiegazione probabile, in linea con la comprensione teorica esistente e con risultati empirici, è che tali metacognizioni guidino la perseveranza del pensiero desiderante (Caselli & Spada, 2015). In altre parole, l’attivazione di queste metacognizioni segnala che non vi è alcuna possibilità di controllare attivamente le intrusioni legate al pensiero desiderante (MDTQ-2) o alla cessazione del pensiero desiderante (MDTQ-1). Questo probabilmente porterà alla perseveranza del pensiero desiderante, all’escalation di craving e al conseguente sentimento negativo, poiché l’obiettivo desiderato (mangiare) viene ripetutamente elaborato ma non raggiunto, avendo l’opzione di mangiare come via principale per ottenere l’autoregolazione emotiva (Caselli & Spada, 2010; 2011; Spada, Caselli & Wells, 2013; Spada, Caselli, Nikčević & Wells, 2015). A sostegno di questa visione, vi sono risultati che associano la psicopatologia con le metacognizioni sull’incontrollabilità dei processi di pensiero (come ruminazione e rimuginio), che rappresentano i fattori fondamentali nella previsione del disagio psicologico e della ricaduta dopo il trattamento (Wells, 2013).
La valutazione delle credenze metacognitive negative sul pensiero desiderante di cibo può avere utilità e riscontro in ambito clinico. L’evidenza suggerisce che, sebbene la CBT sia un trattamento efficace, i tassi di recidiva rimangono moderatamente alti (ad esempio Brown & Keel, 2012). Il modello CBT focalizza il trattamento sul cambiamento delle credenze principali e sul loro contenuto (core belifes, credenze sull’autostima e credenze irrazionali sul cibo), nonché sull’estrema moderazione della dieta. Il trattamento delle metacognizioni, invece, si rivolge ad un gruppo di credenze di ordine superiore (metacognizioni) coinvolto nel controllo e nella regolazione della cognizione (Wells, 2013). In particolare, affrontando le metacognizioni dell’incontrollabilità del pensiero desiderante, si può raggiungere una nuova dimensione di comprensione dei meccanismi che guidano l’escalation di craving, gli impulsi per il cibo e conseguentemente la frequenza di abbuffate. Gli interventi potrebbero anche mirare attivamente all’interruzione del pensiero sul desiderio e modificare le metacognizioni associate. Questo si potrebbe fare sostenendo il paziente ad individuare la propria elaborazione metacognitiva, ottenendo un controllo flessibile sull’attenzione e sullo stile di pensiero, e sviluppando nuovi piani di elaborazione. L’intervento avviene attraverso l’applicazione delle Tecniche di Terapia Metacognitiva come Training Attentivo (ATT), Detached Mindfulness, Rifocalizzazione dell’Attenzione Situazionale (Wells, 2009), così come i Compiti Visuospaziali (May, Andrade, Panabokke e Kavanagh, 2010), che possono aiutare a migliorare l’attenzione e la flessibilità cognitiva generale e l’elaborazione delle credenze metacognitive, che controllano il pensiero desiderante e la sua perseveranza.
Metacognizione e funzioni esecutive
Quattropani et al. (2016) ci invitano a porre attenzione sulle funzioni esecutive del paziente e i bisogni psicologici, utili al trattamento metacognitivo. Gli autori infatti hanno esplorato l’associazione tra metacognizioni, funzionamento esecutivo, bisogni psicologici e comportamento alimentare. I risultati di un numero crescente di studi hanno suggerito un legame tra obesità, scarso rendimento cognitivo e deficit nel funzionamento esecutivo (Sorensen, Sonne-Holm, Christensen e Kreiner, 1982). Studi precedenti si sono concentrati sull’associazione tra processi metacognitivi disfunzionali e disturbi alimentari come l’Anoressia Nervosa – AN (Cooper, Grocutt, Deepak & Bailey, 2007), la Bulimia Nervosa – BN (Sassaroli et al., 2007) o il Binge Eating Disorder – BED (Harltey, 2013), confermandone la correlazione.
Nello specifico, Quattropani et al. (2016) hanno individuato delle correlazioni tra le metacognizioni disfunzionali come: convinzioni negative sulla preoccupazione riguardo all’incontrollabilità e al pericolo, la necessità di controllare certi tipi di pensieri, un disadattamento psicologico generale e conseguenti problemi affettivi, presenti nelle persone con un livello di istruzione basso ed elevati valori di rischio di disturbo alimentare. Questa differenza, dicono gli autori, potrebbe essere dovuta a un funzionamento metacognitivo ed esecutivo leggermente compromesso e ipotizzano inoltre che questa condizione potrebbe non solo avere influito sulle prestazioni accademiche e sul successo, ma potrebbe avere un ruolo centrale nel comportamento alimentare, riducendo il controllo nell’assunzione di cibo.