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Storia critica della psicoterapia di Renato Foschi e Marco Innamorati – Recensione del libro

'Storia critica della psicoterapia' racconta il viaggio della psicoterapia nel tempo e nello spazio, la sua nascita, il suo sviluppo e le sue modificazioni

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 02 Apr. 2020

Aggiornato il 06 Apr. 2020 15:10

Storia critica della psicoterapia è un testo che prepara e spinge a non aderire ai protocolli in modo rigido, a non dimenticare che anche se si chiamano psicoterapie in realtà la prassi terapeutica è una ed ha l’obiettivo di curare la sofferenza umana.

 

Ci siamo passati tutti. L’esame di storia della psicologia.

Si studiava Piaget. Bowlby. Freud. Winnicott. Fairbain. Pavlov. E via dicendo. Quindi il cognitivismo. Il costruttivismo. La psicoanalisi. La fenomenologia. L’attaccamentismo. Insomma. Grandi nomi. Grandi correnti.

Poi nel 2020 pubblicano Storia critica della psicoterapia, pensi a quell’esame e ti ritrovi a pensare che forse è l’ennesima carrellata di nomi, autori, teorie.

Invece, sorprendentemente, quello che emerge fin dalle prime pagine è che il punto di vista è completamente diverso. E il fulcro di tutto è la parola ‘critica’. La psicoterapia è raccontata a partire dai contesti storico-culturali in una operazione di ‘relativizzazione transdisciplinare’ in cui vengono analizzate le condizioni che hanno determinato la nascita, lo sviluppo, la modificazione e il superamento di una psicoterapia e dell’altra. Culture diverse, epoche storiche, prospettive epistemologiche che si sono susseguite nel tempo. Ma non solo. La psicoterapia si è evoluta anche grazie all’intreccio di differenti correnti come la medicina, la psichiatria, l’antropologia, ma ugualmente la filosofia, l’arte, la storia delle religioni, le neuroscienze e via dicendo.

Per anticipare questo progetto, cioè per offrire un background completo della psicoterapia, Lingiardi nella prefazione parla di ‘visione della psicoterapia con le radici all’insù, non dettata dall’innamoramento (o peggio dal pregiudizio) per questa o quella teoria, ma da uno spirito appunto critico, che non può separare la figura dallo sfondo…’. Tale affermazione risuona potentemente in un momento storico in cui di psicoterapie ne esistono a iosa, modelli e trattamenti, alcuni integrati (alcuni bene altri meno bene) che spesso confondono i terapeuti già formati e, ancor di più, quelli in formazione che si contendono prove di efficacia trovando pace nel così detto ‘verdetto del Dodo’. Ci ritroviamo terapie, protocolli, manuali che si abbattono di fronte alla necessità di cucire l’intervento sulla singola persona, costringendoci a mettere da parte le prescrizioni. Questa consapevolezza dovrebbe essere rafforzata e testi come questo insegnano a farlo. Preparano e spingono a non aderire ai protocolli in modo rigido, a non dimenticare che anche se si chiamano psicoterapie in realtà la prassi terapeutica è una ed ha l’obiettivo di curare la sofferenza umana. Ricordano come ogni terapeuta dovrebbe avere la responsabilità di conoscere da dove deriva il proprio orientamento teorico, dove esso è nato e maturato, in quali contesti, senza perdere di vista i restanti. Ed ogni terapeuta dovrebbe avere il dovere di conoscere la storia della propria professione e di come essa si sia costruita. Una storia che comprende intrecci socio-culturali e politici complessi.

Ad esempio, si conosce molto poco della ‘preistoria’ della psicoterapia scientifica (ma per chi volesse colmare questa lacuna in questo testo viene descritto il percorso che si origina dalle primissime concezioni di malattia e sofferenza e dalle prime pratiche di cura già nella Mesopotamia del 2100 a.C., passando per la filosofia greca, per il medioevo, il rinascimento e l’influsso del cristianesimo) oppure poco altro oltre la psicoterapia occidentale (come la tradizione francese rintracciabile in Charcot, Ribot, Janet o tedesca) e quella anglosassone.

Ci siamo mai chiesi, però, in che modo la filosofia dell’Ottocento faceva da sfondo alle prime riflessioni sull’inconscio? Chi sono i freudomarxisti? La loro idea di cura della nevrosi partiva dalla considerazione che curare il singolo significava interessarsi anche e soprattutto alla società. Come quest’attenzione ha portato alla nascita della Scuola di Francoforte che utilizzava la psicoanalisi come indagine della società contemporanea? In che modo Marx o Nietzsche piuttosto che Schopenhauer hanno influenzato la psicologia dinamica rappresentata in Freud, Jung, Adler? Tutti noi conosciamo Freud, certamente. Le sue teorie, la sua psicoanalisi. Pochi sanno che mentre nel 1900 vedeva la luce L’interpretazione dei sogni, a Berna, Dubois gettava le basi della psicosomatica e perfino del cognitivismo rappresentato da Ellis (che esplode poi con Beck), applicando per la prima volta una forma di psicoterapia basata sulla decostruzione delle credenze dei pazienti. Ed era solo la fine Ottocento e l’inizio del Novecento. Anni in cui Watson, sulla base del pensiero di Pavlov in Russia, ha dato vita negli Stati Uniti alle prime applicazioni del comportamentismo, esploso poi dagli anni Sessanta. E ancora, cosa accadeva alla psicoterapia rappresentata dai terapeuti che si trovavano a vivere gli anni della seconda guerra mondiale in rapporto, ad esempio, al trauma nei veterani di guerra?

Inoltre, sempre poco si sa di come le pratiche di cura mentale si siano sviluppate a partire dai primi esorcismi, magnetismi, il ruolo del sonnambulismo e dell’ipnotismo e di come esse si siano letteralmente trasformate le une nelle altre. Interessante la duplice versione di queste prassi: sia per esplorare e sperimentare che per trattare, non molto lontane dall’utilizzo di alcune tecniche terapeutiche moderne che, difatti, possono essere utilizzate con scopi e obiettivi diversi, in tempi diversi. Infine, in che modo è nata l’attenzione alla ‘relazione’ durante l’utilizzo di questi primi interventi di cura che sembravano essere eseguiti come un compito e subiti passivamente dal paziente?

Trasversalmente a tutto lo sviluppo della psicoterapia individuale, scopriamo la nascita delle terapie di gruppo, infantile, di coppia o familiare. Quando? E ad opera di chi? E perché? A quale necessità rispondevano? Com’è nata la crisi della psicoanalisi che ha spianato la strada alle altre forme di psicoterapia fino a giungere dalla terza ondata della psicoterapia cognitiva e alle terapie integrative che puntano ad un lavoro aperto e transdisciplinare, ad hoc per il singolo paziente e basate sulla relazione?

Viviamo in un mondo che evolve a rapidità estreme, le strutture mentali e neuronali vanno di pari passo ad esse e questo vale per le menti dei terapeuti quanto per quelle dei pazienti. Viviamo in un mondo globale, internazionale, in cui culture e abitudini si fondono; curiamo pazienti che si trovano al buio mentre noi siamo in piena luce, collegati via Skype e questo è contesto, è cultura, è società. È alla base della nostra esistenza. Non può essere dimenticato mentre si fa terapia. La transdisciplinarietà fa evolvere il modo di fare terapia. E noi evolviamo con essa. L’ultimo capitolo dal titolo Dal passato al futuro, infatti, si focalizza sulla modernità liquida, sull’avvento di internet e dei social, sui processi di globalizzazione che hanno assorbito anche la psicoterapia, sulla moltiplicazione dei modelli di intervento che abbiamo a disposizione oggi, molti di essi focalizzati sul principio della evidence based. Inoltre, le discipline si sono fuse sempre di più tra di esse, come l’affascinante unione delle neuroscienze alla psicoterapia, e aderiscono alle esigenze della modernità. Basti pensare a come oggi i pazienti cerchino terapie brevi ed efficaci per rispondere alle risorse economiche limitate.

Non dimentichiamo quindi di avere sempre una visione ‘critica’ non nel senso comune del termine, non per indicare cosa non va, ma nel senso di ‘relatività’.

Questo viaggio della psicoterapia nel tempo e nello spazio, in modo strutturato ed ordinato, possibile grazie alla lettura di questo testo, è affascinante. Certo, è un libro che non prende posizione, come chiarito fin dalle prime pagine. Come d’altronde è giusto che sia per una rassegna storico-critica. Non è uno di quei libri da leggere nelle pause tra un paziente e l’altro né in metro. Richiede tempo. È una lettura che deve maturare. Ed il lettore deve pensare, collegare, ricordare. Accedere alla memoria di eventi storici. Però l’impegno vale tutto. Mi sembra quasi di essere più consapevole di cosa vuol dire essere una terapeuta nel 2020 dopo aver saputo cosa è accaduto alla prassi psicoterapica fin dal tempo 0.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Foschi R. & Innamorati M. (2020). Storia critica della psicoterapia. Cortina.
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