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Sogni che fanno paura: il ruolo degli incubi nella regolazione emotiva

Sembra che emozioni di paura vissute nei sogni potrino i soggetti a una maggiore soppressione di tali sentimenti negativi durante la veglia.

Di Giulia Samoré

Pubblicato il 16 Dic. 2019

Da molto tempo ci si chiede quale sia la funzione dei sogni e, mentre per Freud questi veicolavano significati nascosti alla mente cosciente dell’individuo, oggi siamo più propensi a vederli come tracce mnestiche spesso casuali, che vengono riproposte durante il sonno ed aiuterebbero il consolidamento della memoria semantica.

 

Il sonno è un’attività fondamentale per il nostro organismo, durante le ore di riposo infatti il nostro corpo mette in atto una serie di processi atti a mantenere un funzionamento ottimale, in particolare rivolti al rallentamento delle funzioni neurovegetative e al recupero delle energie, sia fisiche che psichiche. Tuttavia, ci si è interrogati per lungo tempo su quale fosse la funzione dei sogni: se per Freud i sogni veicolavano significati nascosti alla mente cosciente dell’individuo, ad oggi siamo più propensi a vederli come tracce mnestiche spesso casuali, che vengono riproposte durante il sonno ed aiuterebbero il consolidamento della memoria semantica.

Sempre più studi sembrano poi evidenziare uno stretto rapporto tra il sonno ed i processi emotivi (Boyce, Glasgow, Williams e Adamantis, 2016; Perogamvros & Schwartz, 2012): in particolare è possibile osservare le conseguenze della deprivazione di sonno nei termini di una maggiore aggressività e di stati emotivi negativi, cosi come alcune problematiche strettamente connesse agli stati emotivi di un individuo, come la depressione o il PTSD, siano spesso accompagnati da perturbazioni del sonno o incubi intrusivi.

Tra le teorizzazioni circa la funzione dei sogni, vi è quella della minaccia simulata, che postula come il regno onirico possa fungere da simulazione offline, ovvero non immersa nella realtà bensì solo ideativa, che consenta di vivere l’esperienza di eventi potenzialmente minacciosi allenando di conseguenza delle abilità di evitamento o gestione del pericolo, mediante l’attivazione dei circuiti amigdalo-corticali coinvolti nell’emozione di paura, da ultimo risultando in risposte maggiormente adattive durante le ore di veglia (Revonsuo, 2000; Scarpelli, Bartolacci, D’Altri, Gorgoni e De Gennaro, 2019).

I sentimenti di paura sembrano essere presenti in maniera rilevante nell’attività onirica degli individui, differenziandosi nettamente da emozioni più sociali, come l’imbarazzo o la frustrazione, e costituendosi quindi come una categoria emozionale biologicamente rilevante e distinta (Revonsuo, 2000; Schwartz, 2004). Se si accetta l’ipotesi della funzione di regolazione emotiva, ci si aspetterebbe che ad una maggiore attivazione durante il sonno delle aree cerebrali coinvolte nella risposta alla paura (amigdala, corteccia cingolata, insula), corrisponda una minore attivazione di quelle stesse aree nelle ore di veglia. Ancora, ci si potrebbe aspettare durante gli stati di coscienza, un coinvolgimento maggiore dell’area coinvolta nella soppressione della paura, ovvero la corteccia prefrontale mediana, che agirebbe in tal senso a scopo compensatorio (Dunsmoor et al., 2019; Yoo et al., 2007).

Un recente articolo pubblicato su Human Brain Mapping espone i risultati ottenuti da Sterpenich, Perogamvros, Giulio Tononi e Schwartzin due esperimenti condotti sull’attività onirica mediante tecniche di neuroimaging, con l’obbiettivo di determinare in primis, se le regioni che si attivano in risposta alla paura durante l’addormentamento siano effettivamente sovrapponibili a quelle che servono questo scopo durante lo stato di veglia, secondariamente verificare se vi sia un legame, e di quale natura, tra le emozioni esperite in sogno e la risposta a stimoli emotivamente salienti quando il soggetto è sveglio.

Nel primo esperimento i 18 partecipanti sono stati svegliati svariate volte nel corso del loro sonno, talvolta durante la fase REM o durante una fase non-REM (N2), con la richiesta di riportare l’ultimo ricordo accessibile prima che suonasse la sveglia, per poi rispondere ad un intervista strutturata. Sono stati poi analizzati nel dettaglio i segnali EEG (elettroencefalogramma) appartenenti a quei soggetti che avevano riportato almeno un sogno in cui avessero sperimentato paura e un secondo in cui tale emozione non fosse presente, in ognuna delle fasi analizzate (REM e N2).

Nel secondo studio gli 89 partecipanti hanno risposto ad una batteria di questionari validati per indagare la qualità del sonno (PSQI, Buisse et al., 1989), la sonnolenza diurna (EES, Johns, 1991), depressione (BDI, Beck, Steere and Brown, 1996), ansia (STAI-T, Spielberg, Gorusch & Luschene, 1970), compilando inoltre un diario del sonno e dei sogni al fine di riportare la presenza di emozioni specifiche (rabbia, disgusto, tristezza, gioia, confusione, paura, frustrazione e imbarazzo) per la settimana antecedente la sessione di Risonanza Magnetica Funzionale, durante la quale i soggetti venivano esposti a stimoli a valenza negativa oppure neutra. Durante la risonanza magnetica funzionale, gli sperimentatori hanno inoltre rilevato i movimenti oculari e il diametro di dilatazione pupillare, usato come indice della risposta emotiva allo stimolo presentato durante il compito (Bradley, Miccoli, Escrig & Lang, 2008).

I risultati del primo studio hanno mostrato come l’esperienza della paura fosse associata con l’attivazione dell’insula e della corteccia cingolata mediana (quest’ultima specificatamente durante la fase REM), le quali sono attive anche durante lo stato di veglia in risposta a stimoli che elicitino paura. Il secondo studio ha invece riscontrato come i soggetti che riferissero un’incidenza maggiore della paura durante i propri sogni, avessero anche un’attivazione inferiore a livello dell’insula, dell’amigdala e della corteccia cingolata mediale durante la veglia, nonché una maggiore attivazione dell’area adibita alla soppressione della paura, ovvero la corteccia prefrontale mediana.

Complessivamente, i risultati ottenuti da Sterpenich e colleghi, supportano l’ipotesi di partenza che vivere emozioni di paura durante l’attività onirica ripagasse i soggetti con una maggiore soppressione di tali sentimenti negativi durante la veglia. Si rendono necessari studi ulteriori per ridefinire i modelli teoretici sulla funzionalità onirica, espandendo ad esempio le conoscenze circa le emozioni positive sperimentate durante il sonno e le risposte emotive che si attivano nel cervello degli individui.

 

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