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Cosa aspettarsi quando non ce lo si aspetta

La capacità di prendere decisioni in condizioni di incertezza richiede un equilibrio tra quanto abbiamo appreso e quanto succede nell'ambiente.

Di Enrica Gaetano

Pubblicato il 21 Giu. 2019

L’ incertezza ha un impatto sui nostri processi di decision making, che ci permettono di stimare per ogni situazione l’ incertezza attesa (ovvero la variabilità relativa agli esiti di una decisione) e l’ incertezza inaspettata (cioè la variabilità relativa all’ambiente) al fine di rispondere velocemente ai cambiamenti dell’ambiente tramite la selezione del comportamento più efficace per la realizzazione dei nostri scopi.

 

Spesso l’esito di una nostra decisione è incerto e troppo di frequente siamo chiamati a prendere delle decisioni in situazioni inaspettate o delle quali non ci è dato sapere l’esito. Nella maggior parte dei casi questa tipologia di situazioni ci mette alla prova, ci regala una buona dose di frustrazione e ci costringe il più delle volte a dover sviluppare un certo grado di tolleranza.

Ci affidiamo alle abitudini, apprese e consolidate nel tempo, che ci rassicurano, a strategie di pensiero e comportamenti di controllo o evitamento per affrontare queste situazioni, o per meglio dire non affrontarle.

In termini evolutivi, il nostro cervello si è sviluppato per tentare di prevedere e anticipare quante più situazioni possibili sia appellandosi a esperienze passate, consolidate in memoria, e nei casi di novità o scarsa familiarità, sia provando per tentativi ed errori ad apprendere nuove modalità di comportamento o strategie decisionali per riuscire ad adattarsi e realizzare così i propri scopi.

Pertanto, a seguito di tali considerazioni, appare importante comprendere l’impatto che l’ incertezza ha sui nostri processi di decision making che ci permettono di stimare per ogni situazione, l’ incertezza attesa, ovvero la variabilità relativa agli esiti di una decisione, e l’ incertezza inaspettata, la variabilità relativa all’ambiente, al fine di aggiornare le nostre linee di condotta sul momento e rispondere velocemente ai cambiamenti dell’ambiente tramite la selezione del comportamento più efficace per la realizzazione dei nostri obiettivi o il raggiungimento dell’esito sperato e gratificante (Soltani & Izquierdo, 2019).

Incertezza attesa e incertezza inaspettata

La presa di decisioni e l’apprendimento all’interno di un contesto dinamico, perlopiù incontrollabile e incerto, richiede infatti un trade-off, ovvero un bilanciamento tra le nostre capacità di adattamento e un certo grado di precisione cioè la capacità di aggiornare continuamente le informazioni in nostro possesso in funzione dei feedback che ci provengono dall’esterno a seguito delle nostre azioni su quest’ultimo. La modalità migliore per realizzare tale equilibrio è tramite l’incremento del tasso di apprendimento a seguito di eventi inaspettati e la riduzione del tasso stesso quando questi eventi sono sufficientemente sotto controllo e stabili (Soltani & Izquierdo, 2019).

Nel dettaglio, gli studi contenuti nella Perspective recentemente pubblicata su Nature Review Neuroscience, di Soltani e Izquierdo, rispettivamente del dipartimento di Psicologia del Dartmouth College e dell’Università della California, si concentrano sulla definizione dell’ incertezza attesa e inaspettata e mostrano come sia possibile associare l’ incertezza attesa a quelle situazioni nelle quali si ha la probabilità di ricevere, o di non ricevere, una ricompensa attesa da uno stimolo o dalla messa in atto di un comportamento, e come questa debba essere stimata e valutata data la sua natura variabile o stocastica, anche quando la probabilità delle diverse ricompense rimane costate nel corso del tempo (Soltani & Izquierdo, 2019).

I contesti sperimentali di laboratorio utilizzati per lo studio di questa tipologia di incertezza si basano su modelli di apprendimento per errori nei quali l’aggiornamento complessivo del valore di uno stimolo o di un’azione dipende dal prodotto dell’errore di predizione, cioè dalla differenza tra il valore atteso di un’azione o stimolo – per ottenere l’esito desiderato – e l’outcome effettivo reale, determinando così la percentuale di quanto la persona è riuscito ad apprendere in quel contesto (Farashahi et al., 2017).

L’errore di predizione è indipendente dall’ambiente esterno e diventa centrale nei processi di apprendimento in quanto consente continui aggiornamenti dei valori attribuiti dal soggetto agli stimoli o alle azioni per raggiungere la ricompensa, contribuendo altresì alla computazione dell’ incertezza attesa (Preuschoff & Bossaerts, 2007).

Ciononostante, Preushoff e Bossaerts (2007) hanno suggerito che l’ incertezza attesa possa ridurre la percentuale di apprendimento per diminuire a sua volta l’impatto dell’errore di predizione quando i risultati dell’outcome sono piuttosto variabili; questa strategia si rivelerebbe particolarmente utile solo in contesti stabili dove la variabilità della ricompensa può essere stimata con più affidabilità, diversamente dai contesti più dinamici e imprevedibili.

L’ incertezza inaspettata è invece primariamente legata alla percezione soggettiva della persona circa i cambiamenti nella probabilità della ricompensa; questa definizione suggerisce che l’individuo avverte o percepisce drastici cambiamenti nell’ambiente, in un’ottica puramente soggettiva, come accadimenti “sorprendenti”, repentini nel tempo e inattesi rispetto ad un modello o piano previsionale fatto a priori da esso stesso, per guidare i suoi processi decisionali nonostante non vi sia stato alcun oggettivo cambiamento nell’ambiente.

Data questa definizione ne consegue che questa tipologia d’ incertezza può essere studiata soltanto attraverso l’analisi e l’indagine dei comportamenti della persona e che si debba fare riferimento al costrutto di volatilità o mutevolezza quando l’ incertezza è legata a cambiamenti reali che modificano la probabilità della ricompensa indipendentemente dal fatto che vengano percepiti o meno dalla persona (Soltani & Izquierdo, 2019).

Quali sono i meccanismi che ci consentono di regolare o “correggere” l’ incertezza tramite l’apprendimento?

Diversi modelli sono stati formulati per rispondere a tale domanda.

Il primo, di stampo bayesiano, assume che un osservatore ideale utilizzerebbe regole probabilistiche per stimare in modo ottimale il verificarsi di una ricompensa facendo ipotesi sul funzionamento e sulle caratteristiche dell’ambiente in modo tale da costruire un modello dello stesso per determinarne le regolarità e anticiparne le “sorprese” (Dayan, Kakade & Montague, 2000). Il modello dell’ambiente che si viene a costruire, viene continuamente aggiornato sulla base dei feedback provenienti da esso, in particolare sulla base di diversi parametri che potrebbero rappresentare alcune sue proprietà e caratteristiche, quali la probabilità della ricompensa, l’ampiezza della distribuzione dalla quale quest’ultima è tratta (vedi incertezza attesa) e la probabilità che uno o più di questi parametri possa cambiare nel corso del tempo (vedi incertezza inaspettata).

Tale modello tiene conto infatti dei differenti valori attribuiti sia alla probabilità di ricompensa che alla sua volatilità o mutevolezza dal momento che viene sviluppato per la selezione della scelta del comportamento da adottare, tramite processi di decision making, tenendo conto dei differenti valori attribuiti.

Tuttavia, a parere degli autori della Perspective (Soltani & Izquierdo, 2019), l’utilizzo dei modelli bayesiani per fare predizioni e apprendere in un ambiente particolarmente incerto non è appropriato nello spiegare la relazione che intercorre tra le due forme di incertezza in contesti naturali e risulterebbe di conseguenza complicato.

Per tale ragione, si preferisce ricorrere al cosiddetto “filtro di Kalman” che formalizza la relazione predittiva tra stimoli, azioni e outcome ma anche la variabilità e l’ incertezza di questa predizione, fornendo così una modalità più appropriata e adatta ai dati ricavati dai comportamenti (Dayan, Kakade & Montague, 2000).

L’apprendimento in condizioni di incertezza è stato recentemente spiegato anche alla luce di modelli meccanicistici, di cui un esempio è rappresentato dalla ricerca di Farashahi, Donahue, Solatani e colleghi (2017), che tentano di spiegare le computazioni fatte dal sistema alla luce dei network e dei circuiti neurali. In particolare, l’esempio di Farashahi e colleghi (2017) si baserebbe sull’ipotesi che il processo di meta plasticità neuronale, processo che consente l’aumento dell’efficacia sinaptica, sarebbe in grado di alterare la risposta ad eventi futuri ottimizzando l’interazione bidirezionale tra quei circuiti che codificano appropriatamente il valore dell’azione, dello stimolo e della volatilità nell’ambiente e quelli che monitorano l’ incertezza aumentando così l’adattabilità del sistema ai cambiamenti.

In conclusione

Sebbene l’interazione tra incertezza attesa e inaspettata sia stata discussa in modo sommario attraverso una disamina assai rapida dei due modelli attualmente proposti per la sua spiegazione, tuttavia diventa cruciale comprendere i meccanismi che, a partire da essa, consentono al sistema di imparare e prendere decisioni in modo efficace in condizioni di incertezza.

Le riflessioni e i dati sperimentali presentati nella Perspective di Soltani e Izquierdo (2019) suggeriscono che il cervello, per poter “gestire” situazioni d’ incertezza, debba raggiungere un equilibrio, da una parte riducendo l’apprendimento quando l’ incertezza attesa è alta e dall’altra incrementandolo gradualmente in proporzione all’ incertezza imprevista.

I modelli che tentano di spiegare quest’interazione infatti potrebbero fornire informazioni decisive soprattutto in favore del campo della psichiatria computazionale per la quale, alcune condizioni psicopatologiche, come le dipendenze o i disturbi d’ansia, sembrano essere associate a fallimenti nella generazione di modelli accurati per la previsione di ricompense nell’ambiente o all’incapacità di saperli utilizzare in modo flessibile per guidare e indirizzare il comportamento (Vaghi, De Martino, Robbins et al., 2017).

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