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Prendere fischi per fiaschi?

Secondo un recente studio gli stati motivazionali di una persona, costituiti da preferenze, scopi e desideri, influenzano la sua percezione della realtà.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 18 Lug. 2019

Gli individui hanno la tendenza a credere che la loro percezione del mondo esterno sia assolutamente veritiera e rappresentante la realtà e si stupiscono nello scoprire che non tutti percepiscono le situazioni nel loro stesso modo.

 

Un nuovo studio dell’università di Princeton e della Northeastern di Boston, recentemente pubblicato su Nature Human Behaviour, evidenzia come le persone sono solite riportare di aver visto ciò che desiderano si avveri ma che con molta probabilità sono anche più propensi a vederlo.

Gli individui hanno la tendenza a credere che la loro percezione del mondo esterno sia assolutamente veritiera e rappresentante il mondo esterno e si stupiscono nello scoprire che non tutti lo percepiscono allo stesso modo in quanto noi tutti generalmente vediamo ciò che vogliamo vedere e sentiamo quello che vogliamo sentire.

Molteplici sono gli esempi di dispercezioni e fenomeni illusori che sfidano il nostro sistema percettivo e visivo e ne evidenziano i limiti come nell’esempio del vestito (#TheDress) il cui colore ad alcuni appare essere blu o nero mentre per altri è bianco o oro.
Questa illusione si genera in larga parte a seconda della riflettenza e di come il nostro sistema visivo inferisce la provenienza della sorgente di luce che lo illumina, per cui sotto luce diretta la parte destra del vestito appare di colore bianco e oro mentre l’altra parte appare nera e blu (Lafer-Sousa, Hermann & Conway, 2015).

In un classico esempio relativo all’ambito della percezione visiva, condotto dall’università di Princeton e Darthmouth, è stato mostrato come due tifoserie calcistiche avversarie, a fronte di uno stesso accadimento sportivo, riportassero delle percezioni diverse riferendo una percentuale di falli calcistici maggiori effettuati dalla squadra avversaria (Hastorf & Cantril, 1954); allo stesso modo, soggetti a cui venivano presentati disegni lineari ambigui erano più propensi a riferire di aver visto l’interpretazione degli stessi più in linea con i risultati per loro più desiderabili, evidenziando una forte tendenza alla cosiddetta “percezione motivata” (Balcetis & Dunning, 2006).

Da queste evidenze appare evidente come gli stati motivazionali di una persona, costituiti dalle sue preferenze, i suoi scopi e i suoi desideri, abbiano un forte impatto sul processamento visivo degli stimoli esercitando un controllo attentivo top-down, aumentando cioè la risposta neurale allo stimolo atteso, tale per cui, a fronte di una stessa immagine, due individui potrebbero riportare di aver visto ciò che in realtà si aspettano e non ciò che è oggettivamente presente.

Tuttavia è ancora poco chiaro se questa propensione sia frutto di una “reale” distorsione percettiva o rappresenti banalmente un bias nelle risposte che i soggetti danno circa gli stimoli (Sharot, 2019).

Nonostante queste due interpretazioni non si escludano a vicenda in quanto la motivazione può avere un impatto di distorsione simultaneamente sia sulla percezione che sulla risposta finale dei soggetti, vi sono delle precisazioni da fare: se infatti la motivazione è in grado di alterare il processamento visivo allora a ciò dovrebbe corrispondere un’alterazione specifica nell’attività di pattern neurali presenti nelle aree visive.

Se al contrario corrisponde ad un bias nei report soggettivi, si dovrebbe osservare un segno di questa modulazione nelle regioni cerebrali chiave per gli aspetti motivazionali associati ad un alta ricompensa – in particolare il nucleo accumbens (NAcc) – prima ancora che il soggetto possa porre attenzione allo stimolo.

Percezione: l’influenza dei bias motivazionali

Con il fine di dissociare il più possibile questi due aspetti legati ai bias motivazionali, identificando così separatamente i loro contributi sui giudizi percettivi, Leong e colleghi del dipartimento di Psicologia di Stanford e della Northeastern University di Boston, hanno chiesto a 30 soggetti sperimentali di riportare giudizi percettivi per diverse immagini ambigue create in modo composito sovrapponendo un volto umano ad una casa (Leong, Hughes, Wang & Zaki, 2019).

Il compito sperimentale, composto da 40 trial e svolto all’interno dello scanner della risonanza magnetica funzionale, era composto da due condizioni: una di cooperazione nella quale i soggetti avrebbero dovuto svolgere tale compito percettivo insieme ad altri all’interno di un gruppo scommettendo su ciò che avrebbero poi visto e una di competizione con un altro gruppo.

Il compito percettivo consisteva nel giudicare per ogni immagine presentata la percentuale maggiore di presenza di una scena, cioè una casa, o di un volto umano. Se il gruppo avesse vinto la scommessa, categorizzando e giudicando correttamente e in modo oggettivo il contenuto dello stimolo ambiguo, avrebbe guadagnato una somma di denaro, in caso contrario la ricompensa sarebbe stata assegnata all’altro gruppo.

Per ogni trial, gli autori dello studio hanno valutato le risposte dei soggetti descrivendo una specifica funzione psicometrica sviluppata dalla relazione tra le categorizzazioni fatte dai soggetti che avevano riportato una proporzione maggiore di case nelle immagini e le relative proporzioni oggettive, manipolate dagli sperimentatori, tra volto umano e casa per ogni immagine per la condizione di cooperazione.

Per quanto riguarda la condizione di competizione la stima è stata effettuata sulle scommesse compiute dai gruppi sperimentali: i soggetti sono stati più propensi a riportare la categoria più inconsistente con la scommessa fatta dall’altro gruppo. Se infatti la scommessa dell’altro gruppo riportava la presenza di una proporzione maggiore di case nelle immagini che sarebbero apparse nei successivi trial, i partecipanti riportavano di aver visto più volti umani anziché case.

Tali evidenze hanno sottolineato come la motivazione a vedere un particolare stimolo, la casa o il volto umano, fosse in grado di distorcere le risposte dei partecipanti verso la categoria desiderata e attesa, corroborando i risultati dei precedenti studi sulla percezione e sui giudizi.

In secondo luogo, gli autori (Leong, Hughes, Wang & Zaki, 2019) hanno voluto altresì esaminare i meccanismi neurocomputazionali sottostanti i bias motivazionali nell’ambito dei giudizi percettivi, trovando che pochi secondi prima dell’osservazione dello stimolo ambiguo, ma poco dopo che ai soggetti venissero date istruzioni su quale stimolo avrebbe conferito una maggiore ricompensa, il segnale BOLD nel nucleo accumbens aumentava in modo proporzionale soprattutto in quei trial in cui i soggetti hanno successivamente valutato lo stimolo come appartenente alla categoria desiderata.

Conclusioni

In linea con i dati ottenuti, si deduce che l’attività del nucleo accumbens potrebbe aver predisposto le persone a categorizzare lo stimolo come desiderato, in quanto l’anticipazione di una ricompensa ha innescato l’attivazione del sistema dopaminergico e del nucleo accumbens, rinforzando comportamenti e stati interni motivati dalla ricompensa. Pertanto, il sistema assegna massima priorità e importanza a tutto ciò che risulta conforme all’ottenimento della ricompensa “distorcendo” così il processamento.

In aggiunta, Leong e colleghi (2019) hanno trovato un incremento dell’attività neurale nelle aree associate ai volti umani quando questi rappresentavano la categoria desiderata e attesa nelle immagini e viceversa, suggerendo che la motivazione a osservare e ad attendere una certa categoria di stimoli, di fatto ne aumentava la rappresentazione neurale, andando quindi presumibilmente ad alterare l’esperienza percettiva della persona.

Le persone infatti tendono ad avere più frequentemente giudizi percettivi distorti etichettando stimoli ambigui come corrispondenti alla categoria associata ad una loro ricompensa, anche quando essi vengono incentivati a riportare con accuratezza la loro esperienza percettiva e ad essere “puniti” con un guadagno minore di denaro quando ciò non accade (Leong, Hughes, Wang & Zaki, 2019).

Nelle loro discussioni, gli autori sottolineano l’influenza costante della motivazione e degli scopi e stati interni nella modulazione dell’attenzione selettiva contribuendo all’accrescimento di quella specifica letteratura che evidenzia come certe credenze, aspettative, desideri possano impattare fortemente il modo in cui processiamo le informazioni tramite l’attenzione, l’apprendimento e la memoria (Ferrari, Codispoti et al., 2008).

Lo studio americano preso in considerazione ha il pregio di aver facilitato, anche se con risultati ancora preliminari, la comprensione anche del processamento percettivo all’interno di gruppi che differiscono marcatamente nei loro giudizi circa un evento nonostante la rappresentazione di quest’ultimo sia unica e inequivocabile.

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