Dal 13 al 15 settembre in Romania si è svolto il quarto congresso internazionale della REBT (Rational Emotive Behavior Therapy) intitolato The Role of “The Classics” in the Present and Future of Psychology. Duecento partecipanti, un po’ come avveniva in certi congressi di una volta in cui ci si conosceva tutti. Il vantaggio? La possibilità di uno scambio reale tra tutti i presenti..
REBT: dall’osmosi con la CBT ai principali punti di forza
Dal 13 al 15 settembre a Cluj Napoca in Romania si è svolto il quarto congresso internazionale della REBT (Rational Emotive Behavior Therapy) intitolato The Role of “The Classics” in the Present and Future of Psychology
La REBT è la forma primigenia di terapia cognitiva e in qualche modo condivide con la cognitive behavioural therapy (CBT) di Beck e Clark la definizione di forma standard di terapia cognitiva. Il che è in parte vero se non altro perché la REBT ha affermato per prima il principio del primato della mediazione cognitiva come chiave di esplicazione degli stati mentali, sia emozionali che sintomatologici. D’altro canto però la REBT non ha mai prodotto i rigorosi studi di efficacia specifici per diagnosi psichiatrica che hanno fatto la fortuna mondana della CBT di Beck e Clark. Questo è il suo svantaggio. In questo senso potremo sospettare la REBT gode dello status di terapia cognitiva standard e di provata efficacia per una sorta di osmosi con la CBT. È una condizione un po’ parassitaria di cui godono anche molte altre terapie cognitive le quali peraltro non hanno i meriti storici della REBT.
La REBT però ha anche i suoi punti di forza. Mentre il congresso internazionale CBT di Berlino di luglio è stato una kermesse faraonica con migliaia di partecipanti, alla REBT invece si era in duecento, un po’ come avveniva in certi congressi di una volta in cui ci si conosceva tutti. Il vantaggio è la possibilità di uno scambio reale tra tutti, mentre invece al congresso faraonico si finisce per chiudersi nella bolla dei simposi e dei workshop che interessano al singolo. Un altro vantaggio è la minore dispersione: al congresso CBT, accanto alla uniforme rigorosità scientifica del mainstream, tutto declinato secondo il modello CBT britannico della triade di Oxford (Clark, Salkovskis e Fairburn) delle presentazioni, vi è un’eccessiva varietà del retroterra formativo, nel quale ormai confluisce di tutto, compresi percorsi costruttivisti o integrati lontanissimi dalla CBT. Al congresso REBT invece tutti condividono un percorso formativo comune e questo facilita la discussione clinica e tecnica.
Tuttavia il principale punto di forza della REBT è un altro: il suo principio di funzionamento ha le sue caratteristiche specifiche e differenti dalla CBT che in qualche modo hanno anticipato alcuni sviluppi recenti della terapia cognitiva. Il primato dell’informazione nella REBT è declinato secondo principi che sono in gran parte processuali e metacognitivi e non di contenuto come nella CBT: mentre nella CBT si gestisce lo stato emotivo disfunzionale ragionando in che misura un certo rischio è reale, nella REBT si mette in discussione l’intollerabilità e la non accettazione (denominata “demand”, pretesa, o “should”, doverizzazione) di uno scenario negativo. Si lavora non su una previsione ma su una valutazione di uno stato emotivo, e quindi metaemotivamente se non proprio metacognitivamente.
The Role of “The Classics” in the Present and Future of Psychology – La parola agli esperti
Su questa possibilità di sviluppo futuro si gioca il destino della REBT e su di essa ha giocato nella plenaria introduttiva Daniel David, organizzatore del congresso e professore all’Università di Cluj Napoca, sviluppando queste analogie tra REBT e modelli processuali di terza onda. David tuttavia lancia un ponte anche verso certi sviluppi costruttivisti che guardano all’elaborazione cognitiva tacita e implicita e che in qualche modo si sono avvicinati al modello psicodinamico. Mi chiedo però se David comprenda che le due strade sono alternative non compatibili tra loro. Il processualismo si concentra su funzioni mentali esecutive sottoposte a controllo volontario e cosciente, il costruttivismo privilegia i processi impliciti, inconsci e non esecutivi.
Un discorso analogo, ma più clinico, a quello di David è stato proposto da Raymond DiGiuseppe –attuale direttore didattico dell’Ellis Institute di New York e professore alla St. John University- nella sua plenaria dedicata alle caratteristiche cliniche della REBT.
Nella stessa giornata abbiamo assistito a una dimostrazione clinica, in cui Kristene Doyle ha impersonato una terapeuta REBT mentre Arthur Freeman ha impersonato un terapeuta CBT e una studentessa romena, Tania, ha impersonato una paziente in stato depressivo per la morte di un suo caro amico. La dimostrazione ha dimostrato plasticamente la differenza tra i due orientamenti, con la REBT avvantaggiata nell’ispirare tolleranza e accettazione degli aspetti negativi della vita e la CBT più adatta a indebolire il distorto giudizio negativo che la paziente dava di sé a partire da circostanze esterne.
La giornata di sabato ha confermato questa convergenza tra REBT e processualismo con altre due plenarie, quella di Douglas Mennin della Columbia University che ha esposto il suo modello processualista, la Emotion Regulation Therapy, sottolineandone le analogie con la REBT, e quella di Steven Jay Lynn, il quale investigando le molte mancanze delle nostre conoscenze sulla psicoterapia ha giustamente concluso che il futuro sviluppo di questa disciplina dovrà sempre più privilegiare l’esplorazione dei processi.
Durante il congresso erano molti i simposi che affrontavano i problemi transculturali di applicazione della REBT in paesi del Sudamerica e dell’Europa orientale dove sono presenti degli Istituti REBT, come il Perù, l’Argentina, la Romania e la Turchia. I problemi principali sembrano essere il cozzo tra la promozione dell’autonomia relazionale facilitata dalla REBT e i residui patriarcali e tradizionalisti di queste società in cui il controllo sociale prevale sull’autonomia individuale. Un altro limite è la difficoltà di diffondere la possibilità di incrementare il senso di agency e mastery per mezzo della disputa REBT in culture che sembrano invece privilegiare l’insormontabilità degli stati emotivi, un problema che per la verità sembra riguardare anche l’Italia e che, forse, riguarda più i terapisti che i pazienti.
Domenica infine c’è stata la giornata di chiusura con le presentazioni di Arthur Freeman e di Irving Kirsch. Freeman è stato molto evocativo e coinvolgente, descrivendo lo sviluppo della REBT dai tempi di Albert Ellis al presente e incoraggiando gli sviluppi futuri mentre Kirsch ha esplorato l’effetto placebo degli psicofarmaci rivelandoci che esso è molto più ampio di quanto pensassimo. Le conseguenze di una simile riflessione sono per la psicoterapia al tempo stesso incoraggianti e scoraggianti. Incoraggianti perché confermano che anche negli psicofarmaci l’effetto è più psicologico che chimico, il che consola noi psicoterapeuti. Tuttavia un simile risultato né deve consolarci troppo perché il processo psicologico del placebo risulta essere troppo vago per essere interpretato come un dato a favore della forza dei processi psicologici, in qualche modo vicini alla classe dei cosiddetti fattori comuni. Non possiamo accontentarci di un simile effetto così generico. La psicoterapia si svilupperà man mano che comprenderemo la sua specificità d’azione che non può risolversi in un vago incoraggiamento delle aspettative e delle speranze del paziente, come fa appunto l’effetto placebo.
La REBT in Italia: le slides dell’intervento di Giovanni M. Ruggiero