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Il Castello di Vetro – La LIBET nelle narrazioni

Viene proposta un'analisi in termini LIBET del funzionamento della protagonista del film Il Castello di Vetro, ripercorrendo la sua intera storia di vita

Di Francesca Ballarin

Pubblicato il 17 Feb. 2020

Il Castello di Vetro è un film tratto dall’autobiografia di Jeannette Walls, giornalista e scrittrice americana.

La LIBET nelle narrazioni – (Nr. 6) Il Castello di Vetro

 

Anni ’60, Jeannette, seconda di 4 fratelli, nasce in una famiglia a dir poco naïf che vive alla giornata spostandosi di stato in stato, senza una fissa e decorosa dimora a causa dei debiti. Improvvisi e repentini spostamenti scandiscono l’infanzia di Lori, Jeannette, Brian e Maureen senza lasciare spazio e tempo al germogliare di radici, amicizie e legami. La motivazione fornita loro dai genitori è la ‘favola’ della libertà più sfrenata, vissuta alla giornata come in un’avventura. Ma i bambini, trascinati da un edificio abbandonato ad una casa fatiscente, imparano ben presto a loro spese a badare a se stessi e che quella vita ha poco a che fare con la libertà.

Il Padre Rex, abusato da bambino dalla propria madre, è un alcolista, passa da un lavoro a un altro senza riuscire a tenersene stretto neanche uno.

La Madre Rose Mary, ex-insegnate e artista, dipinge, legge e si dedica alla sua arte tutto il giorno senza curarsi minimante dei bisogni primari dei bambini, i quali cucinano, tengono in ordine casa, si procurano qualche soldo, non frequentano la scuola, vivono, assistono e si fanno carico di situazioni crude e traumatiche.

Filo conduttore, che accompagna lo spettatore attraverso la storia di vita della famiglia Walls, il Castello di vetro: un progetto, una promessa, una fantasia di stabilità, di vita normale, mai realizzata.

Nonostante le condizioni di crescita, la trascuratezza e le difficoltà, i bambini diventano adolescenti e ognuno escogita un modo per scappare per sempre dalla ‘libertà’ creata per loro da Rex e Rose Mary.

Jeannette trova una fonte di guadagno, si paga il college, studia e diviene una donna in carriera, con un lavoro ben pagato, nel quartiere più in di New York e sta per sposarsi con John. È una donna sveglia, intelligente e spigliata, per la prima volta nella sua vita è tutto finalmente sotto controllo, sicuro, prevedibile e quanto più aderente alla normalità; ciò le permette di non sentirsi più vulnerabile, fragile e in balia degli eventi, degli altri.

Nonostante ciò il passato riaffiora prepotentemente con flash-back improvvisi, incubi notturni, esplosioni di rabbia, sensi di colpa per essere scappata ed incarnare tutto ciò che i suoi genitori disprezzano.

Mentre Jeannette, alle cene di lavoro e alle feste, con il futuro marito, mente alle domande riguardo i suoi genitori, Rex e Rose Mary sono dei senza tetto nella periferia newyorkese: si sono spostati sta volta per tenerla d’occhio e starle vicino, ma lei li evita, si nasconde, se ne vergogna.

Il fidanzamento imminente, la costringe a contattare la famiglia e a comunicare loro la sua decisione. Turbata e combattuta per i possibili esiti di questo incontro, per la reazione del padre in primis, Jeanette va a fare visita ai genitori con il fidanzato.

Come previsto la situazione ha un esito disastroso: John, dopo essere stato insultato e costretto da Rex a ubriacarsi, viene sfidato a un braccio di ferro il cui premio è la mano di Jeanette. Vince, e riceve un pugno al volto dal futuro suocero.

Considerando il peggio passato, Jeanette non si aspetta che alla festa di fidanzamento i suoi genitori si presentino senza invito chiedendole una grossa somma di denaro: lì, in quel momento, davanti a tutti gli ospiti che conoscevano di lei solo l’apparenza, Jeanette si spoglia di ogni costruzione e urla in faccia ai genitori la sua disperazione di figlia cresciuta da un padre alcolizzato e una madre negligente, le fatiche, lo sconforto e la rabbia. Intima loro di sparire per sempre dalla sua vita.

Jeannette dovrà scendere a patti con la sua rigidità emotiva prima che il padre muoia.

 

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