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Musicoterapia Umanistica

La musicoterapeuta improvvisa. Il suo compito è quello di accogliere, rispettare, valorizzare il dolore attraverso il bello dell’arte.

Di Paola Balestracci Beltrami

Pubblicato il 25 Ott. 2019

La musica è espressione delle emozioni, di tutte le emozioni. Cosa accade in musicoterapia? Lungi dal fare spettacolo, o dall’utilizzare gli strumenti musicali in modo virtuosistico, si suona per portare gioia, vita, festa, laddove c’è sofferenza, dolore, chiusura, negazione.

 

 “Qual è il punto di forza e il punto fragile della tua musica?” mi ha chiesto recentemente Simone (nome inventato), un ragazzo di 12 anni con tetraparesi spastica. Non ero pronta alla domanda, ma la risposta è uscita immediata, istintiva e sincera. “La musica mi dà gioia. Suonare per tanti bambini e ragazzi mi rende felice. Questo è il mio punto di forza. La fragilità sta nella paura che talvolta ho nel suonare davanti a tante persone. Ma qui con te non ho paura”.

Da trent’anni suono quotidianamente per un pubblico davvero speciale. Sperimento ogni giorno la potenza della musica improvvisata in modo comunicativo per portare gioia, speranza, condivisione. Per far questo mi sono dovuta liberare dei condizionamenti e dei retaggi culturali acquisiti durante gli anni di studio in Conservatorio.

Dopo il diploma di arpa e di musicoterapia ho proseguito la mia formazione con la prof.ssa Giulia Cremaschi di Bergamo e ho avuto la fortuna (o la grazia, come dico io) di essere testimone e protagonista del farsi della Musicoterapia Umanistica in Italia. Ne ho seguito le fasi salienti, la costituzione della Associazione Pedagogia Musicale e Musicoterapia (APMM) che porta il nome della caposcuola e la nascita della Federazione Italiana Musicoterapeuti (FIM), di cui sono socio fondatore. Sto ultimando gli studi in arpa terapia presso l’International Harp Therapy Program (IHTP), con sede a Bologna.

Ho imparato sul campo a fare musica dal vivo, come, d’altra parte, è sempre avvenuto a partire dalla notte dei tempi. Nel corso della storia dell’uomo, infatti, la musica è sempre stata improvvisata e creata al momento.

La musica è espressione delle emozioni, di tutte le emozioni. Cosa accade in musicoterapia? Lungi dal fare spettacolo, o dall’utilizzare gli strumenti musicali in modo virtuosistico, si suona per portare gioia, vita, festa, laddove c’è sofferenza, dolore, chiusura, negazione. Si suona improvvisando per destare l’ascolto in un’altra persona.

Con ogni uomo viene al mondo qualcosa di nuovo e di unico. Ogni singolo uomo è una cosa nuova nel mondo e deve portare a compimento la propria natura in questo mondo. (M. Buber in Cremaschi Trovesi, 2014)

Questo è vero anche per la persona che nasce con una disabilità, o che per motivi diversi incontra la malattia e l’handicap nel corso della sua vita?

Siamo abituati a chiudere le persone in categorie: cerebroleso, sordo, cieco, autistico, down… e la riabilitazione usa programmi diversi a seconda della patologia. Bisogna rispettare il protocollo. La visione umanistica allarga lo sguardo alla persona, alla sua unicità. Musicoterapeuta e paziente sono risorsa l’uno per l’altro e insieme si mettono in gioco. È “l’esserci” fenomenologico (Cremaschi Trovesi, 2014). Dalle risposte della persona, la musicoterapeuta comprende quanto lei stessa riponga o meno fiducia nella persona che gli è affidata. Nella pratica musicale creativa è messa alla prova la stima per la persona al di là di ciò che essa lascia trapelare di sé o che la diagnosi ha sentenziato.

Tutto comincia con l’ascolto. Quale ascolto?

Operare in musicoterapia significa portare l’ascolto a livello di arte di ascoltare. Sì, perché ascoltare è un’arte, ma anche farsi ascoltare è un’arte. Non è scontato accorgersi di ricevere le vibrazioni di uno strumento musicale. Non è scontato che un bambino senta con tutto il corpo le vibrazioni di una pelle di tamburo, o quelle della cassa armonica del pianoforte a coda (Balestracci Beltrami, 2009a).

L’aria trasmette le onde sonore. In assenza dell’aria non può esserci trasmissione delle onde sonore, perché un corpo in vibrazione non può generare onde sonore. Le onde sonore coinvolgono tutto quello che incontrano: gas, liquidi e solidi. Il convibrare delle onde sonore è risuonare. La riflessione del suono è eco (Righini, 1994). Ad ogni respiro l’aria entra ed esce dal nostro corpo. Ad ogni respiro rinnoviamo il nostro convibrare con il mondo.

La nostra voce è aria inspirata che, premuta verso l’esterno, si trasforma in onde sonore. Quindi anche le parole sono onde sonore, aria in movimento. La parola è suono (Cremaschi Trovesi, 2014). Il suono ha una duplice definizione (Righini, 1994):

  1. sensazione uditiva determinata da vibrazione acustica,
  2. vibrazione acustica determinata da sensazione uditiva.

Il suono è quindi relazione tra un corpo elastico in grado di produrre vibrazioni (fonte del suono) e un corpo elastico in grado di riceverle.

Il suono è un fenomeno complesso. Quando pensiamo di percepire un suono, in realtà riceviamo la risultanza, nella simultaneità, di una frequenza fondamentale e dei suoi armonici. Una cosa è sapere cosa sono gli armonici, una cosa è ascoltare e scoprirne la presenza nel nostro corpo vibrante.

Le onde sonore raggiungono il nostro corpo in base alla relazione frequenza – volume. A volumi grandi corrispondono frequenze gravi, a volumi sempre più piccoli corrispondono frequenze sempre più acute. Pensiamo alla famiglia degli strumenti ad arco: contrabbasso, violoncello, viola, violino, o alla cordiera di un’arpa, dalle corde lunghe e grosse dei suoni gravi a quelle sottili e corte dei suoni più acuti, o, infine, a quanto la natura ci mostra attraverso il muggito possente di una mucca e il cinguettio melodioso di un uccellino. Lo stesso avviene nel nostro corpo, costituito da una serie di cavità risonanti (anche se cave non sono!) sovrapposte.

Tutto il corpo è impegnato nel produrre suoni con la voce, tutto il corpo è impegnato nella ricezione. Non si ascolta solo con le orecchie. Il protagonista dell’ascolto e del farsi della voce, del canto, della parola è quindi il corpo, il corpo vibrante. L’orecchio è specializzato nel ricevere e distinguere le frequenze armoniche. Le frequenze fondamentali passano attraverso il corpo. L’orecchio è dentro il corpo. L’aria è in movimento intorno a noi, dentro a noi (respiro) consentendoci l’ascolto e la produzione dei suoni (voce).

L’essere umano è un corpo vibrante come qualunque altro essere vivente sulla terra. La ricezione delle onde sonore è regolata dalle leggi fisiche della risonanza: un corpo atto a vibrare mette in vibrazione un altro corpo atto a vibrare con le medesime frequenze. In altre parole si ha risonanza quando una forza esterna agisce su un sistema fisico con una frequenza capace di amplificare il moto del sistema stesso. La risonanza è una realtà come la forza di gravità, alla quale non possiamo sottrarci. È così reale da essere stata dimenticata. La risonanza corporea caratterizza la vita di ogni uomo a partire dal grembo materno, la prima orchestra.

Il suono è all’origine delle nostre esperienze, delle nostre emozioni, della nostra memoria. La vita prima della nascita è relazione per eccellenza. Ogni essere umano, nuovo e unico, è stato accolto e si è formato nella relazione. Il grembo materno è la prima orchestra.

Il corpo è il luogo, il tempo e la memoria delle emozioni. L’ordine ritmico del battito cardiaco, del respiro e dei passi della madre vissuti nel grembo materno (la prima orchestra) sono il fondamento della memoria, dell’ordine originario. Il pulsare cardiaco procede con ordine di ritmo e di tempo. Con la nascita il bambino sperimenta il passaggio dal galleggiamento alla gravità, dalla trasmissione liquida del suono a quella per via aerea, dal suono/ritmo/movimento ininterrotto al silenzio (inteso come quiete). Il bambino respira, si emoziona, si relaziona. Egli esprime tutto sé stesso attraverso il suo corpo vibrante.

La parola nasce nel e dal canto. La voce è espressione delle emozioni. La voce è ricca di risonanze armoniche, è suono per eccellenza. Vocali e consonanti hanno una natura diversa. Le prime hanno formanti armoniche specifiche e dipendono dalla posizione della bocca e delle labbra. A parità di intonazione, la U è la vocale con formanti armoniche più gravi, la I è quella con le formanti armoniche più acute. Le consonanti sono timbri sonori, articolazione di bocca, labbra e lingua che nella maggior parte dei casi necessita della vocale per “suonare”: non a caso si chiamano con-sonanti.

Parola e suono hanno caratteristiche in comune. Ogni parola pronunciata è la sintesi di timbro, altezza, intensità, durata che sono anche gli attributi del suono:

  • timbro (vocali e consonanti)
  • altezza (intonazione della voce, melodia della parola e della frase)
  • intensità (non solo il volume della parola, ma anche il susseguirsi degli accenti)
  • durata (ritmo della parola e della frase che ne favorisce la comprensione e l’espressione emotiva)

Cosa accade quando un bambino è seduto o sdraiato sulla cassa armonica del pianoforte a coda? Come agiscono le onde sonore dentro di lui? Come suonare per favorire il cambiamento? Andiamo con ordine.

Gli strumenti acustici, nati come prolungamento del corpo umano, producono onde vibratorie attraverso l’amplificazione delle casse di risonanza (riproduzione del Corpo Vibrante). Il pianoforte a coda presenta il vantaggio di una grande cassa di risonanza e una vasta gamma di frequenze (da Hz 27,50 per il tasto più grave, a Hz 4184 per quello più acuto). Per buona parte della seduta di musicoterapia, il bambino o ragazzo è seduto o sdraiato sul coperchio del pianoforte a coda, in modo da essere avvolto, immerso e cullato nelle onde sonore che lo raggiungono per risonanza.

La musicoterapeuta suona osservando ed osserva suonando, cosciente del ruolo comunicativo che realizza nel gioco creativo dei suoni.

Improvvisare è creare la musica per rispecchiare, favorire accompagnare una persona a non sentirsi sola, per andare verso processi naturali di cambiamento e trasformazione.

Sulla tastiera, in ogni momento, genera sonorità, ritmi, melodie, armonie con i quali “parla”, guida, asseconda, accompagna, approva, reagisce ecc. secondo ciò che caratterizza il “noi” del dialogo. L’empatia prende corpo, prende suono attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte (Balestracci Beltrami, 2018b)

Ogni esperienza, positiva o negativa si imprime nel corpo. Le emozioni si manifestano all’esterno attraverso il movimento, i gesti, le posture, gli sguardi, il farsi della voce. Le emozioni non sono buone o cattive, sono emozioni. Entrare nel cuore del dolore, della sofferenza, della rabbia attraverso la musica: questo è la musicoterapia.

Il bello dell’arte insito nel dialogo creato dall’improvvisazione comunicativa al pianoforte, favorisce il sorgere di qualcosa di imprevedibile. Le emozioni sono apprezzate e valorizzate. Si apre la via verso qualcosa di nuovo. Il nuovo e il bello possono anche fare paura. Riconoscere, ammettere la paura e attraversarla, porta verso la gioia di vivere.

L’improvvisazione musicale è formata da ritmi, melodie, accordi creati al momento per far sorgere l’ascolto dell’altra persona.
Il valore dell’improvvisazione musicale emerge solo se è dialogo. Il dialogo attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte, traduce in musica le emozioni del bambino.  La musicoterapeuta improvvisa con la consapevolezza delle emozioni proprie e altrui. Suo compito è accogliere, rispettare, valorizzare il dolore attraverso il bello dell’arte.

Possiamo fingere di non comprendere le parole, possiamo chiudere gli occhi (e anche le orecchie), ma non possiamo sottrarci al suono. Le onde sonore sono onde di energia, ci raggiungono anche se non ce ne accorgiamo. Fanno vibrare il corpo attraverso la risonanza.

La musicoterapeuta legge la Partitura Vivente, termine coniato da Edith Stein (Di Pinto, 2002), che sta davanti a lei. Si tratta di lettura, non di interpretazione, perché il corpo vibrante di emozioni è lo strumento originario. Il bambino si sente accolto, ascoltato, valorizzato perciò che è prima ancora che per quello che sa fare. Alcuni modelli di musicoterapia distinguono quella attiva (il paziente suona o canta) da quella passiva (che comprende solo l’ascolto).

La Musicoterapia Umanistica, “Arte della Comunicazione” (termine coniato da Giulia Cremaschi Trovesi, caposcuola della Musicoterapia Umanistica), non pone questa separazione. Il bambino o ragazzo (partitura vivente) è protagonista della sua crescita e del suo cambiamento, perché attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte si crea  uno spazio di ascolto e stimolo all’interno del quale ogni individuo, nell’emozione dei suoni, può conoscere sé stesso ed accedere alle proprie personali risorse. Il pianoforte a coda è utilizzato per la vasta gamma di frequenze a disposizione (da 27,50 Hz a 4186 Hz) e l’ampiezza della cassa armonica. Gli altri strumenti acustici a corda, a fiato, a membrana e a percussione, sono usati in base alle esigenze che si creano nel contesto della terapia.

Le onde sonore, cullano, avvolgono, penetrano in profondità, favorendo la percezione del proprio corpo e il riconoscimento delle proprie emozioni. I genitori presenti condividono le emozioni in gioco, lentamente lasciano andare anche le loro resistenze. Arrivano spesso esausti, affaticati, in ansia o depressi per le fatiche che la situazione comporta e vanno via rilassati, rianimati, oserei dire ringiovaniti, perché la musica fa bene anche a loro.

La nascita spontanea del linguaggio verbale dipende in gran parte dalla relazione adulto bambino. Genitori che cantano e giocano con i loro figli favoriscono istintivamente il processo di crescita psicomotoria e di apprendimento naturale del linguaggio. Il gioco musicale con tanti strumenti messi a disposizione, il dialogo sonoro, l’improvvisazione comunicativa al pianoforte creano un contesto di opportunità costruttivo. Non c’è nulla da interpretare, l’importante è vivere, condividere le emozioni generate nell’esperienza. La musica così concepita fa bene, oserei dire, a chi la fa e a chi la riceve perché nel dialogo che si crea tutti sono protagonisti.

La Musicoterapia Umanistica non è una teoria (Balestracci Beltrami, 2018c). Essa è nata dall’esperienza con bambini audiolesi fatta dalla prof.ssa  Giulia Cremaschi Trovesi presso l’Istituto sordomuti di Torre Boldone (BG) più di quarant’anni fa. Quello è stato l’inizio. Poi gli studi e l’incontro con centinai a di bambini affetti dalle patologie più disparate le ha fatto maturare un approccio che ha trovato doppia conferma, oserei dire professionale e istituzionale.

Da una parte le equipe medico/riabilitative che hanno in carico i piccoli pazienti seguiti in musicoterapia in molte città italiane hanno riconosciuto i benefici che derivano da questo intervento (confermati e “misurati” da appositi test e riguardanti sfera della relazione, comunicazione, sviluppo psicomotorio, del linguaggio verbale e cognitivo), tanto da richiederlo come parte integrante del percorso terapeutico dei bambini. Tali esiti, un tempo esclusiva della Cremaschi e dei primi professionisti che l’hanno seguita, tanto da far pensare che ci fosse qualcosa di “magico” nel suo modo di agire, sono oggi competenza di molti. E questo conferma la validità e la scientificità dell’approccio umanistico della musicoterapia.

D’altra parte l’adesione volontaria della FIM alla legge 4/13 (HERE) sulle nuove professioni e la partecipazione alla stesura della norma tecnica UNI conseguente alla legge stessa, hanno portato la Musicoterapia Umanistica della Cremaschi ad essere un’apripista nel complesso mondo della musicoterapia italiana. A partire dall’ottobre 2015, la FIM è regolamentata in base alla norma UNI 11592 sulle Arti terapie e i suoi professionisti sono certificati all’interno di questi parametri legislativi.

Nel 2016 è iniziato il primo Corso quadriennale di Musicoterapia Umanistica “Giulia Cremaschi Trovesi” patrocinato da FIM, APMM (fondata nel 1991) e Conservatorio “G. Donizetti” di Bergamo, impostato secondo le linee guida di abilità, conoscenze e competenze della norma tecnica UNI 11592. Nel luglio 2020, inizierà un nuovo quadriennio di studi aperto a musicisti con formazione formale o informale che corrisponda al quadro europeo delle qualifiche EQF 6 (laura o diploma di primo livello).

Dopo anni di sterili disquisizioni tra il mondo accademico musicale e quello medico sulla formazione del musicoterapeuta, la legge 4/13, la norma UNI 11592 e la successiva certificazione hanno dato ragione ad una musicoterapia fatta di suoni e di musica che diventano dialogo, vita e speranza per le persone che ci sono affidate.

 

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Balestracci Beltrami, P. (2009a). Il mio primo libro di musica. Roma: Armando Editore.
  • Balestracci Beltrami P. (2009b). Il mio primo libro di musica. Guida per insegnanti e genitori. Roma: Armando Editore.
  • Balestracci Beltrami, P. (2018a) Musicoterapia arte della comunicazione. Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio. Ricavato il 2/07/2018, dalla PAGINA.
  • Balestracci Beltrami, P. (2018b) Musicoterapia arte della comunicazione. Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio. Ricavato il 9/07/2018, dalla PAGINA.
  • Balestracci Beltrami, P. (2018c) Musicoterapia arte della comunicazione. Il suono e la musica all’origine della relazione, del movimento e del linguaggio. Ricavato il 9/07/2018, dalla PAGINA.
  • Cremaschi, G. (2014). La partitura vivente. Dialogare attraverso l’improvvisazione comunicativa al pianoforte. Roma: Armando Editore.
  • Di Pinto, L. (2002) Corporeità come “partitura musicale”. In a cura di Di Pinto, L. Metamorfosi e musica in fenomenologia. Bari: Edizioni Laterza
  • Righini, P. (1994). L’acustica per il musicista. Fondamenti fisici della musica. Milano: Ricordi.
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