Il Castello di Vetro è un film tratto dall’autobiografia di Jeannette Walls, giornalista e scrittrice americana.
La LIBET nelle narrazioni – (Nr. 6) Il Castello di Vetro
Anni ’60, Jeannette, seconda di 4 fratelli, nasce in una famiglia a dir poco naïf che vive alla giornata spostandosi di stato in stato, senza una fissa e decorosa dimora a causa dei debiti. Improvvisi e repentini spostamenti scandiscono l’infanzia di Lori, Jeannette, Brian e Maureen senza lasciare spazio e tempo al germogliare di radici, amicizie e legami. La motivazione fornita loro dai genitori è la ‘favola’ della libertà più sfrenata, vissuta alla giornata come in un’avventura. Ma i bambini, trascinati da un edificio abbandonato ad una casa fatiscente, imparano ben presto a loro spese a badare a se stessi e che quella vita ha poco a che fare con la libertà.
Il Padre Rex, abusato da bambino dalla propria madre, è un alcolista, passa da un lavoro a un altro senza riuscire a tenersene stretto neanche uno.
La Madre Rose Mary, ex-insegnate e artista, dipinge, legge e si dedica alla sua arte tutto il giorno senza curarsi minimante dei bisogni primari dei bambini, i quali cucinano, tengono in ordine casa, si procurano qualche soldo, non frequentano la scuola, vivono, assistono e si fanno carico di situazioni crude e traumatiche.
Filo conduttore, che accompagna lo spettatore attraverso la storia di vita della famiglia Walls, il Castello di vetro: un progetto, una promessa, una fantasia di stabilità, di vita normale, mai realizzata.
Nonostante le condizioni di crescita, la trascuratezza e le difficoltà, i bambini diventano adolescenti e ognuno escogita un modo per scappare per sempre dalla ‘libertà’ creata per loro da Rex e Rose Mary.
Jeannette trova una fonte di guadagno, si paga il college, studia e diviene una donna in carriera, con un lavoro ben pagato, nel quartiere più in di New York e sta per sposarsi con John. È una donna sveglia, intelligente e spigliata, per la prima volta nella sua vita è tutto finalmente sotto controllo, sicuro, prevedibile e quanto più aderente alla normalità; ciò le permette di non sentirsi più vulnerabile, fragile e in balia degli eventi, degli altri.
Nonostante ciò il passato riaffiora prepotentemente con flash-back improvvisi, incubi notturni, esplosioni di rabbia, sensi di colpa per essere scappata ed incarnare tutto ciò che i suoi genitori disprezzano.
Mentre Jeannette, alle cene di lavoro e alle feste, con il futuro marito, mente alle domande riguardo i suoi genitori, Rex e Rose Mary sono dei senza tetto nella periferia newyorkese: si sono spostati sta volta per tenerla d’occhio e starle vicino, ma lei li evita, si nasconde, se ne vergogna.
Il fidanzamento imminente, la costringe a contattare la famiglia e a comunicare loro la sua decisione. Turbata e combattuta per i possibili esiti di questo incontro, per la reazione del padre in primis, Jeanette va a fare visita ai genitori con il fidanzato.
Come previsto la situazione ha un esito disastroso: John, dopo essere stato insultato e costretto da Rex a ubriacarsi, viene sfidato a un braccio di ferro il cui premio è la mano di Jeanette. Vince, e riceve un pugno al volto dal futuro suocero.
Considerando il peggio passato, Jeanette non si aspetta che alla festa di fidanzamento i suoi genitori si presentino senza invito chiedendole una grossa somma di denaro: lì, in quel momento, davanti a tutti gli ospiti che conoscevano di lei solo l’apparenza, Jeanette si spoglia di ogni costruzione e urla in faccia ai genitori la sua disperazione di figlia cresciuta da un padre alcolizzato e una madre negligente, le fatiche, lo sconforto e la rabbia. Intima loro di sparire per sempre dalla sua vita.
Jeannette dovrà scendere a patti con la sua rigidità emotiva prima che il padre muoia.