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L’interindividualità ai tempi del COVID-19: tra limite e risorse

Cosa accade se l’essere umano viene costretto per un lungo lasso di tempo a separarsi, se non altro fisicamente, dall’altro?

Di Silvia Maggi, Andrea Tarsia

Pubblicato il 25 Mar. 2020

Aggiornato il 27 Apr. 2020 15:25

La relazione assume un valore imprescindibile e un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’essere umano, dal momento che l’individualità non può ontologicamente prescindere dalla relazionalità. Quali possono essere le conseguenze della privazione di libertà che gli individui vivono oggi? Quale ruolo possono avere gli strumenti tecnologici a nostra disposizione?

 

 Osservando il fenomeno che in questa complessa fase storica sta coinvolgendo l’essere umano, appare interessante analizzarlo e coglierne gli aspetti più salienti facendo riferimento al concetto di sistema dinamico, da un punto di vista psicologico.

Questo lavoro si propone di approfondire tre aspetti: il concetto di relazione, il concetto di limite per l’essere umano e la presenza di internet in questo particolare e complesso momento che mette a dura prova la quotidianità di ogni persona, con un’osservazione sulla comunicazione digitale. Risulta utile, pertanto, procedere gradualmente.

Cos’è un sistema dinamico?

Un sistema dinamico è un sistema che si modifica al passare del tempo indipendentemente dalla propria natura (Hollenstein, 2012; Thelen & Smith, 2006). Altresì, è possibile definirlo come un insieme di elementi in reciproca interazione.

Le proprietà di questo tipo di sistema sono state indagate da quella che viene definita Teoria dei sistemi dinamici (Hollenstein, 2012; Thelen & Smith, 2006). Quest’ultima fu elaborata da Ludwig Von Bertalanffy con riferimento ai principi della filosofia della scienza, cibernetica, fisica, biologia, psicologia della Gestalt, teoria dell’informazione e ingegneria (Gelo, 2014). Tale teoria considera il mondo strutturato secondo le proprietà di un sistema ed è proprio attraverso l’etimologia di questa parola, derivante dal greco σύστημα (complesso), a sua volta proveniente dal verbo συνιστημι (porre insieme), che è possibile riferirsi al sistema come ad un insieme di elementi interdipendenti, anche definito sistema dinamico complesso aperto. Così concepito, il sistema è riconducibile ad un’organizzazione formata da elementi in reciproca interazione che mutano al passare del tempo definendo, in questo modo, la dinamicità degli stessi, caratterizzati da una struttura gerarchicamente organizzata che ne determina la complessità e che scambiano informazione con l’ambiente, risultando dunque aperti.

Dalle riflessioni appena effettuate è possibile dedurre che l’essere umano si può considerare come il sistema complesso e dinamico per eccellenza. Da un punto di vista interpersonale è possibile osservarlo in una visione di continuo scambio con l’altro da sé, realizzato all’interno della relazione instaurata con quest’ultimo. Ne emerge quindi un ragionamento forse un po’ in controtendenza con le considerazioni degli ultimi giorni, molte delle quali mettono in risalto riflessioni tutte incentrate sul concetto del saper bastare a se stessi, e che non considerano adeguatamente le difficoltà che l’essere umano in quanto essere-in-relazione, potrebbe fisiologicamente sperimentare.

In base a queste premesse, quali possono essere le possibili conseguenze della privazione di libertà che gli individui vivono oggi, causata dal virus esploso che ha coinvolto migliaia di persone in poche settimane?

La relazione assume un valore imprescindibile e un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’essere umano, dal momento che l’individualità non può ontologicamente prescindere dalla relazionalità. È dunque facilmente intuibile la difficoltà a cui può andare incontro la persona che vive l’allontanamento dall’altro, e dalla propria già da sempre conosciuta dimensione interindividuale, con il rischio di sperimentare eventuali rotture e squilibri emotivi. Tuttavia, appare al contempo utile evidenziare le risorse sulle quali il soggetto può fare affidamento in momenti di elevata criticità come questo.

Ad esempio, appare calzante il concetto di “accomodamento” formulato da Jean Piaget (psicologo, biologo, pedagogista e filosofo svizzero) col quale, quest’ultimo, identificava un cambiamento degli schemi da sempre utilizzati dall’individuo, a favore di una ristrutturazione di questi ultimi, con la conseguente possibilità di fare esperienza di una maggiore flessibilità. In questo senso è possibile riflettere sulla rottura determinata dal fenomeno attuale, come un’occasione per il soggetto di andare incontro a un accomodamento del proprio sistema, col quale accogliere le nuove esperienze, anche quelle più traumatiche, grazie alle risorse che la persona già possiede in sé, proprio in quanto sistema dinamico complesso.

Da un punto di vista filosofico, alcuni riferimenti possono risultare utili per fornire un contributo teorico significativo ai discorsi precedentemente affrontati e allo stesso tempo consentire una riflessione attorno al concetto di limite, approfondito sulla base dei termini “natura” e “società”. Questi ultimi costituiscono i principali macrosistemi nei quali l’uomo è storicamente inserito e verso i quali può esercitare un potere considerevole.

Con il termine natura ci si riferisce all’universo fisico e fenomenico nel quale l’uomo è stato generato e in cui ha avuto inizio, in un primo momento, il suo lungo percorso di sviluppo, successivamente modificatosi attraverso la nascita della società. Quest’ultima viene considerata, in senso lato, come un insieme di individui legati da rapporti di diversa natura, tra i quali si instaurano forme di cooperazione e collaborazione che assicurano la sopravvivenza e la riproduzione dell’insieme stesso e dei suoi membri. Il fil rouge caratterizzante questo momento di transizione dalla natura alla società può essere ricondotto al concetto di bisogno dell’altro, una necessità imprescindibile fondata sul sostegno, sulla cura, sul mutuo aiuto ed espressa attraverso la relazione interindividuale.

In relazione al discorso sulla società e, nello specifico, sulla civiltà, risulta utile il contributo di Freud contenuto in una delle sue ultime opere, ovvero Il disagio della civiltà. Per l’autore, la civiltà nasce per garantire agli uomini una maggiore sicurezza che possa esprimersi attraverso il rispetto delle regole che, a loro volta, consentano ai desideri dell’uomo di poter essere mantenuti sotto il suo controllo. Ed è proprio grazie ai concetti di sicurezza e regola che è possibile affrontare la questione del limite in questo momento storico.

Cosa intendiamo con il termine “limite”?

Diversi autori hanno tentato di fornire una definizione esaustiva del concetto e, tra questi, Kant ha evidenziato l’assoluta importanza e imprescindibilità dello stesso. Il filosofo tedesco descrive il limite della ragione umana come ciò che le fornisce validità. Riconoscere il limite, dunque, consente di definire il campo di azione della ragione, comprendendone il valore e le potenzialità.

Provando ad estendere la premessa kantiana, risulta possibile individuare e riconoscere un limite anche per l’uomo, definito dal bisogno di essere in relazione con l’altro da sé, necessità, quest’ultima, imprescindibile per l’essenza stessa dell’essere umano. L’uomo deve dunque diventare cosciente della finitezza della sua esistenza e, al contempo, della sua ineluttabile interindividualità. Tali consapevolezze possono risultare preziose per l’essere umano inserito in una società moderna sempre maggiormente incentrata sull’esaltazione del culto e del potere di un’individualità centralizzante.

Da un punto di vista prettamente psicologico, tuttavia, è possibile osservare un rapporto di dipendenza dall’altro da sé che può assumere, talvolta, sia tratti vincolanti e dalle forme patologiche, sia caratteristiche costruttive in un’ottica di legami favorevoli tra individui. Come affermava Erich Fromm nel suo libro Anatomia della distruttività umana, l’uomo nutre un costante bisogno di instaurare nuovi legami con i suoi simili. Questa possibilità promuoverebbe un equilibrio psichico e impedirebbe all’essere umano di avvertire un senso di profondo smarrimento o isolamento.

L’incontro con l’altro da sé può avvenire con modalità che si pongono su un continuum tra esperienze positive e negative. Per Fromm, l’amore richiede indipendenza e fecondità, al contrario, in presenza di un mancato senso di libertà, l’uomo può incorrere nel rischio di creare rapporti simbiotici e negativi. Quando l’uomo fa esperienza di queste ultime modalità relazionali, può esercitare un controllo sugli altri (sadismo), oppure riceverlo (masochismo). Nel primo caso, il sadico trasforma l’altro in una estensione di sé stesso, nel secondo, il masochista si riduce a prolungamento dell’altro. Un ulteriore possibile scenario appare, altresì, essere ben descritto dal narcisismo, caratteristica, quest’ultima, secondo la quale l’uomo, incapace di scegliere fra la strada dell’amore e quella della simbiosi, ovvia al problema limitandosi al rapporto con sé stesso, amandosi di un amore esasperato.

A seguito delle considerazioni appena esposte, diventa utile la riflessione intorno all’importanza che la consapevolezza dei propri limiti e la capacità di considerare l’altro come complementare assumono per l’uomo. Queste ultime, infatti, permettono all’uomo di relazionarsi in modo adattivo all’altro da sé.

Il mondo circostante e presente ci restituisce, tuttavia, la difficoltà che l’uomo sperimenta nel mettere in pratica le modalità succitate. La limitazione forzata del campo d’azione dell’uomo rende quest’ultimo frustrato, oppresso e angosciato dall’incapacità di accettare fino in fondo questa realtà, sebbene fondata sulla salvaguardia di un fondamentale principio, quello rivolto alla salute di tutti gli uomini. Nello specifico, in riferimento al fenomeno attuale che impedisce alle persone di scegliere come vivere la propria quotidianità, costringendole al rispetto di una regola ferrea e difficile da accettare, è possibile osservare comportamenti di rifiuto e trasgressione delle norme, come se tale ribellione potesse illusoriamente concedere all’uomo una possibilità di scelta nelle proprie azioni.

Cosa accade, allora, se in un momento di notevole complessità come quello imposto dallo scenario attuale, l’essere umano viene costretto, per un lasso di tempo, a separarsi, se non altro fisicamente, dall’altro?

Secondo Fromm:

L’individuo oscilla spesso tra un legame di dipendenza dalla società, che, però, lo fa sentire sicuro in quanto circondato e radicato, ed una situazione di isolamento, di solitudine opprimente. La rottura del cordone ombelicale che unisce psicologicamente l’individuo alla società, di rado coincide con la maturità nell’autonomia, con la capacità di instaurare normali rapporti con la natura e gli uomini. (Fromm, 1970)

Inoltre:

L’attività spontanea è il solo modo in cui l’uomo può superare il terrore della solitudine senza sacrificare l’integrità del suo essere, infatti nella realizzazione spontanea dell’Io l’uomo si riunisce al mondo: all’uomo, alla natura, a sé stesso. L’amore è la principale componente di tale spontaneità, non l’amore come dissoluzione dell’Io in un’altra persona, non l’amore come possesso di un’altra persona, ma l’amore come affermazione spontanea degli altri, come unione dell’individuo con gli altri sulla base della conservazione dell’io individuale. Il carattere dinamico dell’amore sta proprio in questa polarità: esso sorge dal bisogno di superare la separazione, porta all’unità e tuttavia l’individualità non viene eliminata. Il lavoro è l’altra componente; non il lavoro come attività ossessiva per sfuggire la solitudine, non il lavoro come rapporto con la natura che in parte è dominio su di essa, in parte adorazione e sottomissione agli stessi prodotti delle mani dell’uomo, ma il lavoro come creazione, in cui l’uomo diventa uno con la natura nell’atto della creazione. (Fromm, 1970)

Il pensiero di Erich Fromm può essere considerato come un invito a scorgere nuove possibilità di riflessione sul nostro modo di vivere nella società, riscoprendo forme più adattive di amore, di lavoro e del nostro Io.

E in questo periodo storico in cui grande è l’utilizzo delle piattaforme internet, questo appare come una ulteriore possibilità con cui riscoprirci uniti, collegati, anche se al momento fisicamente distanti gli uni dagli altri, lontani dalla società in cui siamo inseriti. Con questo non si vuole ignorare le diverse riflessioni psicologiche e sociologiche che nel tempo si sono susseguite sempre più ampliandosi, relative alle implicazioni, talvolta negative, che l’uso di Internet può portare con sé.

Si può ritenere, tuttavia, che restare connessi, può in questo momento rappresentare un’alternativa salvifica alle eventuali sensazioni di scoramento percepite. È però opportuno saper distinguere le informazioni dalla conoscenza, una capacità questa, che non deve perdersi nell’oblio della scatola nera di Internet. Al tempo stesso, questo momento può insegnarci qualcosa in più sulla comunicazione digitale e fungere da bussola orientativa per l’utilizzo di Internet in quel domani che tanto desideriamo all’insegna di presenze umane fisicamente tangibili.

A tal proposito interessanti sono le parole di Eugenio Borgna che in uno dei suoi scritti recita:

Quale è il tempo della comunicazione digitale? Non è il tempo della agostiniana circolarità fra il presente, il passato e il futuro, ma è un tempo che vive in un presente intessuto di istanti, di frammenti, che sono gli uni accostati agli altri, gli uni staccati dagli altri, in un presente che non ha storia, non ha passato, e non ha speranze, non ha futuro, in un presente che è di volta in volta risucchiato nel flusso ininterrotto di comunicazioni che nascono e muoiono, rinascono e scompaiono, senza lasciare tracce durature nella nostra vita interiore e nella nostra memoria vissuta. Il tempo della comunicazione digitale, nelle vertiginose dissolvenze, non consente facilmente riflessioni e meditazioni, rielaborazioni e ripensamenti, che richiedono tempi distesi, pause e dilatazioni impossibili nei tempi veloci, anzi velocissimi, delle informazioni digitali. Queste compaiono per un attimo sullo schermo, e poi scompaiono, trascinando con sé risonanze sempre diverse, e non di rado le une in conflitto con le altre, le une inconciliabili con le altre. Il tempo digitale insomma scorre come acqua da una cascata, e lascia appena il tempo alla sua istantanea percezione, e alla sua conseguente sparizione. Non è allora facile parlarsi in questo deserto. (Borgna, 2017)

L’invito dunque è quello di far sì che questo momento che ci divide e separa, possa domani ricongiungerci, con una maggiore attenzione alle parole e alla comunicazione, quella reale, quella fra corpi, volti, mani, contatti visivi, delegando alla rete una funzione di connessione solo se in assenza di una comunicazione più degna della condizione umana.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Borgna, E. (2017). Le parole che salvano. Torino: Einaudi.
  • Freud, S. (2010). Il disagio della civiltà. Torino: Einaudi.
  • Fromm, E. (1970). Fuga dalla libertà. Milano: Comunità.
  • Fromm, E. (1976). Anatomia della distruttività umana. Mondadori.
  • Gelo, O.C.G. & Lagetto, G. (in press). Psicoterapia e teoria dei sistemi dinamici. In Blasi S. (Ed.) Epistemologia e metodologia in psicologia clinica. Roma: Giovanni Fioriti Editore.
  • Messer, S.B., Gurman, A.S. (2011). Essential psychotherapies: Third edition, theory and practice.  New York London: The Guilford Press.
  • Piaget, J. (2000). L’epistemologia genetica. Bari: Laterza.
  • Satolla, L. (1974). Psicologia sociale. Teramo: Editrice Italiana Teramo.
  • Von Bertalanffy, L. (1968).  Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni. Milano: Mondadori.
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