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La solitudine, fonte di benessere ma di altrettanta patologia

Oggi la cronicizzazione del vissuto di solitudine e la dipendenza dai nuovi strumenti tecnologici è alla base di molte condizioni di sofferenza psicologica.

Di Silvia De Napoli

Pubblicato il 28 Ago. 2019

Alcuni studi suggeriscono che la solitudine è un vissuto essenziale nel determinare l’attivazione dell’individuo e la ricerca della socialità. L’assenza reiterata di stimolazione alla socialità, un rischio più che mai concreto nella società attuale, potrebbe condurre a comportamenti ansiosi e depressivi.

 

Seneca ci tramanda “La solitudine è per lo spirito ciò che il cibo è per il corpo”, il nostro più recente Schopenhauer scrive “Ciò che rende socievoli gli uomini è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi”. Sin da quando ne abbiamo traccia scritta, le riflessioni dei grandi pensatori si sono soffermate sulla condizione della solitudine / compagnia che segue l’umana condizione da sempre.

Ci sono diversi modi di vivere la solitudine, ne diventa criterio determinante il contesto, l’esperienza soggettiva, può quindi avere connotazioni positive, costruttive o al contrario connotare uno stato negativo, di disperazione. La solitudine evoca aspetti contraddittori: il restare piacevolmente con se stessi, rifugiandosi nel proprio intimo o altresì vivere l’abbandono altrui e quindi la condizione di isolamento/esclusione sociale.

A prescindere da queste connotazioni opposte, positivo vs. negativo, è uno stato fisico, interiore quanto inevitabilmente perturbante. Tale condizione è stata scarsamente studiata dalle ricerche specifiche ma aleggia negli scritti più importanti dell’ultimo secolo, da Freud a Fromm-Reichmann, Tillich, Rank, et Alii. Si tratta, perciò, di una forzatura se lo connotassimo come fenomeno tipico delle nuove generazioni, o frutto di una globalizzazione tecnologica, oppure un fenomeno del nuovo millennio sopraggiunto con l’avvento delle nuove tecnologie.

Etimologicamente il termine solitudine riporta al termine “separare”, composta da “se”: divisione e “parare”: parto. Perciò il termine ci riporta alla separazione del neonato dalla madre, con la conseguente perdita dello stato simbiotico di due essere viventi in un solo corpo, uno nutre il copro dell’altro e questo lo spirito del primo. Il termine stesso ricorda all’individuo la perdita subita per poter sopravvivere, per entrare nell’esistenza, la condizione necessaria è la perdita del duo e l’acquisizione della condizione di solitudine.

Alcune ricerche sociologiche italiane, tra cui quella citata dal Corriere della sera (2008) o dall’ Avvenire (2018), riportano i dati allarmanti in cui 3 milioni di persone dichiarano di non avere una rete amicale o di sostegno. Se si osservano i censimenti degli ultimi 40 anni italiani, il numero di persone sole è cresciuto esponenzialmente, per l’invecchiamento della popolazione, il minor numero di figli nati, legami sentimentali liquidi come li chiamerebbe Bauman.

La solitudine dei nostri tempi nei giovani

La solitudine oltre che un vissuto intrinseco all’esistenza umana, oggi diviene sempre di più una condizione sociale. Cosa è accaduto quindi alla nostra società? Abbiamo assistito ad un processo di indipendenza individuale sempre più imponente con l’avvento della globalizzazione, l’indipendenza fonte di solitudine e la globalizzazione che ci connette ad una sempre più ampia fetta di umanità: due fenomeni in netto contrasto. Allo stesso tempo la quotidianità ci spinge a ottimizzare i tempi ad essere sempre più autonomi, indipendenti, quindi è necessario mantenere questo status, giostrando le nostre vite tra i diversi impegni, diversivi e ruoli. Le relazioni, le associazioni diventano di breve durata, superficiali, per entrare in una relazione profonda e duratura ci vuole tempo ed energia, e questo non è possibile: bisogna ottimizzare il tempo e le energie per stare al passo. La solitudine invade anche gli “insospettabili”, coloro i quali hanno tante relazioni, sono presenti in diversi gruppi social e hanno milioni di Followers.

Si tende ad affidare i propri pensieri, le proprie parole e i propri rapporti umani a strumenti capaci di raggiungere un pubblico sempre più ampio: telefonini, pc, tablet. La comunicazione perde di contatto fisico, divenendo una finta comunicazione che favorisce l’isolamento in quanto aiuta a perdere la capacità di sostenere un reale rapporto con l’altro da sé.

Il periodo della vita maggiormente a rischio in questo panorama in costante mutamento e quindi per nulla solido è l’età adolescenziale, momento dell’esistenza di passaggio, in cui si passa da una condizione di infantile illusione alla realtà responsabilizzante dell’adulto, per fare questo passaggio sono necessari elementi di stabilità e solidità che portino alla formazione di una personalità adulta e matura. Cosa che diviene sempre più complessa in un contesto socio-economico e affettivo in continuo mutamento, le famiglie perdono il ruolo di guida, in quanto rese fragili dai mutamenti sociali, dalle separazioni, dalle assenze, dai divorzi, dalle carenze nella comunicazione e nel dialogo.

In questo panorama che colpisce giovani e meno giovani, l’oggetto diviene il surrogato privilegiato di un appagamento illusorio della propria solidità, infatti va a sostituire l’affettività, l’autostima, la realizzazione: io sono ciò che ho!

Viene sempre meno il tempo da dedicare alla cura e alle attenzioni all’interno della famiglia, non si ha più tempo per le relazioni, deprivando i giovani esseri umani delle basi sulle quali costruire la propria identità, lasciandoli, perciò facili prede dei mass media, delle mode, deli gruppi social e del virtuale portando l’individuo ad un isolamento sempre più profondo, in quanto non si sceglie di restare soli, non si sceglie la condizione di solitudine ma diviene obbligata, non si posseggono gli strumenti per evitarla, sprofondando in un virtuale di relazioni intrecciate superficiali e numericamente spaventose, verso un reale isolamento sempre più profondo e immodificabile.

Anis mette in guardia dagli attacchi alla democrazia, raggiunta con tanti sacrifici umani, mettendo sul banco degli imputati internet, il web e i grandi Data come Microsoft, Apple, Facebook, Amazon, Whatsapp, Twitter, Google et alii. Reclama gli spazi di confronto e dialogo, usurpati dal web, il quale promuove l’autoreferenzialità, prediligendo l’odio verso opinioni e stili diversi, “hate speech”: parole violente come spari. La democrazia, la libertà di opinione rischiano di essere superate da una tecnologia sempre più autoritaria che privilegia velocità e semplificazione a riflessione e tempi. Intendiamo in questo senso la democrazia di Anis nel nostro contesto, come un bene collettivo fatto di relazioni e umanità.

Solitudine epifenomeno della salute mentale

Secondo studi oramai consolidati dalla ricerca, la solitudine influenza l’attivazione dei neuroni dopaminergici e serotoninergici, che sono alla base del nostro benessere emotivo. L’uomo preistorico aveva necessità di affiliarsi in gruppi di umani per sopravvivere, assicurando protezione per sé e la prole. Il cervello è settato ancora su quelle frequenze, se l’uomo vuole sopravvivere deve avvalersi della protezione e del sostegno di altri umani, è un meccanismo biologico che conduce l’individuo a cercare relazioni sociali. Come si è visto in precedenza, la solitudine è un vissuto naturale nell’esperienza umana ma se diviene uno stato cronico può portare a stati depressivi, disturbi post-traumatici da stress, ansia, panico, aspetti correlati alla salute mentale.

Alcuni studi si sono concentrati sui meccanismi dei neuroni dopaminergici e serotoninergici nella regione del cervello denominata nucleo del rafe dorsale in correlazione alla socialità/isolamento dei topi. Tali studi conducono ad osservare come la solitudine sia essenziale come vissuto nell’attivazione del meccanismo di ricerca della socialità, e come di per sé non conduca a comportamenti negativi, ma l’assenza reiterata di stimolazione alla socialità conduce a comportamenti ansiosi e depressivi.

Ne deduciamo che l’essere umano oscilla tra stati di solitudine e ricerca di contatti sociali, infatti l’uomo nasce dipendente dal cargiver, generalmente la madre che accudisce il nascituro, e resta dipendente dai bisogni primari, quindi cibo, riproduzione, ristoro, l’uomo in modo illusorio si sente un essere libero. Nel panorama odierno in cui si costringe alla solitudine, attraverso un vuoto affettivo e relazionale, come abbiamo citato in precedenza, in cui l’oggetto diviene il surrogato del proprio sé non ci stupirà se il fenomeno della dipendenza associata ad una cronicizzazione del vissuto della solitudine producono fenomeni patologici quali depressioni, dipendenze patologiche, new addiction, disturbi dell’umore (Rimandiamo agli specifici studi sulla depressione e la solitudine in correlazione all’abuso di internet: Bessiere, 2010; Young & Rogers, 1998; Kotikalapudiet et al., 2012; Costigan et al., 2013; Rauch et al., 2013).

A questo proposito la panoramica del fenomeno della dipendenza patologica prende diverse forme, identificandosi in “oggetti surrogati” differenti al fine di colmare quel vuoto esistenziale, il vuoto relazionale e affettivo, a colmare una solitudine che deriva dagli standard sempre più elevati richiesti dal mondo esterno, dal bipolarismo del tutto o niente. I giovani adolescenti del nuovo millennio posseggono tutto e troppo, dal cibo, agli oggetti tecnologici, all’abbigliamento sempre più alla moda, in un palmo raggiungono qualsiasi informazione, luogo, persona, tutto questo senza essere in grado di esprimere la propria volontà ed identità.

Tutti questi sono fattori che contribuiscono all’insinuarsi di patologie gravi che deteriorano la qualità della vita dell’individuo e della società poi. Ecco l’insinuarsi dei disturbi alimentari che mentre nel ventennio precedente assumeva un allarme per le tendenze di deprivazione al cibo, oggi vira nell’esatto opposto l’eccesso di cibo, le dipendenze, che venivano vissute come comportamenti trasgressivi all’interno di specifici gruppi devianti oggi si trasformano in dipendenze “condivise” dalla maggioranza della popolazione giovanile, vedasi tutte quelle relative alle tecnologie.

Il vero allarme, quindi non è nella solitudine di per sé che è un esperienza umana come altre, ma se quell’esperienza non viene supportata da strumenti adeguati diventa un evento traumatico, temuto, evitato e infine subito.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Ainis, M. (2018). Il Regno dell’Uroboro. La nave di Teseo ed., Milano.
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  • Selby, J. (1999). Elogio della solitudine. Armenia ed., Milano.
  • Talec, P. (2002). La solitudine: viverla o subirla? Paoline ed., Milano.
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