La ricerca di riferimento è stata pubblicata dall’American Psychological Association (APA) e ha rivelato che le persone particolarmente preoccupate per l’incertezza del futuro e le sue potenziali minacce potrebbero presentare uno striato più grande rispetto alla norma.
La relazione tra intolleranza all’incertezza e ansia
L’intolleranza dell’incertezza, come affermato nel modello cognitivo teorico dell’ansia (Sassaroli & Ruggiero, 2002), è tra le credenze centrali dell’assetto di soggetti ansiosi. Essa è caratterizzata da un’eccessiva preoccupazione per ciò che è imprevedibile, incontrollabile e senza possibilità univoche d’interpretazione. Si tratta di una distorsione cognitiva legata all’idea di pericolo, che comporta il rimuginio a scopo previsionale. In particolare, le relazioni di causa-effetto avvengono rispettivamente in quest’ordine: intolleranza dell’incertezza, rimuginio e stato ansioso.
Tale credenza, inoltre, implica come conseguenza logica la catastrofizzazione, incidendo negativamente e pervasivamente nella vita quotidiana. Dunque, essa necessita di una ristrutturazione cognitiva della credenza “se il mondo è incerto, allora esso è pericoloso”, attraverso la constatazione che l’incerto non significhi necessariamente esito negativo (Ruggiero, 2012).
L’intolleranza all’incertezza e i correlati cerebrali
Alla luce di ciò, si rivela interessante uno studio che consentirebbe di individuare soggetti caratterizzati da intolleranza dell’incertezza attraverso la valutazione del volume dello striato, area cerebrale già associata da tempo al disturbo d’ansia generalizzato (DAG), consentendo di delineare nuovi trattamenti preventivi di tale disturbo.
La ricerca di riferimento è stata pubblicata dall’American Psychological Association (APA) e ha rivelato proprio che le persone particolarmente preoccupate per l’incertezza del futuro e le sue potenziali minacce potrebbero presentare uno striato più grande rispetto alla norma.
Lo studio, condotto da Justin Kim, coinvolgeva 61 studenti che avevano scansionato con MRI il loro cervello dopo aver compilato un questionario per misurare la loro abilità di tollerare l’incertezza di potenziali eventi futuri negativi. Confrontando le scansioni MRI con i punteggi di tolleranza dell’incertezza, è emersa una correlazione positiva tra quest’ultima e il volume di materia grigia dello striato, cosa che non si manifestava per altre aree cerebrali.
Nonostante lo striato fosse stato già associato al disturbo d’ansia generalizzato o a quello ossessivo compulsivo (DOC), nessuna ricerca precedente aveva rintracciato un’associazione tra quest’area e l’intolleranza dell’incertezza in soggetti sani. A partire da questi risultati, tale regione potrebbe considerarsi un marker biologico del bisogno di predicibilità di un evento; infatti, oltre a un ruolo nelle funzioni motorie, essa codifica l’attesa di una ricompensa per un determinato comportamento mentre si apprende un compito nuovo. Dunque, in quest’ottica, l’intolleranza dell’incertezza si configurerebbe come il desiderio di maggiore predicibilità.
I punti forti di questa ricerca sono principalmente due: offrire una nuova tipologia di trattamento per i sintomi di DAG o OCD monitorando l’attività e il volume dello striato nel corso della terapia; e identificare, in fase preventiva, i soggetti sani a rischio di sviluppare le psicopatologie appena citate.