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ADHD: gli esiti di una buona compliance al trattamento farmacologico

Lo studio ha indagato la relazione fra aderenza al trattamento con metilfenidato nell’infanzia e uso di antidepressivi in adolescenza in pazienti con ADHD

Di Lorenzo Mattioni

Pubblicato il 19 Apr. 2019

Aggiornato il 15 Mag. 2019 09:22

I risultati ottenuti da un recente studio sono sorprendenti e mostrano un aumento del 50% della probabilità di utilizzare antidepressivi nell’adolescenza in soggetti con ADHD quando la terapia con il metilfenidato nell’infanzia viene seguita con ottima aderenza.

 

Il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) è un’entità psicopatologica complessa e multifattoriale ed una delle più comuni diagnosi psichiatriche nei bambini e negli adolescenti, con una prevalenza stimata fra il 3,4% e il 7,2%.

Il trattamento comprende l’utilizzo a lungo termine di stimolanti, come il metilfenidato, comunemente conosciuto con il nome commerciale di Ritalin. L’utilizzo di questo farmaco, in aumento esponenziale negli ultimi anni, è diventato un interesse di salute pubblica sia per l’alto numero di prescrizioni che per la bassa compliance dovuta agli effetti collaterali e all’attitudine negativa dei genitori verso la terapia.

L’aderenza al trattamento può essere un fattore di protezione rispetto a future patologie?

Madjar e colleghi (2019), ipotizzando una relazione fra una buona aderenza al trattamento con il metilfenidato nell’infanzia, iniziato fra i 6 e gli 8 anni, e il minor utilizzo di antidepressivi nell’adolescenza, hanno svolto uno studio longitudinale della durata di 12 anni su un ampio campione di 6830 soggetti. I ricercatori hanno sviluppato questa ipotesi basandosi sulla ben documentata relazione multimodale fra ADHD e disregolazione emotiva. È stato poi scelto un campione di soggetti ad insorgenza precoce poiché vi sono importanti differenze cliniche relative all’età di onset, mentre, generalmente, gli studi longitudinali in quest’ambito non controllano in modo specifico questa caratteristica.

Contrariamente a quanto riportato in letteratura, i risultati mostrano tuttavia una tendenza opposta a quella prevista dai ricercatori, con un aumento del 50% della probabilità di utilizzare antidepressivi nell’adolescenza quando la terapia con il metilfenidato nell’infanzia veniva seguita con ottima aderenza.

Sono state date diverse interpretazioni relative al pattern emerso. È possibile, ad esempio, che i pazienti con una maggiore compliance presentassero forme più gravi del disturbo, che la diagnosi di ADHD derivi spesso dal non riconoscimento di disturbi d’ansia e depressivi nel bambino, che la buona riuscita della farmacoterapia porti a ricercare questo tipo di trattamento più avanti nella vita o che sia proprio il lungo utilizzo di metilfenidato la causa eziologica dei disturbi dell’umore in questa fascia di popolazione.

Sicuramente sono necessarie altre ricerche per definire il nesso causale di questa associazione. Lo studio mette comunque in luce importanti fattori di rischio presenti nella popolazione pediatrica affetta da ADHD, sottolineando come la diagnosi di questo disturbo, nonostante molto frequente, sia difficile ed eterogenea e che la terapia con stimolanti potrebbe presentare effetti collaterali anche a lungo termine.

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