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Analisi psicologica della prima stagione di Freud su Netflix

Freud è un thriller ambientato nell’epoca vittoriana, una nuova serie di Netflix controversa, con molte sfaccettature ricca di riferimenti alla psicoanalisi

Di Francesco Santaniello

Pubblicato il 21 Mag. 2020

Aggiornato il 27 Mag. 2020 15:57

Dopo una grande aspettativa da parte dei cultori delle discipline psicologiche, finalmente il 23 Marzo del corrente anno 2020, Netflix ha lanciato la prima stagione di Freud.

 

Attenzione! L’articolo può contenere spoiler

Sono bastati solo pochissimi giorni per far sì che la serie riscuotesse un notevole successo mediatico. L’opinione pubblica ne è risultata notevolmente sconvolta, in quanto in tantissimi non hanno riscontrato nelle scene della serie alcun riferimento alla psicoanalisi, rimanendo delusi, amareggiati e indignati dall’accostamento “pericoloso” tra psicologia e occultismo.

Da psicologo e appassionato del pensiero freudiano ho ritenuto necessario intervenire nelle amplissime discussioni che si sono sviluppate sul web – in gran parte negative – per esprimere la mia opinione personale ed offrire una chiave di lettura psicologica di tutta la serie. Per la prima volta sono intervenuto in prima persona con un video su YouTube, proponendo una dettagliata analisi delle fasi salienti di questa serie. Il riscontro è stato notevole, come hanno dimostrato le diverse migliaia di persone che hanno visto il mio video commentandolo e condividendolo.

La maggior parte di coloro che hanno guardato la serie, si è principalmente chiesta se tutto ciò che in essa viene rappresentato corrispondesse a fatti reali e vissuti dal grande psicoanalista, oppure se si trattasse di totale finzione. Come per ogni cosa la verità sta nel mezzo: virtus media res est, come dicevano i latini. Le premesse sono chiare ed evidenti: non è un documentario né un biopic, ma un thriller spietato e cruento ambientato nell’epoca vittoriana, con scene sanguinarie non adatte ad un pubblico particolarmente sensibile. È una serie controversa con molte sfaccettature, su questo non ci sono dubbi, ma – Freud – è un titolo riuscitissimo, ed ora vedremo perché.

Il passo fondamentale, prima di prendere visione della serie, è quello di contestualizzare l’epoca in cui tutta la storia si svolge. Il modo in cui la vicenda si intreccia darà origine al genere, che è totalmente fuori dagli schemi, allo stesso modo in cui la psicoanalisi era completamente fuori dagli schemi del suo tempo. Ad esaltare il carattere romantico, nel senso di irrazionale, troviamo una pellicola dai colori cupi, bui, decadenti, angoscianti, mai vivaci o pienamente saturi, con personaggi realmente esistiti quali Arthur Schnitzler (scrittore e amico di Freud, scrisse “Fuga nelle tenebre”, “La Signorina Else” e il celebre “Doppio Sogno”, da cui prenderà spunto Kubrick per “Eyes wide shut”) e Joseph Breuer (anch’egli collega e amico di Sigmund, con il quale condivise gran parte degli studi sull’ipnosi e l’isteria), che ne impreziosiscono inevitabilmente la trama.

I personaggi; la trama

Molti si sono posti domande sulla scelta dei tre personaggi principali su cui è stata impostata tutta la vicenda: cosa c’entrano una medium e un ispettore con Freud? Qual è il senso di tutto ciò? Queste le domande più ricorrenti tra coloro che hanno visto la serie.

Da un’attenta valutazione traspare come proprio attraverso la scelta di questi personaggi vengano espresse le caratteristiche polimorfe dell’animo umano, che sembrano rispecchiare un parallelismo assai evidente con la seconda topica freudiana. Ed è così che tutto assume un senso. Fleur Salomé, la medium, ha tutte le peculiarità dell’Es, quell’istanza intrapsichica che rappresenta la voce interiore dell’animo umano, l’altro che è dentro di noi. L’Es contiene quelle spinte pulsionali di carattere erotico, aggressive ed auto-distruttive, che vanno a costituire quel crogiuolo di eccitamenti ribollenti sempre pronti ad emergere senza controllo. Ed ecco che l’ispettore Kiss assume tutte le sembianze del Super-io freudiano, ossia quell’istanza intrapsichica che si origina dall’interiorizzazione dei comportamenti, dei divieti, dei valori, che per un certo periodo verrà identificato anche come Ideale dell’Io, proprio a sottintendere il potere di ingiunzione morale. Rappresenta quella sorta di autorità interna, quel poliziotto interiore, che esprime giudizi sui comportamenti umani. A questo punto il personaggio di Freud, nelle vesti di un giovane medico trentenne, avrà un ruolo chiave in questa dicotomia di istanze intrapsichiche, investendo di fatto la funzione dell’Io, che ha il compito di mediare pulsioni ed esigenze sociali: l’Es e il Super-io, le turbe psichiche di Fleur che impregnano il suo mondo interiore e la realtà esterna.

Tutte e tre le istanze vanno a costituire la struttura dell’apparato psichico, così come i tre personaggi vanno a dare senso, di fatto, a tutta la struttura della trama.

Siamo nella Vienna del 1886, Sigmund ha appena 30 anni, e manifesta il desiderio di diventare famoso con le sue ricerche sull’ipnosi condotte sulle donne isteriche. È un giovane studioso alla ricerca del successo, e suo grande desiderio è quello di essere riconosciuto dalla comunità scientifica del momento. Per questo è interessato a far conoscere ai suoi rappresentanti le sue idee e le sue teorie circa l’esistenza dell’inconscio. Lo si nota perfettamente nel monologo iniziale – che verrà ripreso anche nel settimo episodio – proprio per rimarcare la potenza della terza ferita narcisistica inferta all’umanità proprio da Freud: “L’Io non è padrone in casa propria”.

Io sono una casa. È buio al mio interno.
La mia coscienza è una luce solitaria. Una candela al vento.
Tremola, da una parte e dall’altra. Tutto il resto è avvolto nell’ombra.
Tutto il resto giace nell’inconscio. Ma le altre stanze ci sono: nicchie, corridoi, scale, porte. Sono sempre lì.
Tutto ciò che vive dentro di essa, tutto ciò che vaga dentro di essa, è sempre lì.
Continua a vivere e operare all’interno della casa che sono io.
L’istinto, l’eros, i tabù, i pensieri proibiti, i desideri proibiti.
Tutti quei ricordi che non vogliamo vedere in piena luce, che abbiamo spinto via dalla luce, continuano a ballare intorno a noi nel buio.
Ci tormentano e ci pungono; ci perseguitano, bisbigliano.
Ci fanno paura, ci provocano sofferenza: ci fanno diventare isterici.

Ne emerge una forte personalità che si dimostra pronta a qualsiasi cosa, anche con un pizzico di incoscienza, pur di raggiungere lo scopo sopra citato. Eppure il protagonista, proprio come il vero Freud, non è un personaggio esente da ombre. In primis appare la sua dipendenza dalla cocaina, che quasi va a disturbare e nauseare chi tanto apprezza il ruolo esemplare che egli ha avuto nel mondo della psicologia. È qui necessaria una doverosa nota storica per chi non è del mestiere. Sì, Freud, faceva uso e abuso di cocaina. Non è un mistero, giacché lui stesso osannava i miracolosi effetti di questa sostanza in “Uber Coca” (“Sulla Cocaina”), probabilmente il saggio più controverso di tutta la sua carriera, scritto proprio nel 1884. La usava anche con i suoi pazienti, come rimedio per la depressione e per “sbloccarli” in alcune fasi dell’analisi. Tuttavia non era consapevole di tutti gli effetti collaterali e devastanti di questa sostanza, che scoprirà più tardi sulla pelle del suo caro amico Fliess. Di fatto, come ribadito prima, Freud aveva all’epoca solo 30 anni e i germogli primordiali della psicoanalisi non erano ancora pronti per sbocciare.

I titoli dei vari episodi parlano chiaro: Isteria, Trauma, Sonnambulismo, Totem e Tabù, Desiderio, Regressione, Catarsi e Rimozione. Sono tutte parole che suonano come un richiamo alla sua teoria freudiana. Ed in effetti ogni tema viene affrontato mettendo in risalto le trasmutazioni caratteriali dei vari personaggi che si incontrano man mano nel corso della trama. Possiamo notare una preponderanza di visioni oniriche, occulte, demoniache e terrificanti, tipiche del linguaggio dei sogni. Ciò che è latente nella mente dei personaggi finisce inevitabilmente per diventare manifesto in maniera incontrollata: è questa la prerogativa del desiderio inconscio. Ciò che desideriamo profondamente, come ribadito fino all’ultimo episodio della serie, non può essere represso per sempre: così le emozioni legate all’invidia, la gelosia, la vergogna, finiscono in qualche modo per emergere, talvolta nel peggiore dei modi.

Le varie vicende che si susseguono appaiono come manifestazioni esternalizzate delle pulsioni più remote dell’animo umano: aggressività e sessualità emergono senza “censura”, proprio per sottolineare la caratteristica multiforme della potenza dell’inconscio teorizzato da Sigmund Freud.

Tuttavia, come accennato, questi episodi non possono essere letti singolarmente, ma al contrario, ognuno di essi, in un climax ascendente, rappresenta un passo che porta verso la maturazione di quella che diverrà in futuro la nascita della psicoanalisi. Chi ha visto la serie per intero avrà notato come il settimo episodio abbia il potere di illuminare tutte le ombre che si celavano negli episodi precedenti, in quanto rende eccellentemente omaggio a gran parte della teorizzazione freudiana, attraverso un’alternanza di scene che richiamano i vari stadi del suo pensiero: dal concetto di interiorizzazione alla catarsi, da cui prende nome l’episodio stesso. Viene evidenziata così la nascita del complesso edipico, rappresentata dall’uccisione del padre e dalla fruizione della madre, e la messa in atto delle difese psichiche quali introiezione, sublimazione, identificazione, proiezione, negazione e regressione, la cui veloce alternanza può suscitare quel senso di smarrimento e di perplessità tra gli spettatori.

Come nella realtà, viene messa in risalto l’autoanalisi. E proprio qui il personaggio di Sigmund si ritroverà a fare i conti con le proprie ombre, i propri demoni, le proprie paure, i propri desideri indicibili; è attraverso questo processo che egli diverrà cosciente del suo inconscio, ponendo le basi per quella che sarà la più grande teoria sull’animo umano. Traspaiono quindi, in assoluta limpidezza, tutti gli elementi del pensiero freudiano.

A questo punto emerge lo scopo della pellicola: utilizzare una storia romanzata, sia pure inventata e impregnata di elementi esoterici, per esprimere in maniera sottile ed assolutamente innovativa l’evoluzione della teoria psicoanalitica.

Gli omicidi

Anche questi, se vengono analizzati attentamente, fanno apparire chiaro che la simbologia freudiana è stata impiegata nel corso di tutta la pellicola: con accorgimenti minuziosi sono stati nascosti elementi che richiamano la sua teoria anche all’interno dei crimini più violenti ed efferati. D’altronde stiamo parlando di un thriller. Nel momento in cui questi elementi vengono fuori, appare evidente come il tutto faccia parte di un disegno appositamente orchestrato per rendere affascinante e misterioso il thriller ai più, ed allo stesso tempo soddisfare inconsciamente i profondi conoscitori delle teorie psicoanalitiche.

Analizziamo con attenzione il primo omicidio: una donna viene trovata senza vita nel suo letto con tagli ai genitali. Tutto diventa chiaro quando l’ispettore Kiss urla verso Georg: “Coltello vagina! Coltello vagina!”. Il coltello è il simbolo fallico per eccellenza, mentre la vagina richiama la concezione primordiale dell’isteria, di cui erano vittime soggetti femminili, i cui sintomi si credeva fossero legati ad uno spostamento dell’utero. Che l’intero paradigma riguardo la psicoanalisi prendesse di mira gli organi genitali è evidente: angoscia di castrazione e invidia penis, sono solo alcuni esempi, i più lampanti.

Per non parlare degli omicidi successivi, o tentati. Troviamo la bambina Clara, sorella di Leopold, a rischio soffocamento con una falange nella trachea. E ancora Leopold si toglierà la vita, non prima di aver scritto strani simboli con la propria falange insanguinata, in una posizione supina che richiama la posizione fetale. Vi dice qualcosa la suzione? Altro richiamo freudiano incredibile, lungimirante, di una delle fasi più importanti della sua teoria: la fase orale.

Ma visto che abbiamo accennato all’oralità, cosa dire dello stile omicida del tenore? Questa volta vi è la messa in risalto di un altro fenomeno, il cannibalismo, altro tema che ritroviamo in tutta la sua crudezza in una delle pietre miliari della psicoanalisi: Totem e Tabù. In quest’opera pubblicata nel 1913, Freud immagina l’esistenza di un’orda primitiva in cui i figli sono sottoposti all’autorità di un padre dominatore che esercita il suo dominio su tutte le donne della comunità. Essi si ribellano contro l’autorità paterna, uccidendone e divorandone il corpo, dopodiché faranno lo stesso con le donne del gruppo, nel tentativo di distruggere i ricordi del predominio paterno. Alla fantasia della suzione, presente in Leopold, si sostituisce la fantasia del divoramento: tutto ciò porta alla maturazione della fase sadico-orale in cui l’oggetto che si vuole divorare è contemporaneamente fonte di piacere e di desiderio.

Non si può non citare il rituale esoterico del settimo episodio nella casa dei conti Szápáry, in cui si respira un clima totalmente insano, demoniaco, dove compaiono in assoluta limpidezza le rappresentazioni pulsionali di Eros e Thanatos, amore e morte, sesso e disintegrazione, in tutta la loro ambivalenza, mentre Fleur uccide – e al contempo sessualizza – la sua ennesima vittima. È a questo punto che si raggiunge l’apice del pensiero freudiano.

Curiosità

Molte sono le parole chiave che troviamo all’interno della serie. Una di queste è Táltos, che riguarda la mitologia ungherese: si tratta di una sorta di sciamano che ha il compito particolare di curare nel corpo e nell’anima i membri della sua comunità. Senza troppa fantasia si può notare come questa parola suoni in maniera molto simile alla parola Thánatos; in effetti nella serie viene messo sempre in evidenza l’emergere di un’indole di morte e di distruzione, di ritorno all’inorganico, di espletamento della propria malvagità e dei propri mostri interiori.

L’ispettore Kiss, che come detto può assumere le sembianze del Super-io freudiano, esalta tutte le caratteristiche dell’unilateralizzazione psichica. Appare evidente, infatti, la sua struttura rigida, a causa della quale il suo sintomo finisce inevitabilmente per riportarlo indietro nel tempo e a fare i conti con il suo passato: sono presenti continui flashback che evidenziano una storia personale fin troppo tragica, la cui crudezza riporta Kiss ad irrigidire la sua struttura psichica sempre di più. Deplorevole verso qualunque forma di ingiustizia sociale, egli ne risponde con ferocia e rabbia, fino al momento di catarsi finale in cui lotterà con la sua parte nascosta. Tutto ciò lo condurrà a compiere una scelta, ricordandoci che il Super-io, se diventa estremamente rigido, inflessibile e vietante, può essere esso stesso, a tutti gli effetti, nocivo per la salute mentale e, proprio come succede all’ispettore, alla fine la sua parte soppressa prenderà il sopravvento.

Nelle varie scene Freud viene chiamato con tutti i suoi nomi: Sigmund, Sigismund e Schlomo. Nella realtà gli ultimi due sono i suoi veri nomi, mentre quello che noi tutti conosciamo, Sigmund, è quello che sceglierà in seguito per se stesso. Durante la visione si possono notare le sue mani sempre sporche. Ma di cosa? Possiamo ipotizzare che quelle macchie siano prodotte dalla china con cui veniva realizzato l’inchiostro. Infatti, nella realtà, non possiamo non notare la sconfinata produzione della sua opera omnia e dei vari carteggi che sono giunti fino a noi.

L’amico di Freud che si vede sin dalle scene iniziali è, come già accennato, Arthur Schnitzler. Nella pellicola sono grandi amici, entrambi medici. Nella casa dei conti Szápáry, Arthur viene presentato come poeta, mentre egli stesso presenta l’amico Sigmund come neurologo, alienista e ribelle. Vi è un accenno anche all’ultimo romanzo di Arthur; tuttavia il primo romanzo che lui abbia scritto risale al 1888 (“L’avventura della sua vita”), mentre il film sembra ambientato un po’ prima. Non è la prima discordanza storica, né sarà l’ultima. Ma il grande lavoro del genio creativo cinematografico sta proprio nell’aver accostato queste due figure nonostante loro non si fossero conosciuti nella realtà se non prima del 1922, dopo ben 15 anni circa di rapporto epistolare; Freud stesso confesserà a Schnitzler di non avergli mai proposto di incontrarsi di persona per il suo segreto timore verso di lui, in quanto lo considerava il suo “doppio”, il suo sosia. Gradevole quindi l’esperimento di accostarli sin da giovani nella pellicola, mettendo in risalto la loro complicità.

Theodor Meynert, è stato realmente direttore del Dipartimento di psichiatria dell’Università di Vienna e fu docente all’università. Sigmund Freud e Joseph Breuer furono realmente entrambi suoi studenti.

Durante il terzo episodio Freud, intento a scrivere una lettera all’amata Martha Bernays, le si rivolge chiamandola col nome di Fleur, la medium che diverrà sua paziente. Questo fatto è un chiaro richiamo al concetto di lapsus freudiano, considerato nella sua teoria come una delle manifestazioni più ribelli del nostro inconscio.

All’inizio del quarto episodio, durante il sogno di Freud, mentre egli lotta col suo istinto di conservazione, la madre si strofina le mani sporche di terra dicendo: “Veniamo tutti dalla terra e alla terra torneremo”. È la condizione primaria del concetto di Thanatos, ossia il ritorno all’inorganico.

Un altro aneddoto curioso compare durante il quinto episodio, quando Freud uscendo dal suo appartamento si ferma ad osservare una donna che porta al guinzaglio uno splendido esemplare di chow chow. A questo punto esclama tra sé e sé: “Un chow chow!”. Ebbene, forse non tutti sanno che Freud ebbe davvero una splendida cagnolina di questa razza di nome Jofi, che sarà sempre presente alle future sedute di analisi del suo padrone.

Considerazioni personali

Secondo il mio personale giudizio la pellicola della serie “Freud”, che molti si aspettavano probabilmente come un lavoro biografico, appartiene invece al genere “thriller-fantastico” con elementi horror all’interno di un’ambientazione vittoriana strepitosa dove costumi, personaggi, scene e musiche sono perfettamente in sintonia con lo scopo del film. Le scene che riguardano i fenomeni paranormali potrebbero avere una diversa interpretazione: riflettono riuscitissime visioni oniriche che richiamano le peggiori fantasie inconsce dell’animo umano. Vienna, grande capitale della cultura, ospita un esperimento cinematografico che reputo riuscitissimo. Probabilmente per la prima volta siamo in presenza di un genere nuovo: non è un thriller psicologico, ma un thriller impregnato di psicologia. A mio avviso, se fossero stati applicati tutti gli accorgimenti storici del caso, la serie sarebbe potuta risultare pedante e noiosa, togliendo di per sé il piacere di scoprire le numerosissime “perle psicoanalitiche” che arricchiscono la sceneggiatura.

Considero inoltre una scelta coraggiosa, quella del regista, di presentare un Freud che si distolga quasi totalmente dall’idea cosciente che abbiamo di lui, presentandolo in tutta la sua umanità: il personaggio richiama a tutti gli effetti l’idea del “perturbante”. È una serie talmente controversa che è riuscita a sconvolgere i puritani della psicologia. Ma teniamo a mente che a quell’epoca anche le idee freudiane sconvolsero l’opinione pubblica. Chissà, che lo scopo del regista, non fosse proprio quello di farci provare in modo viscerale il senso di inquietudine che Freud ha provato prima di noi, a suo tempo.

Molti lamentano il surreale utilizzo dell’ipnosi nelle varie scene, ridicolizzando questo fenomeno a causa dei tempi brevissimi con cui viene praticata, non considerando affatto i tempi cinematografici che sono assai diversi dalla realtà. Inoltre la pellicola ha inevitabilmente riportato alla luce lo scopo goliardico dell’ipnosi, che in quell’epoca veniva utilizzata come fenomeno d’attrazione negli spettacoli e nelle feste private. Inoltre l’occultismo, nel periodo in cui visse Freud, era un fenomeno spesso accostato alla psicologia. Il padre della psicoanalisi fu molto interessato a questi fenomeni, anche perché in quel periodo essi erano oggetto di studio da parte di numerosi autori, seppur chiamati con nomi diversi: ricerca psichica in Francia, metapsichica nei Paesi Anglosassoni e okkultismus in Germania. Oggi conosciamo questo fenomeno col nome di parapsicologia. Nel 1911 divenne membro della Society for Psychical Research, un’istituzione inglese di grande prestigio a carattere scientifico in cui venivano studiati la trasmissione del pensiero e la telepatia, la previsione del futuro e le visioni a distanza. Dopo il 1921 Freud studiò questi fenomeni e, anche se non li accettò pienamente, non li rifiutò: un esempio lo troviamo nel suo saggio intitolato “Psicoanalisi e telepatia”, dove pur essendo contrario a considerare l’esistenza dei fenomeni occulti, finì col non evitarli.

Come non citare il lavoro di quello che sarebbe diventato un altro gigante della psicologia analitica? L’allora giovane talentuoso – seppur sconosciuto – Carl Gustav Jung nel 1902 si laureò in medicina proprio con una tesi intitolata “Psicologia e patologia dei cosiddetti fenomeni occulti”.

Ma quello che reputo ancora più importante, e qui va il mio elogio per questa produzione di eccellenza, è l’aver provato a trasmettere un importante messaggio. Freud, nel corso della sua esistenza, cercò sempre di dare dignità al disagio psichico dei propri pazienti. La stessa dignità che il Sigmund della serie tenta in tutti i modi di comunicare, mettendosi contro i grandi dogmi della psichiatria, dei colleghi, delle evidenze scientifiche del tempo, proprio come nella realtà Freud si batté a lungo per dare un senso alle nevrosi, all’isteria e alle varie forme di psicopatologia.

Personalmente non posso che attendere la seconda stagione di questa serie per vedere la maturazione di questo grande esperimento cinematografico.

Voto 10 e lode.

 

ANALISI PSICOLOGICA DELLA SERIE NETFLIX “FREUD” – GUARDA IL VIDEO:

 

 

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