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La gelosia e il famigliare nel 1600 – Dal corpo familiare all’anima famigliare

Un approfondimento sulla gelosia nell'arte, con un riferimento particolare a due opere lettarie molto note: I promessi sposi e La lettera scarlatta

Di Mariano Indelicato

Pubblicato il 11 Feb. 2020

Esiste una identità della persona che prova gelosia che la porta a vivere e operare nel tentativo di risolvere il dubbio fondamentale dell’intera esistenza: che cosa ha più di me per meritarsi la sua passione e il suo amore?

 

Durante il XVII secolo, cambia di nuovo il contesto in cui si inseriscono le relazioni familiari. Cigoli, continuando l’analisi della pittura di famiglia, fa rilevare che inizia a delinearsi la complicità di coppia:

i segni dell’affetto familiare non coincidono più con il mero rispetto e con le attese di fedeltà e di fecondità, ma si aprono all’attenzione verso la donna: è lei che merita lo sguardo tenero ed è con lei che si scambia lo sguardo complice, segno dell’erotismo di coppia da cui gli altri sono esclusi.

Nella letteratura Madame la Fayette in La Principessa di Clèves descrive il sacrificio estremo di Mademoiselle de Chartres all’ethos familiare. Sposata al Principe di Clèves si innamora del Duca di Nemours senza però mai cedere all’adulterio nemmeno quando rimane vedova. Oltre all’intimità entra in scena la fedeltà al patto matrimoniale. La Principessa di Clèves rivela addirittura a suo marito l’amore per un altro uomo e nel momento in cui quest’ultimo muore per gelosia, si ritira a fare vita quasi eremitica. Per dirla con Boszormenyi-Nagi e Spark, si dimostra totalmente leale al sistema anche quando, dal punto di vista etico-legale, poteva essere libera di amare.

Ritorna insieme all’etica l’assoluta obbedienza ai principi cristiani. Manzoni ne I Promessi Sposi, romanzo scritto nel 1800 ma ambientato nel 1600, dà un ruolo determinante alla provvidenza che riesce a riportare giustizia, fiducia e speranza all’interno di un mondo piegato dai potenti. Renzo e Lucia, con l’aiuto della provvidenza, riescono a coronare il loro sogno d’amore sconfiggendo i signorotti dell’epoca. Il romanzo ha anche il merito di portare alla ribalta non solo la storia delle famiglie nobili e borghesi ma anche quella delle classi più umili che ricevono a loro volta l’attribuzione del sacro (Cigoli).

E’ all’interno di queste classi che il pathos riceve la massima considerazione e smuove la provvidenza rappresentata da Fra Cristoforo e dal Cardinale Federigo Borromeo. Emblematica è la figura di Agnese, madre di Lucia, che aiuta disperatamente la figlia ad unirsi in matrimonio con Renzo pur potendo avere come genero un nobile spagnolo come Don Rodrigo. Si prende cura della figlia accettando la sua autonomia e i suoi desideri. Ha fiducia nelle capacità della figlia e viene adeguatamente ricambiata.

Di contro, in riferimento ai passaggi generazionali, troviamo la Monaca di Monza che, costretta dai genitori a vestire l’abito talare, si ribella facendo vita dissoluta. Il papà di Gertrude si prende cura della figlia senza riuscire a donarle l’autonomia e la costringe a una esistenza inautentica. Esistenza inautentica che troviamo anche nella Monaca di Diderot. Ancora una volta un padre che per garantire l’eredità agli altri figli costringe una figlia a scegliere la vita di convento.

Accanto a I Promessi Sposi, un altro romanzo storico ambientato nel 1600: La Lettera Scarlatta di Hawthorne. Anche in questo romanzo un’altra eroina, la protagonista Hester, inserita all’interno del dramma legato al contrasto tra ethos e pathos. Hester viene esposta al pubblico ludibrio con una A di colore scarlatto ricamata sul petto in quanto adultera. La accompagna sul carro con il quale è costretta ad attraversare la città la figlia Pearl, frutto del peccato commesso.

Il simbolo dell’adulterio, la A di colore scarlatto, Hester se la ricama da sola, non solo in un impeto di coraggiosa dignità, ma anche per dare un significato preciso al suo gesto di autonomia. Il pathos la porta alla disobbedienza facendo una scelta di autonomia a cui, come abbiamo già visto, il sistema risponde considerandola una traditrice (adultera).

Hawthorne arrichisce il romanzo di una serie di simboli che danno il segno delle relazioni intra ed extra-familiari oltre che sul piano generazionale. Innanzitutto i colori con cui vengono rappresentati i personaggi e la loro storia. Lo scarlatto di Hester, simbolo della passione e dell’amore; il bianco di Pearl, la figlia, simbolo della purezza; il nero sempre di Hester, simbolo della colpa.

Il rosso è il colore dell’amore, sia terreno che spirituale, basti pensare al Sacro Cuore di Gesù, della passione, dell’attività, delle emozioni, del sentimento, dell’espansività, della vivacità, del sangue inteso come vita. E’ anche il colore della carnalità e delle prostitute. Nell’Apocalisse la grande prostituta è ammantata di porpora e di scarlatto. E’ anche il colore del sacrificio. Le confraternite nel passato vestivano di rosso in onore del sacrificio di Gesù per la salvezza degli uomini.

Nel contempo Hester è vestita di nero, il colore della colpa. Esso esprime l’assenza della luce ed è il colore del caos, del primitivo, della distruzione, della catastrofe. E’ il colore dell’intransigenza, dell’intolleranza, della sventura della morte (lutto/depressione). Quando viene scelto si sente il bisogno di esprimere protesta, opposizione, aggressività. Quando viene rifiutato esprime insofferenza per qualsiasi rinuncia, per tutto ciò che costringe. Scandisce i momenti di passaggio e di trasformazione, nel senso che è il colore che precede e succede alla vita.

In effetti Hester, mettendo al mondo una figlia in assenza del marito e non volendo rivelare il padre, attacca in modo significativo il polo etico della famiglia in funzione del pathos e, nel contempo, è consapevole del dramma generazionale che esprime nella seguente frase: Quel dono, quella dote, se non proprio scomparsa, era in sospeso, immobile dentro di me. L’immobilismo è il non passaggio, è il rifiutarsi di vestire il nero ma essere costretti ad indossarlo. Ecco, allora, la voglia e l’orgoglio, ricamandosi la A scarlatta sul petto, di voler trasmettere alla figlia il valore del pathos. Solo avendo fiducia e speranza che il dono dell’amore possa essere ricambiato riesce a riconquistare, anche se per poco tempo, Dimmesdale, il padre della bambina di cui non vuole rivelare il nome.

Il bianco, il colore del vestito della figlia Pearl, non è solo simbolo di purezza ma anche di trasparenza, di nuova vita. Il bianco vuol dire andare oltre lo spettro dei colori così come Pearl viene attratta dal dono della mamma: la A scarlatta ricamata sul petto, ovvero un nuovo tipo di legame basato sull’amore. Il bianco è anche il colore della luce. Cigoli nota che in molti quadri del ‘500 i personaggi vengono illuminati dalla luce che esce dagli occhi di Gesù Bambino. In molti quadri presenti nelle chiese, la conversione intesa come nuovo legame con il sacro passa attraverso la luce che rappresenta il dono dell’amore divino. La luce è rivelazione, permette di uscire dall’oscurità, dalle tenebre. L’espressione mettere in luce vuol dire prendere in considerazione, dare importanza, mettere in rilievo ciò che è nascosto. Pearl è vestita di bianco e in quanto vestita di bianco, piena di luce, è il simbolo della trasmissione di un nuovo messaggio generazionale rappresentato dall’attrazione che ella prova per la A scarlatta. Giustamente Cigoli fa riferimento alla teoria di Winnicott sul rispecchiarsi. La luce permette di guardarsi negli occhi, di rispecchiarsi. Pearl si rispecchia nella A ricamata sul petto della madre che diventa l’oggetto transazionale del legame filiale. Se la relazione insita nel rispecchiarsi è funzionale alla costruzione del sé, non vi è dubbio che la A scarlatta costituisce il dono della madre alla figlia.

Boszormenyi-Nagi e Spark, nel rilevare che le relazioni sono contraddistinte da equità e reciprocità, affermano che è

importante capire l’implicazione del ruolo del figlio quale inconsapevole sfruttatore potenziale di un genitore, dato che il figlio ha diritto a ricevere in cambio di niente. Molti genitori sentono che non è loro permesso lamentarsi della sensazione di essere sfruttati, e inconsapevolmente coprono questa sensazione con iperprotettività, un’iperpermissività, una devozione da martire e altri atteggiamenti difensivi.

In effetti Pearl, definita ‘bambina folletto’ per il suo carattere evanescente, nel romanzo cresce ribelle, piena di fantasie e selvaggia. La mamma, spesso, la veste in modo da poterne esaltare la bellezza.

Hester sente forte la responsabilità nei confronti della figlia: se esiste un vincolo generativo (…) esiste anche un vincolo a decidere che fare della propria storia generazionale. Hester decide di dover donare l’amore, il pathos.

D’altronde lo stesso Cigoli, ci informa che nei passaggi generazionali vi è il trasmettere, il tramandare ma anche il trasgredire inteso come il compito che ‘tocca alla nuova generazione’ ovvero di ‘procedere al di là di ciò che è dato nello scambio generazionale reinventandolo’.

Altro simbolo presente nel romanzo di Hawthorne è la gelosia impersonificata da Roger Chillingworth che si spoglia della sua identità pur di conoscere l’uomo con cui la moglie ha avuto una relazione durante la sua assenza. Esiste una identità della persona gelosa la quale vive e opera nel tentativo di risolvere il dubbio fondamentale dell’intera esistenza: che cosa ha più di me per meritarsi la sua passione e il suo amore?

La gelosia, come abbiamo detto, è il frutto avvelenato di un dono perverso che si struttura durante i processi generativi. Una volta instaurato il dubbio, la sua soluzione diventa lo scopo della vita coinvolgendo e sconvolgendo l’intera esistenza.

E’ talmente irrazionale che non riesce neanche a calcolare i rischi insiti nei comportamenti e nelle azioni. Roger, nel momento in cui individua l’amante segreto della moglie, cerca il modo migliore per uccidere il suo rivale. Di fatto contribuisce a far scappare insieme i due amanti insieme alla figlia.

Infine vi è la figura di Dimmesdale, il padre della bambina, che è il simbolo del rapporto con il sacro e con l’egocentrismo inteso come mancata capacità a donarsi. Egli è un giovane reverendo ed anche un colto teologo molto apprezzato per le sue prediche. Vive nel rimorso fino a stare male, ma non riesce ad assumersi la responsabilità di rivelare che è lui il padre della bambina. L’assunzione di responsabilità comporterebbe l’interruzione del rapporto di esclusività che, nella sua qualità di reverendo, ha con Dio. Nello stesso tempo non riesce a donarsi alla donna che ama. Se da un lato c’è Hester che sceglie il pathos e nel momento in cui fa la scelta cerca di modificare l’ethos, dall’altro lato c’è Dimmesdale che non riesce a compiere una scelta. Tocca ad Hester indurlo a fuggire una volta che il marito ha scoperto la loro relazione. Vive continuamente nella non scelta, tra il confessare il peccato e tenersi il segreto. Emblematica è la morte per emozione quando decide di rivelare la verità. In quel momento molti vedono la A scarlatta stampata sul petto simbolo del legame con Hester.

La morte come simbolo della rinascita: Dimmesdale rivela il suo legame attraverso la A stampata sul petto;  Hester viene ammirata dopo la morte nel luogo in cui viene seppellita accanto alla tomba di Dimmesdale con una A che unisce i due loculi.

La relazione può risorgere se viene reinterpretata, se rinasce la speranza e la fiducia.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Boszormenyi-Nagy, I.,  M. Spark, G. (1973). Invisible loyalties: reciprocity in intergenerational family therapy. Medical Dept., Harper & Row (trad. it. Lealtà invisibili: la reciprocità nella terapia familiare intergenerazionale. Roma: Casa Editrice Astrolabio, 1988)
  • Cigoli, V. (2006). L’albero della discendenza. Clinica dei corpi familiari. Milano: Franco Angeli
  • Cigoli, V. (2012). Il Viaggio Iniziatico. Clinica dei corpi familiari. Milano: Franco Angeli
  • Diderot, D. (2008). La monaca. Milano: Garzanti, 2008
  • Hawthorne, N. (1850) La lettera Scarlatta. Milano: Feltrinelli, 2014
  • Manzoni, A. (1827). I promessi sposi. Milano: Mondadori, 2002
  • Marie-Madeleine de Lafayette (1986). La Principessa di Clèvet. Milano: Rizzoli
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