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Dipendenza affettiva e pensiero desiderante – Riccione, 2019

Dipendenza affettiva e pensiero desiderante: quale relazione? La risposta in uno studio presentato al Forum di Ricerca in Psicoterapia di Riccione

Di Manuela Tedeschi, Simona Pappacena, Maria Sol Mancebo, Francesca Cavaiani

Pubblicato il 30 Ago. 2019

Proponiamo al lettore la ricerca presentata all’ultimo Forum di Riccione svoltosi a Maggio 2019 che indaga il pensiero desiderante nella dipendenza affettiva.

 

Qui il link per partecipare alla nostra ricerca, una breve introduzione alla tematica e i principali risultati del nostro studio.

Quando l’amore diventa una dipendenza?

Si parla di dipendenza d’amore (Fisher 2006; Miller, 1987; Schaef, 1987; Sussman & Ames, 2008) quando l’amore impregna la vita quotidiana, porta ad una serie comportamenti non controllati a cui seguono conseguenze negative, fino a divenire un vero e proprio disagio psicologico. La persona amata diviene, in questo caso, oggetto del desiderio e presenza costante e pervasiva dei propri pensieri, al punto che viene considerata come assolutamente necessaria per vivere. In tal caso l’amore viene considerato una dipendenza (Giddens, 1998) poiché ad una prima fase di sensazione di euforia, di ebrezza, di piacere connesso alla droga d’amore che comporta la continua ricerca dell’altro, nonostante possano esserci delle conseguenze negative (fase di costruzione dell’oggetto della dipendenza), segue una successiva necessità di incrementare la quantità di tempo in compagnia della persona amata, come se si dovesse aumentare sempre di più la dose (tolleranza) per raggiungere l’effetto desiderato ed evitare la classica crisi d’astinenza dovuto alla mancanza di una “presenza interiorizzata” del partner.

Di fatto, capita che se l’oggetto d’amore viene percepito come non più disponibile, scattano meccanismi di “disperazione”, caratterizzati, ad esempio, da un oscillamento dell’umore notevole (labilità emotiva) e da un’incapacità a controllare il proprio comportamento.

Si parla, pertanto, di dipendenza affettiva, disturbo caratterizzato dall’instaurazione di un pattern problematico di relazioni affettive che determina un marcato disagio a sua volta associato alla ricerca delle stesse, nonostante vi sia la consapevolezza dei suoi effetti negativi (Reynaud, 2010).

Questo tipo di dipendenza rientra nella categoria delle New Addiction, ed è una dipendenza di tipo comportamentale poiché non ha come oggetto alcuna sostanza. Il suo nucleo centrale infatti risiede nella relazione (psicosociale) con un altro significativo. La persona dipendente seleziona strategie cognitive che favoriscono il processo di ego-depletion (esaurimento dell’Io) tra cui il pensiero desiderante, ovvero una modalità ripetitiva di elaborazione dei propri desideri (Caselli, 2017). È una forma di rimuginio e, come tale, la sua caratteristica fondamentale è la ripetitività e la capacità pervasiva di occupare lo spazio mentale. Questo processo mentale è caratterizzato da una forte attenzione focalizzata (fissazione) su di sé, ed ha una natura di tipo ricorrente e perseverante.

Il pensiero o rimuginio desiderante si esprime attraverso l’elaborazione di informazioni relative a un oggetto o attività piacevoli sia in forma immaginativa (imaginative prefiguration), come ad esempio la costruzione di immagini mentali dell’oggetto desiderato (Kavanagh et al., 2009), sia in forma verbale (verbal perseveration), caratterizzato da un “discorso interno”, di tipo verbale, ripetitivo e con dichiarazioni auto-motivate (Caselli e Spada, 2010).

La funzione principale di tale processo risulta essere quella di motivare all’azione concreta poichè aiuta a mettere in evidenza e a far riaffiorare alla coscienza le conseguenze positive dell’oggetto del piacere, permettendo di assaporarle in anticipo. Il rimuginio desiderante ha un impatto negativo sulla regolazione degli stati emotivi, correla con l’ansia contribuendo al suo mantenimento e aggravamento (Borkovec et al., 1990) e spesso si associa ad un basso livello di consapevolezza metacognitiva. L’uomo possiede una capacità autoriflessiva sul proprio funzionamento cognitivo definita meta-credenza. Il rimuginio desiderante è sostenuto in particolare da metacredenze positive che, in modo disfunzionale ne sostengono l’utilità, mantenendo uno stato di eccitazione (Wells, 2012). Il pensiero desiderante tende ad avere delle similitudini con il craving, con il quale sono in una relazione di mutua influenza (Caselli e Spada, 2011), ma si differenziano poichè quest’ultimo rappresenta un’esperienza motivazionale interna, mentre il pensiero desiderante è uno stile di elaborazione delle informazioni.

Dipendenza affettiva e pensiero desiderante: lo studio

Pappacena, Tedeschi, Mancebo, Cavaiani e Fiore hanno esaminato un campione non clinico di soggetti italiani (n 213) attraverso la somministrazione online di diversi test con l’obiettivo di indagare la relazione tra la dipendenza affettiva e il pensiero desiderante.

Sono state eseguite diverse analisi statistiche sui dati ottenuti.

I dati di correlazione dimostrano la presenza di relazioni positive tra tutte le variabili oggetto di studio. Si è proceduto pertanto alla realizzazione di una regressione, prima lineare e poi gerarchica.

Dall’analisi dei coefficienti di regressione lineare si rileva che le variabili indipendenti che spiegano in maniera significativa la variabilità della dipendenza affettiva sono il pensiero desiderante, la tendenza al craving, la ruminazione e l’autoconsapevolezza cognitiva. In particolare tra queste variabili, quella che ha avuto un maggiore peso è stata il pensiero desiderante (B=0.31).

È stato inoltre eseguito un modello di mediazione con l’ipotesi che l’autoconsapevolezza cognitiva possa essere la variabile di mediazione nel processo che determina l’effetto delle altre variabili indipendenti sulla dipendenza affettiva. Per questo si procede a valutare l’impatto dell’autoconsapevolezza sulla dipendenza affettiva mantenendo le altre variabili nel sistema costanti.

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Dipendenza affettiva e pensiero desiderante: cosa ci dicono i dati

Il pensiero desiderante risulta essere il predittore maggiormente significativo della dipendenza affettiva, laddove vi sia una tendenza alla stessa, rispetto ad altri fattori come la ruminazione, la propensione al craving e all’autoconsapevolezza cognitiva, anch’essi presenti.

Una minore consapevolezza del proprio funzionamento cognitivo, ha effetti diretti sulla dipendenza affettiva, pertanto, si associa ad una maggiore disposizione alla dipendenza affettiva e tale effetto risulta moderato dal pensiero desiderante, dalla ruminazione e dalla tendenza al craving.

Al momento non disponiamo di numerosi studi eseguiti in Italia e riteniamo che tale ricerca sia uno spunto per risvegliare l’interesse di chi opera in questo ambito affinché si possa continuare nell’indagine per permettere di creare in futuro protocolli d’intervento utili per i pazienti.

 

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