Usando variabili sufficientemente sincronizzate fra loro, come il passare dei giorni o i meccanismi degli orologi, è possibile concepire il concetto di quando. Il fisico Carlo Rovelli (2017) interpreta questo fatto spiegando che possiamo integrare alcune informazioni dentro di noi come tracce del passato o come indizi premonitori del futuro, ma che la consapevolezza dello scorrere del tempo è una produzione interna mentale.
Anche se la differenza è esigua, con orologi molto precisi è possibile verificare che il tempo scorre più velocemente in montagna che in pianura. Il fenomeno non è dovuto ad un rallentamento dell’orologio e nei laboratori, può essere misurato anche con pochi centimetri di dislivello. Si dice, in questi casi, che ogni orologio ha un tempo proprio. Le scoperte della fisica moderna non descrivono come le cose evolvono nel tempo, bensì come interagiscono nei loro tempi. Alcune interazioni le vediamo cambiare con regolarità, le une rispetto alle altre. Usando variabili sufficientemente sincronizzate fra loro, come il passare dei giorni o i meccanismi degli orologi, è possibile concepire il concetto di quando. Il fisico Carlo Rovelli (2017) interpreta questo fatto spiegando che possiamo integrare alcune informazioni dentro di noi come tracce del passato o come indizi premonitori del futuro, ma che la consapevolezza dello scorrere del tempo è una produzione interna mentale.
La rappresentazione cognitiva del tempo
Attualmente non esiste un unico modello teorico che spieghi come il cervello possa creare la rappresentazione cognitiva del tempo. Marc Wittmann è uno psicologo tedesco con anni di esperienza in questo settore. Nelle sue pubblicazioni descrive il fenomeno come inestricabilmente legato alle fluttuazioni dello stato della coscienza (Wittmann, Giersch, & Berkovich-Ohana, 2019). Il focus della nostra attenzione può influire sulla percezione del tempo, che, a differenza degli altri sensi, non è legata ad un oggetto nel mondo esterno. Gli intervalli temporali vengono infatti considerati più lunghi quando poniamo la nostra attenzione sullo scorrere del tempo e quando la variabilità delle esperienze immagazzinate nella memoria di lavoro è maggiore. Inoltre, diversi meccanismi nel nostro sistema percettivo funzionano su diverse scale temporali, questo può essere spiegato con il fatto che differenti aree cerebrali entrano in gioco in base alle caratteristiche del tempo considerato, nonostante non facciano propriamente parte del sistema percettivo temporale. La valutazione di quanto tempo è passato coinvolge aree diverse in base alla durata del processo in esame.
Tempo ed emozioni
Anche le emozioni giocano un ruolo importante, in quanto un maggiore arousal fisiologico è legato a una sovrastima della durata di un evento. Nei lavori di Wittmann si evince come l’insula anteriore, che integra le rappresentazioni corporee con lo stato cognitivo, creerebbe una serie di momenti emotivi, che rappresentano l’esperienza di un dato momento. L’integrazione in serie di questi momenti si traduce in un’attivazione crescente della corteccia insulare posteriore. L’attività così accumulata sottende la percezione della durata temporale, una continua collezione di evidenze corporee. Il limite naturale della frequenza di scarica dei neuroni spiega la necessità di imporre un tetto alla rappresentazione della durata, e quindi all’integrazione temporale, la quale sembra avvenire attraverso unità stocastiche di 2-3 secondi. Più varie saranno le esperienze accumulate durante un certo span di tempo, maggiore sarà la durata percepita di quel periodo e viceversa. La salienza di queste deriverebbe dal nostro stato fisiologico-emotivo, da quello della memoria e da quello cognitivo.
Spesso sentiamo le persone lamentarsi del fatto di come il tempo passi più velocemente ora rispetto a quanto non succedesse in gioventù. I bias nell’identificare la durata degli eventi derivano dalle funzioni mnestiche, per cui è importante il concetto di metaplasticità, e della velocità di processamento delle informazioni, quindi dalla memoria di lavoro, che diminuiscono con l’invecchiamento. Inoltre, vari fattori, quali stress, eventi di vita e avanzamento tecnologico e sociale, possono influenzare la velocità percepita dello scorrere del tempo. Gli studi di Wittmann ci ricordano ancora una volta come interazioni non cognitive provenienti dall’intero organismo, come la registrazione cumulativa insulare del nostro stato psicofisiologico, siano essenziali per il funzionamento del nostro sistema percettivo e quindi per la nostra capacità di interfacciarci con l’ambiente che ci circonda.