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Per fortuna o purtroppo siamo egocentrici – Un racconto di fantapsicologia

Spesso quello che ci guida è un punto di vista egocentrico, non teniamo tuttavia conto che questa prospettiva cambia al pari di come cambiamo noi stessi.

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 27 Giu. 2019

Aggiornato il 09 Apr. 2021 14:47

Per fortuna o purtroppo, noi siamo il centro del nostro mondo e, da un lato non riusciamo a valutarci dall’esterno, dall’altro le valutazioni che facciamo sul mondo variano nel tempo con il variare del centro stesso. Il centro degli assi cartesiani dal quale descriviamo tutto è esso stesso in continuo cambiamento a diversi livelli.

 

Il punto di vista dal quale facciamo qualsiasi affermazione e che è a noi stessi invisibile in quanto dato per scontato e ovvio, è esso stesso in mutamento e dunque produce nel tempo valutazioni diverse dello stesso fenomeno, senza però rendersene conto perché è lui stesso ad essere cambiato. Metaforicamente possiamo immaginarci un predicatore che si alza in piedi e si siede su un pulpito nella cappella di una nave che sale e scende sulle onde di un oceano che s’alza e s’abbassa per via delle maree su di un pianeta che contemporaneamente ruota quotidianamente su se stesso, rivoluziona annualmente intorno al sole mentre oscilla come una trottola intorno al suo asse.

Quando stiamo guidando, tutti quelli che vanno più lentamente di noi ci sembrano un incomprensibile intralcio, mente quelli che ci chiedono strada e ci sorpassano ci sembrano dei folli immotivati frettolosi con noi al centro che andiamo alla velocità giusta.

Noi vecchi siamo caratterizzati principalmente dalla lentezza, nel movimento, nei riflessi, nel ragionamento, ma ciò appare evidente ad un osservatore esterno e non a noi stessi che andiamo, come a diciott’anni al massimo della velocità consentita. Per questo non è facile convincerci che dobbiamo smettere di guidare e di fare tante altre cose: noi siamo sempre gli stessi, semmai è il mondo che con tutte queste diavolerie moderne corre troppo.

Di questo fenomeno di traslazione del punto di vista occorrerebbe tener conto quando si scrive il testamento biologico: chi ci dice che il modo di valutare l’opportunità dell’esistenza di un demente, di un ritardato mentale gravissimo o di un tetraplegico sia lo stesso di un vent’enne surfista californiano? E a quale dei personaggi in cui ci siamo trasformati nel corso dell’esistenza spetta il diritto di decidere per tutti? Perché, attenzione una volta fatto “rien va plus” e qualche zelante infermiere o qualche radicale intollerante di quella che immagina una condizione inaccettabile lo si trova sempre; e in quelle condizioni non è neppure facile difendersi ed è indecoroso sperare nella difesa d’ufficio della Santa Romana Chiesa prima tanto avversata.

Detto questo il senso del “per fortuna” è evidente perché non esistendo nessuna consapevolezza al di fuori di sé ci si reputa sempre nel giusto mezzo, a posto, OK.

Il “purtroppo” dipende dal fatto che, certi della nostra prospettiva, giudichiamo quale sia il bene o il male per gli altri e mossi da velleità salvifiche non ci limitiamo ai consigli ma bruciamo sui roghi, rieduchiamo nei gulag e stacchiamo le spine. Naturalmente a fin di bene, ci mancherebbe.

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