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Psico-emergenza covid-19

Le reazioni individuali al Covid-19 variano dalla negazione della minaccia, alla paura che sfocia in comportamenti spesso anche irrazionali

Di Antonietta Germanotta

Pubblicato il 19 Mar. 2020

Aggiornato il 03 Apr. 2020 10:42

Dinnanzi ad una malattia infettiva sconosciuta tra le reazioni più comuni della popolazione vi possono essere la negazione ovvero, in contrapposizione, la fobia.

 

Occuparmi dei miei pazienti, con la massima tutela sia loro che mia, senza preoccuparmi: nella  situazione che noi tutti stiamo vivendo appare un obiettivo a dir poco ambizioso…

Potrei definire il coronavirus, dapprima preso sottogamba dai più ma ora temuto in modo esponenziale, un vero e proprio trauma collettivo. La persistente e totalizzante incertezza circa l’evolversi della situazione è accompagnata da un senso di impotenza e da un costante sentirsi “in balia di”, in aggiunta alla precarietà ed alla limitazione delle proprie libertà.

Dinnanzi ad una malattia infettiva sconosciuta tra le reazioni più comuni della popolazione vi possono essere la negazione ovvero, in contrapposizione, la fobia.

La negazione è un meccanismo di difesa arcaico, presente cioè sin dalla tenera età, che ben riflette il pensiero magico dei bambini piccoli secondo i quali disconoscere una realtà sgradita corrisponde ad eliminarla. Dinanzi ad una realtà che si mostra “eccessiva” rispetto alla propria capacità di elaborazione si può ricorrere, in taluni casi, al meccanismo auto-protettivo di cui la mente umana dispone per proteggersi rifiutando sentimenti troppi sgradevoli e dolorosi.

Il termine fobia indica un’irrazionale e persistente paura che risulta essere sproporzionata rispetto a qualcosa; pur essendo considerata “irragionevole” non può essere dominata, ed obbliga ad un comportamento volto ad evitare o mascherare la situazione paventata.

Dato che le informazioni cambiano molto velocemente devo costantemente essere aggiornata, come terapista, circa le caratteristiche del coronavirus; essere informata in merito al numero dei casi sia della mia città che del paese delle persone che ho in carico. Questa sorta di analisi dei dati mi serve per poter rappresentare una base sicura per il mio paziente. Devo sempre stare sul pezzo ed avere un focus specifico sulla mia comunità di appartenenza.

Nel giro di poco tempo è mutato il termine con cui viene definito il nemico invisibile: l’11 Marzo 2020, infatti, il direttore generale dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), Tedros Adhanom Ghebreyesus in Conferenza stampa a Ginevra, dichiara che Covid-19 (la sigla è la sintesi dei termini CO-rona VI-rus D-isease e dell’anno d’identificazione 2019) può essere caratterizzato come una pandemia. Il termine deriva dal greco: παν (tutto) e δήμος (popolo), “tutto il popolo”, e delinea un tipo specifico di epidemia la cui diffusione è vasta a tal punto da interessare più aree geografiche, con un alto numero di casi gravi ed un’elevata mortalità.

Tutti potenzialmente potremmo contrarre il virus: la situazione di emergenza sanitaria è concreta. Il covid-19, infatti, continua ad accanirsi sull’Italia e sul resto del mondo. Sembra di assistere ad una corsa contro il tempo che, attualmente, appare essere inarrestabile.

Una serie di domande aggrediscono ed attanagliano gli individui: perché sta succedendo? Da cosa deriva? Come mai si diffonde così velocemente? Di chi è la colpa? Soprattutto quest’ultima si ripropone in modo ricorrente ed impertinente; le persone cercano un responsabile.

Alcuni individui per fronteggiare il senso di impotenza reagiscono tentando di individuare un colpevole per potersi nuovamente percepire in grado di aver controllo su cosa fare, e sapere come e chi punire: la rabbia ed il biasimo verso gli “untori” accompagnati da una ricerca compulsiva di informazioni su teorie possibili che indichino “un colpevole” da poter additare.

Le reazioni individuali variano dalla negazione della minaccia alla paura che sfocia in comportamenti anche irrazionali, che hanno però una funzione rasserenante. Un ingrediente peculiare, che genera ansia e preoccupazione, è l’imprevedibilità della durata di questa condizione di emergenza. Siamo bombardati quotidianamente da frasi, scene ed immagini ricorrenti ed intrusive riguardanti il virus. C’è chi tenta, in modo vano, di evitare ragionamenti o emozioni correlati al trauma; c’è chi invece vive un’attivazione psicofisiologica costante (iper-arousal); c’è chi vive un profondo senso di abbandono, correlato a pensieri persistenti e negativi, o di colpa.

Lo stato d’animo che prevale nei cittadini è di paura, ansia e angoscia. La paura, emozione primaria, è fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza: se non la provassimo non riusciremmo a metterci in salvo dai rischi. Una misurata dose di paura è fondamentale; ha una funzione adattiva. Rispettare le poche ma doverose e preziose indicazioni delle autorità (il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha firmato Dpcm recanti misure in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da covid-19 sull’intero territorio nazionale, 9 ed 11 marzo 2020)  richiede un minimo di attivazione; il limite che intercorre tra una funzionale allerta (stress positivo o eustress) ed un eccesso di attivazione, con comportamenti poco lucidi e controproducenti (stress negativo o distress), è, però, molto sottile. Il meccanismo dell’ansia per noi tutti è un meccanismo fisiologico, utile ad attivare l’organismo dinanzi ad un allarme: fino ad un determinato livello è adattivo poiché ci rende più reattivi; superato lo stesso, invece, rende l’organismo incapace di reagire in modo congruo e proficuo. Nella situazione contingente che ci troviamo a vivere, le persone sono spaventate e si sentono inerti ed inermi perché dinanzi al temuto silente virus non vi sono strumenti, sebbene scienza e tecnologia siano così avanzate. L’angoscia, infine, rappresenta una sorta di paura senza nome, le cui cause ed origini non sono immediatamente individuabili. Per tale ragione, essa non solo è minacciosa, ma spesso anche catastrofica per chi la prova; essendo subita, dà impotenza e deprime perché “non posso cambiare le cose”. Al cospetto del covid-19 ci si sente piccoli e condannati ed è per questo che aleggia ed imperversa l’angoscia.

In questo momento così difficile vi è un, conscio o meno, disperato ed angosciante bisogno di essere ascoltati, sostenuti e confortati. L’aspetto psicologico non è da tralasciare: al contrario, ha un’importanza cruciale per il riverbero che assumerà a breve, medio e lungo termine.

Il “contatto” emotivo, in questo periodo più che mai, è a dir poco necessario. Non esistono risposte magico-salvifiche ed ogni caso è a sé stante. Anche nella situazione emergenziale all’interno della quale ci troviamo non è l’ente istituzionale a poter decidere se un paziente sia adatto, o meno, ad una terapia on line, se sia il caso di posdatare la seduta o se sia utile continuare mantenendo il medesimo setting (seppur apportando le dovute e pedisseque misure di sicurezza e norme igienico-sanitarie). Salvo ipotetiche future restrizioni specifiche, la responsabilità professionale è sempre del clinico; responsabilità che include in sé scelta e decisione. E’ bene che ognuno di noi terapisti se ne assuma la responsabilità valutando caso per caso, cosa è “buono e giusto fare” sempre, e solo, nell’unico obiettivo del benessere dei propri pazienti.

Essendo di fronte ad una situazione incontrollabile quello che possiamo fare è attuare azioni preventive e precauzionali che, purtroppo, non rasserenano circa la possibilità di essere contagiati.

Le strategie di coping sono di cruciale importanza; oltre alle ricadute negative che un trauma comporta, possono anche essere facilitati cambiamenti positivi nell’individuo, definiti Post-Traumatic Growth (PTG), che possono comprendere sia lo sviluppo di nuove prospettive personali che di una crescita individuale (Kleim & Ehlers, 2009). Potremmo definire la PTG come “l’esperienza soggettiva fatta di cambiamenti psicologici positivi come esito di un’esperienza traumatica” (Zoellner & Maercker, 2006).

Alcuni spunti utili da utilizzare per riflettere insieme in modo proattivo, sono i seguenti:

  • la voglia, che diventa bramosia, di riprendere, ripartire e ricostruire;
  • il ritrovato piacere di stare insieme e la riscoperta degli affetti e delle dinamiche familiari;
  • il permettersi di essere vulnerabili, in un’ottica di crescita personale;
  • il cambiamento di prospettiva della vita, dei propri pensieri ed ancora del modo di pensare ai propri pensieri, accogliendo modalità diverse che ridefiniscono i punti di forza e di fragilità;
  • avere più tempo per sé, per coltivare i propri hobby e per appassionarsi a nuove attività;
  • non potendo controllare fuori, possiamo tentare di controllare dentro di noi, le nostre emozioni e reazioni.
  • fare comunità con amici, parenti e colleghi sostenendo le persone emotivamente, ma magari non fisicamente, vicine.

La paura abbassa le difese immunitarie, mette in allarme il sistema neurovegetativo.
Più stiamo in allerta più l’ansia anticipatoria tende a bloccare le nostre energie creative.
Reputo basilare, e risulta strategicamente vincente, diffondere un ANTIDOTO, un ANTIVIRUS: pensare in positivo, credere veramente che ce la possiamo fare, che “andrà tutto bene” e che rimanendo uniti, insieme, siamo una grande forza!

Quest’emergenza, come ogni avversità, può essere un’opportunità, può essere anche maestra…

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Kleim, B., & Ehlers, A. (2009). Evidence for a curvilinear relationship between post-traumatic growth and post-trauma depression and PTSD in assault survivors. Journal of Traumatic Stress, 22(1), 45-52.
  • Zoellner, T., & Maercker, A. (2006). Post-traumatic growth in clinical psychology. A critical review and introduction of a two component model. Clinical
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