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Connessione tra ADHD e regolazione delle emozioni: prospettive teoriche e utilità nella pratica clinica

La disregolazione emotiva è componente importante dell'ADHD, considerarla nella diagnosi consentirebbe una migliore comprensione del disturbo

Di Silvia Locatelli, Alberto Morandi

Pubblicato il 19 Nov. 2018

Aggiornato il 24 Giu. 2019 13:12

Non è ancora chiaro quale sia il legame tra disregolazione emotiva e ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività) ma tale deficit è stato riscontrato in oltre il 40% di soggetti con ADHD.

Alberto Morandi e Silvia Locatelli – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Bolzano

 

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD) è una condizione caratterizzata da componenti di inattenzione, iperattività, impulsività tali da rendere problematico l’adattamento del paziente al contesto di vita (Lambruschi, 2014).

Attualmente vi sono difficoltà nella definizione dei criteri di diagnosi, nell’interpretazione e nell’individuazione dei sottotipi e delle diverse manifestazioni dei sintomi in relazione all’età (Lambruschi, 2014).

Nella versione V del DSM, alcuni sintomi di disattenzione e/o di iperattività-impulsività devono essere presenti prima dei 12 anni di età e devono causare menomazione nel funzionamento sociale del soggetto, scolastico e lavorativo (APA, 2012).

Sebbene alcuni bambini abbiano sintomi sia di disattenzione che di iperattività-impulsività, vi sono alcuni pazienti in cui può predominare l’una o l’altra caratteristica. In particolare nel DSM V si presentano i seguenti sottotipi: Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante (6 o più sintomi di disattenzione, ma meno di 6 sintomi di iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi); Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, Tipo con Disattenzione Predominante più restrittivo del precedente (6 o più sintomi di disattenzione, non più di 2 sintomi del gruppo di iperattività-impulsività sono persistiti per almeno 6 mesi); Deficit di Attenzione e Iperattività, Tipo con Iperattività/Impulsività Predominante (6 o più sintomi di iperattività-impulsività, ma meno di 6 sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi); Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività, Tipo Combinato (6 o più sintomi di iperattività-impulsività e 6 o più sintomi di disattenzione sono persistiti per almeno 6 mesi)( APA, 2012).

Il manuale DSM V consente al clinico di orientare la propria valutazione attraverso la definizione di precisi comportamenti problema, tuttavia l’avverbio “spesso” accanto alla descrizione del comportamento (es. “il bambino spesso non riesce a prestare l’attenzione ai particolari”) lascia un ampio margine di arbitrarietà nella scelta dei criteri diagnostici (Lambruschi, 2014).

Indubbiamente le indicazioni diagnostiche offrono al clinico dei criteri statistico-quantitativi importanti nella decisione diagnostica, ma tuttavia l’assenza di un modello interpretativo del funzionamento psicologico dell’ADHD rende difficile l’inquadramento del disordine sia dal punto di vista cognitivo che comportamentale (Lambruschi, 2014).

Esistono diversi modelli di spiegazione del disturbo, i quali sembrano avvalorare l’ipotesi che la componente di regolazione emotiva meriti di essere tenuta in considerazione in ambito clinico e di ricerca.

Nel tempo sono state indagate numerose ipotesi per interpretare e spiegare il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD). Diversi modelli sembrano individuare i problemi principali del bambino ADHD nei processi di controllo, nel modulare le risorse attentive in relazione al compito e nell’inibire l’informazione.

Se ci si riferisce a una capacità di inibire una risposta programmata e del controllo dell’attenzione, in psicologia cognitiva si parla di sistemi di autoregolazione (self-regulation) o di autocontrollo.

Secondo Cornoldi (1999), termini come autoregolazione, autocontrollo, automonitoraggio indicano le capacità “che un organismo ha di controllare le sue azioni in relazione alle esigenze in cui si trova”. In particolare, si parla di autoregolazione indicando non solo la possibilità di un soggetto di regolare il proprio comportamento in relazione al contesto, ma anche la fine regolazione delle reazioni fisiologiche e psicologiche in relazione allo stimolo.

Ricerche hanno evidenziato la presenza di una compromissione nella regolazione delle emozioni in individui con ADHD. Infatti, è stato possibile osservare come bambini e adulti risultano deficitari nei report compilati dai genitori (Forslund 2016, Sjoewall, 2013; Spencer, 2011; Surman, 2013) e nei test comportamentali (Maegden, 2000).

Tuttavia, non è ancora chiaro quale sia il legame tra la regolazione emotiva e gli altri sintomi del disturbo. Infatti, è stato possibile osservare come la disregolazione non sia sempre presente nel campione clinico, nonostante la percentuale superi il 40% della popolazione patologica (Spencer, 2011).

Qual è il legame tra la disregolazione emotiva e i sintomi dell’ ADHD?

Diversi studi condotti fino ad oggi hanno prodotto dati apparentemente discordanti. Infatti sembrerebbe che la disregolazione emotiva possa essere un sintomo (Forslund, 2016; Sjoewall, 2013, Martel, 2009), precedentemente ignorato tra i criteri della diagnosi categoriale, poiché definibile in termini di dimensione temperamentale (Martel, 2009) o come una conseguenza di un deficit nelle funzioni esecutive (Barkley, 1997; Maedgen, 2000) e quindi una disfunzione nell’inibizione del controllo comportamentale, di stati fisiologici, e di rifocalizzazzione dell’attenzione (Barkley, 1997; Spencer, 2011; Surman, 2013).

Secondo la prima ipotesi, che spiega la disregolazione emotiva in termini di dimensione temperamentale, la regolazione emotiva è un processo dissociabile dall’esperienza emotiva di per sé (Martel, 2009). Inoltre, in base al sottotipo di ADHD, se inattento, iperattivo/impulsivo o combinato, l’espressione della regolazione emotiva avviene in modi diversi, classificabili secondo un modello che prende in considerazione dimensioni del temperamento. Secondo questo modello il sottotipo inattento è caratterizzato da un basso controllo dell’emozione, indipendentemente dall’intensità. Mentre il sottotipo impulsivo/iperattivo è caratterizzato invece da una forte esperienza ed espressione delle emozioni positive e negative (Martel, 2009). Inoltre, se si tiene conto delle dimensioni temperamentali i due sottotipi si distinguono ulteriormente in bassa coscienziosità per il sottotipo inattento, e sgradevolezza, apertura ed estroversione per il sottotipo impulsivo/iperattivo. Infatti, esistono ricerche che evidenziano come i due sottotipi sono dissociabili. Tali ricerche suggeriscono che la regolazione delle emozioni, l’emotività negativa e quella positiva siano dimensioni indipendenti da componenti di controllo cognitivo, come le funzioni esecutive (Sjoewall, 2013; Forslund, 2016).

In questi ultimi lavori il controllo delle emozioni è stato misurato attraverso il questionario delle emozioni di Rydell (valutazione compilata dai genitori), mentre le funzioni esecutive sono state misurate attraverso compiti cognitivi (ad esempio test di Stroop e compiti di go/no-go). Entrambi i lavori hanno riportato come i dati misurati al test di Rydell e ai compiti per le funzioni esecutive non siano in relazione tra loro, ma di come invece contribuiscono in modo indipendente al disturbo.

Ad esempio, nello studio di Sjoewall e collaboratori (2013) il 16% di bambini con ADHD presenta deficit nella regolazione emotiva ma non nel riconoscimento delle stesse. In particolare, gli stessi bambini con deficit nella regolazione delle emozioni non risultano deficitari nelle funzioni esecutive. Un ulteriore 5% di bambini che hanno partecipato nello studio di Sjoewall e collaboratori (2013) sono risultati deficitari nella regolazione emotiva e nel riconoscimento delle emozioni ma non nelle funzioni esecutive (si veda la figura 1B).

La seconda ipotesi, che vede la disregolazione emotiva come una conseguenza del deficit nelle funzioni esecutive, è un’estensione del modello di Barkley (1997). Tale teoria non tiene conto di elementi temperamentali e ipotizza che il controllo dell’espressione emotiva è soggetto al controllo cognitivo.

Barkley (1997) mette in relazione la difficoltà di inibizione di un comportamento con altre funzioni esecutive (come la memoria di lavoro, il livello motivazionale in relazione al compito, quello di attivazione necessario per lo svolgimento delle consegne, il linguaggio interiore, la capacità di avvalersi dell’errore, processi generalmente indicati all’interno delle funzioni esecutive). L’ipotesi che l’ ADHD sia legato ad un deficit delle funzioni esecutive è sostenuta da ricercatori che hanno notato una certa somiglianza tra comportamenti di bambini DDAI e disordini comportamentali e/o attentivi, evidenziati da pazienti con lesioni prefrontali (Pennington & Ozonoff, 1996; Shallice, Marzocchi e altri, 2002).

Barkley (1997) ha indagato il ruolo delle funzioni esecutive nell’ ADHD proponendo un modello di spiegazione. Parte del modello prende in considerazione l’auto-regolazione degli affetti-motivazione-arousal (Self-Regulation of Affect-Motivation-Arousal). Il modello fa delle previsioni su quali siano le mancanze nell’inibizione che possono spiegare le difficoltà degli individui con ADHD: (a) una maggiore reattività emotiva a eventi emotivamente pregnanti; (b) una minore reattività emotiva anticipatoria in previsione di eventi emotivamente pregnanti (in prospettiva di una diminuzione della capacità di previsione); (c) una minore abilità di agire sulle proprie emozioni rivolte agli altri; (d) una minore capacità di indurre e regolare stati emotivi, motivazionali e di arousal che sono al servizio del comportamento diretto ad uno scopo (all’aumentare del tempo che passa verso lo obiettivo aumenta l’incapacità di sostenere arousal e motivazione verso quell’obiettivo); (e) una maggiore dipendenza dalle fonti esterne che guidano l’affetto, la motivazione e l’arousal che fanno parte di un contesto che determina il grado dello sforzo dell’azione diretta all’obiettivo (Barkley, 1997).

A partire dal modello di Barkley (1997) sono seguite ricerche che hanno hanno ipotizzato che la disregolazione emotiva nell’ ADHD possa essere concettualizzata come “deficient emotional self regulation” (DESR) riferendosi a: 1) defict nell’autoregolazione dell’arousal causato da emozioni forti, 2) difficoltà nell’inibire il comportamento inappropriato in risposta a emozioni negative, 3) problemi nel rifocalizzare l’attenzione in seguito a emozioni forti sia positive che negative e 4) disorganizzazione del comportamento conseguente all’attivazione emotiva (Spencer, 2011; Surman, 2013). Quest’ultima è una definizione molto simile a quella utilizzata da Martel (2009). Tuttavia, questi autori si sono concentrati in primo luogo nel distinguere la disregolazione emotiva in altri disturbi, come ad esempio la depressione, l’ansia e il disturbo bipolare (Spencer, 2011). Inoltre, tali autori hanno voluto indagare come la disregolazione emotiva influenzi negativamente il funzionamento sociale in pazienti con ADHD (Surman, 2013).

I due modelli esplicativi presentati nel presente articolo non si escludono l’uno con l’altro, ma possono invece essere visti come complementari. Infatti, in un lavoro di Steinberg e Drabick del 2015 viene introdotto il concetto di “effortfull control” (“controllo volontario impegnato”), secondo cui temperamento e regolazione emotiva influenzano i meccanismi che regolano e inibiscono la risposta automatica dominante a uno stimolo, modificando volontariamente attenzione e comportamento. L’inibizione appare in tale ottica una sfaccettatura dell’effortful control, e cioè quanto un bambino è abile nel sopprimere un comportamento inadeguato in un determinato contesto, che non è correlata solo con il controllo comportamentale, ma appare invece correlata soprattutto con il controllo emotivo. Secondo le autrici l’inibizione e di conseguenza il controllo del proprio temperamento sono delle componenti delle funzioni esecutive (Steinberg & Drabick, 2015). Tale abilità sarebbe appresa attraverso l’osservazione e la regolazione del comportamento da parte dei genitori (Steinberg & Drabick, 2015). Infatti, un’ipotesi all’origine del disturbo potrebbe essere un mancato apprendimento della mediazione verbale nello sviluppo dell’autoregolazione. Ovvero, non viene prestata l’opportuna attenzione alle istruzioni dei genitori e pertanto tali comandi non vengono interiorizzati e fatti propri dal bambino, non imparando quindi la necessaria autoregolazione del proprio comportamento (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).

Il modello della scuola russa: Vygotskij e Lurija

Già in passato Vygotskij (1962) e Lurija (1961) avevano osservato come il meccanismo dell’autoregolazione si costituirebbe in seguito all’aiuto offerto dalle regole sociali e dallo sviluppo del linguaggio. Secondo la prospettiva di questi autori potremmo indicare nelle seguenti fasi lo sviluppo dell’autoregolazione: a) il bambino è controllato dai comandi verbali degli adulti che svolgono un’azione inibitoria ed eccitatoria della sua azione; b) i segnali verbali degli adulti vengono interiorizzati dal bambino e associati ad auto-comandi; c) verso i 5-6 anni, le istruzioni una volta interiorizzate vengono automatizzate e differenziate a seconda dei contesti in cui viene la rievocazione: è in questa fase che il bambino comincia a servirsi di un “linguaggio interno” che gli serve da guida nell’applicare un piano d’azione.

In questa prospettiva il modello della scuola russa (Vygotskij, 1962; Lurija, 1961) consente di interpretare numerose difficoltà del bambino ADHD (Cornoldi, De Meo, Ofredi & Vio, 2001).

ADHD e stile di attaccamento

Un’ulteriore causa delle difficoltà di individui con ADHD può essere individuata nella relazione genitoriale, ovvero nello stile di attaccamento che si instaura tra bambino e caregiver. Le diverse configurazioni di attaccamento che si strutturano a partire dalla prima infanzia e poi si articolano e si differenziano in età prescolare e scolare, possono essere viste sia come pattern comportamentali interattivi osservabili, ma anche soprattutto come modalità di regolazione emotiva: all’interno dei legami d’attaccamento si imparano a riconoscere, articolare, dare un nome e regolare gli stati emozionali e le relative disposizioni comportamentali; specifici contesti di sviluppo caratterizzati da particolari forme di insicurezza che portano a specifiche disregolazioni emotive (Lambruschi, 2014).

Esperienze diadiche (resistenti), come connotate da discontinuità della risposta materna, portano all’opposto ad uno stile di regolazione emotiva iperattivante, come forte attivazione neurofisiologica e segnalazione emotiva e comportamentale, talora anche drammatica e teatrale. Altre (disorganizzate), in cui il contesto di accudimento e cure è connotato da elevati livelli di pericolo e minaccia al Sé, possono portare invece a caoticità, contraddittorietà, e forte instabilità nell’espressività emotiva (Lambruschi, 2014).

Clarke, Ungerer e altri (2002) hanno confrontato due gruppi di bambini (con e senza ADHD) testando i modelli operativi interni relativi all’attaccamento attraverso il SAT (Separation Anxiety Test), la Self Interview e il Family Drawning, trovando una forte correlazione tra ADHD e uno stile di attaccamento insicuro. Anche Pinto, Turton e altri (2006) hanno rintracciato una correlazione significativa tra sintomi dell’ ADHD rilevati dagli insegnanti e significativi livelli di attaccamento disorganizzato. Green, Stanley e Peters (2007) hanno investigato il rapporto tra attaccamento e ADHD e hanno osservato che la diagnosi è significativamente associata a più elevati livelli di disorganizzazione dell’attaccamento.

Da questi studi è possibile ipotizzare che quando il deficit autoregolativo di base va a incontrarsi con quote di sensibilità e responsività sufficientemente ampie, le mancanze o gli eccessi di segnalazione del bambino avranno più probabilità di essere compensati o contenuti dal genitore, con una possibile attenuazione del quadro comportamentale e attentivo del bambino.
Si può immaginare un’amplificazione del disturbo e una maggiore resistenza al trattamento, laddove il comportamento scarsamente regolato del bambino vada ad incontrarsi con sponde relazionali insicure (Lambruschi, 2014).

Se un bambino è immerso in un funzionamento diadico ambivalente, l’iperattività e la distraibilità possono facilmente assumere una funzione coercitiva e di controllo nei confronti della figura di attaccamento. Mentre, in uno sviluppo evitante è più probabile che i sintomi si esprimano come un’esasperazione dell’utilizzo dell’esplorazione compulsiva e come “distrattore”, caratteristica forma di regolazione emotiva di questi pattern (Lambruschi, 2014).

Lo stile genitoriale come fattore di protezione o di rischio

Grazie alle osservazioni riportate è possibile constatare quanto la regolazione emotiva sia influenzata quindi dalle funzioni esecutive, dal temperamento e dai modelli genitoriali. Infatti, secondo la prospettiva di Steinberg e Drabick, derivante dalla psicologia dello sviluppo, al di là di quale siano i fattori psicologici alla base di una disregolazione emotiva, quest’ultima è influenzata da fattori relazionali appresi nel nucleo familiare.

Lo stile genitoriale può essere sia un fattore di resilienza, supportando il bambino nell’esternalizzazione delle emozioni, oppure un fattore di rischio. Infatti, appurato che il bambino abbia un disturbo ADHD e anche una disregolazione emotiva, il supporto dei genitori nel regolare le proprie emozioni fa sì che il bambino non sviluppi disturbi in comorbidità come il disturbo della condotta o il disturbo oppositivo provocatorio (Steinberg & Drabick, 2015). Ad esempio, a livello terapeutico, una delle proposte del parent training per genitori di bambini con ADHD si basa su interventi di coping emotivo: ovvero l’apprendimento per imitazione di un modello che di fronte a situazioni complesse non nasconde la propria emotività, ma si sforza di trovare la soluzione al problema, esplicitando le strategie che vorrebbe attuare (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).

Diversamente uno stile genitoriale autoritario con modalità aggressive è uno dei fattori che aumenta la disregolazione e il rischio di incorrere in altri disturbi. A volte i genitori di bambini con ADHD hanno agiti aggressivi nel momento in cui cercano di far rispettare delle regole. Tale espressione emotiva esacerba il comportamento disfunzionale (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).
In particolare, bambini e adolescenti con un basso controllo inibitorio (coerente con le caratteristiche comportamentali del disturbo ADHD) potrebbero mostrare sia problemi internalizzati che esternalizzati. Ad esempio, tali bambini potrebbero avere difficoltà a attenuare pensieri negativi (come la ruminazione), ed esibire un eccessivo ritiro negativo, aumentando il rischio di depressione (Steinberg & Drabick, 2015). Se lo stesso bambino ha dei genitori che rispondono a questo comportamento con rabbia, o comunque con un feedback negativo, appare ovvio come il rischio depressivo possa aumentare, o in alternativa come possa emergere un disturbo della condotta o degli agiti impulsivi (Steinberg & Drabick, 2015).

Può esserci una trasmissione intergenerazionale?

In tale prospettiva le relazioni familiari influenzano la regolazione emotiva del bambino con ADHD. Studi hanno cercato di verificare se la disregolazione emotiva possa essere non solo influenzata ma addirittura trasmessa. A questo scopo è stato condotto uno studio da Surman e collaboratori (2011) per testare questa ipotesi. Attraverso quello che è stato uno studio familiare, si è voluto verificare se in genitori con ADHD fosse presente lo stesso disturbo nei figli. In particolare, i ricercatori hanno verificato se l’ ADHD e la disregolazione emotiva presenti nei genitori fossero presenti anche nei figli.

I risultati ottenuti mostrano come la disregolazione emotiva appartenga solo a un sottotipo di disturbo ADHD perciò è possibile affermare che il disturbo ADHD sembra essere trasmesso indipendentemente dalla presenza o meno di un deficit nella regolazione emotiva, mentre quest’ultima era presente solo in figli di genitori con ADHD e disregolazione (Surman, 2011).

Gli autori hanno di conseguenza ipotizzato che la disregolazione sia un effetto secondario nell’ ADHD. Inoltre, considerano la disregolazione secondaria all’ ADHD nella condizione in cui sia manifestata nel contesto familiare: l’apprendimento attraverso le regole sociali disfunzionali potrebbe influenzare la normale curva di sviluppo della regolazione emotiva e questo effetto potrebbe essere ancora maggiore per bambini con ADHD avendo genitori con ADHD e disregolazione emotiva (Surman, 2011).

ADHD, disregolazione emotiva e disturbi dell’umore

I lavori fino a ora presentati riguardano la regolazione emotiva dal punto di vista cognitivo, temperamentale e familiare. Ciò che accomuna i lavori sopra descritti è l’influenza di questi tre fattori nella mediazione della regolazione emotiva nello sviluppo di quadri complessi del disturbo in comorbidità con il disturbo della condotta, il disturbo oppositivo provocatorio e i disturbi dell’umore.

Infatti, potrebbero essere presenti differenti manifestazioni emotive a seconda del sottotipo di ADHD. Nel sottotipo disattento sono più frequenti disturbi dell’umore, appaiono più ansiosi, timidi e ritirati socialmente. Diversamente nel sottotipo iperattivo-impulsivo e combinato vi è la presenza di comportamenti aggressivi. Quest’ultimi si oppongono più frequentemente alle richieste, ricevendo addirittura una seconda diagnosi di disturbo della condotta e di disturbo oppositivo-provocatorio (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).

In particolare, è stato proposto come distinguendo tra ADHD sottotipo inattento e sottotipo impulsivo-iperattivo, e distinguendo tra controllo dell’emozione e l’esperienza di forti emozioni positive o negative, vi siano manifestazioni di comorbidità diverse (Martel, 2009). Secondo tale prospettiva il controllo dell’emozione sarebbe maggiormente associato al sottotipo inattento e al disturbo della condotta. Le forti esperienze emotive sarebbero invece associate al sottotipo impulsivo-iperattivo e al disturbo oppositivo-provocatorio (Martel, 2009).

Tuttavia, sono state proposte ulteriori distinzioni. Ad esempio, è stato possibile osservare una diversa disregolazione delle emozioni positive e di quelle negative. È stato possibile osservare come la prima è un fattore di rischio specifico del disturbo ADHD, mentre la seconda è maggiormente associata al disturbo della condotta (Forslund, 2016). Il fatto che bambini con ADHD manifestano anche una forte componente di emotività negativa potrebbe essere dovuta a una concomitante presenza del disturbo della condotta (Forslund, 2016).

Inoltre, in un campione di pazienti adulti ADHD, è stato osservato come la disregolazione emotiva estrema fosse sia parte del disturbo ADHD, ma anche in pazienti con una storia di concomitante disturbo oppositivo-provocatorio (Surman, 2013). Il fatto che la disregolazione fosse presente sia in pazienti con solo ADHD che in quelli con ADHD e disturbo oppositivo-provocatorio ha portato gli autori a proporre come la disregolazione sia un fattore che possa presupporre un concomitante disturbo oppositivo-provocatorio ma non il contrario, in quanto esistono quadri diagnostici di disturbo ADHD con disregolazione senza disturbo oppositivo-provocatorio (Surman, 2013).

Per di più, come già indicato sopra, individui con ADHD possono anche presentare disturbi dell’umore secondari.

Ma come si può distinguere la disregolazione emotiva da un disturbo dell’umore?

Sia nella disregolazione emotiva, come nei disturbi dell’umore, sono presenti forti esperienze emotive, positive (disturbo bipolare), negative (disturbi d’ansia, depressivi e bipolare), forte irritabilità e difficoltà nel controllo dell’arousal. Tuttavia, solo l’ ADHD e non i disturbi dell’umore avrebbero un deficit nel controllo delle emozioni e non solo una forte emotività (Spencer, 2011).

Spencer e collaboratori (2011) hanno svolto uno studio che consentisse di poter distinguere disturbi dell’umore e disregolazione (da un punto di vista quantitativo piuttosto che qualitativo). Per raggiungere questo scopo, gli autori proposero di utilizzare un test carta e matita, il Child Behavior Check List (CBCL). Dallo studio è emerso che punteggi maggiori di due deviazioni standard dalla media nelle sotto scale Ansia/Depressione, Aggressività e Attenzione sono indicativi di un disturbo dell’umore, mentre punteggi che si discostano tra una e due deviazioni standard dalla media sono invece indice di disregolazione emotiva in bambini con ADHD (Spencer, 2011).

Il contributo di questi ultimi lavori è fondamentale per il trattamento del disturbo, in quanto identificare la presenza o meno di un disturbo dell’umore è necessario per impostare sia la terapia farmacologica che quella psicologica. Infatti, Spencer e collaboratori (2011) sottolineano come la terapia farmacologica nel disturbo bipolare quando esso non è presente potrebbe avere effetti non solo controproducenti, ma addirittura esacerbare i sintomi del disturbo ADHD.

Difficoltà nella regolazione emotiva in bambini con ADHD: conseguenze sul funzionamento sociale

Inoltre, l’ultimo lavoro citato ha mostrato come la disregolazione emotiva influenzi negativamente il funzionamento sociale dei bambini con ADHD. Nello studio proposto da Spencer e collaboratori (2011), oltre alla regolazione emotiva sono state misurate anche la regolazione sociale del comportamento, il funzionamento scolastico e la gravità dei conflitti familiari. Dallo studio è emerso come la disregolazione emotiva possa spiegare una porzione significativa di difficoltà in questi domini.

Infatti, tra i sintomi secondari dell’ ADHD si possono riscontrare difficoltà relazionali, in quanto i bambini iperattivi diventano maggiormente contestatori e incapaci di comunicare in modo efficace con i pari (Vio, Marzocchi, & Offredi, 2015).

In particolare, l’ipotesi che alla base del malfunzionamento sociale vi sia una difficoltà nella gestione delle emozioni è stata testata in un lavoro precedente di Maegden e collaboratori (2000) in cui è stato esaminato come la reattività emotiva influenzi le abilità sociali nel sottotipo inattento di bambini con ADHD, comparando i risultati con un gruppo di bambini con sottotipo ADHD combinato e normali. Nell’esperimento la regolazione emotiva venne misurata secondo il paradigma di Ekman e Friesen delle display rules: regole non scritte che descrivono come dovrebbe essere espressa un’emozione in un certo contesto sociale. Al termine di questa prova veniva dato ai partecipanti un premio deludente a seguito di una performance buona (Maegden, 2000).
I risultati mostrarono che bambini con ADHD sottotipo combinato manifestavano reazioni emotive più intense (sia positive che negative) rispetto agli altri due gruppi. Questo risultato è in linea con i lavori riportati precedentemente (Forslund, 2016; Martel, 2009, Vio, Marzocchi & Offredi, 2015; Spencer, 2011). In particolare, nel momento in cui fosse ragguardevole non mostrare disappunto alla presentazione di un premio deludente, i bambini con ADHD (per entrambi i sottotipi) tentarono di regolare l’espressività emotiva, pur essendo meno efficaci dei controlli, come dimostrato da un trend (comunque non significativo) nei dati. Quindi sembrerebbe che i bambini ADHD conoscano quella che sia la regola sociale più adatta, pur faticando nell’applicarla (Maegden, 2000).

Dato che la disregolazione influenza fortemente, e direttamente, il funzionamento sociale dei bambini è necessario tenerne conto durante il trattamento del disturbo ADHD. Soprattutto poiché vi sono evidenze come il malfunzionamento sociale non si limiti all’infanzia e all’adolescenza, ma si protragga anche nell’età adulta. Infatti, si è visto come in adulti ADHD con deficit nella regolazione emotiva vi sia una più bassa qualità della vita e un peggiore adattamento sociale (maggior numero di incidenti stradali e arresti) (Spencer, 2013).

In conclusione

Dai lavori qui riportati, emerge come la regolazione emotiva sia una componente del disturbo ADHD che non può essere sottovalutata. Infatti, a livello teorico porre attenzione a questa dimensione aiuta a comprendere la natura del disturbo e la sua associazione con altre condizioni, come altri disturbi del comportamento dirompente e disturbi dell’umore.

Inoltre, nella pratica clinica, indagare questa componente può indirizzare il terapeuta a valutare il comportamento in relazione alla storia familiare e alle relazioni attuali con genitori e pari. Non solo la disregolazione delle emozioni potrebbe avere origine da come i genitori di un bambino affetto da ADHD si rapportano con quest’ultimo e intervenire su questo aspetto potrebbe prevenire il decorso del disturbo, evitando la comorbidità con altre condizioni.

Un altro aspetto importante riguarda il funzionamento sociale e relazionale degli individui affetti da ADHD. Infatti, si è visto come la regolazione emotiva abbia un ruolo diretto sul comportamento sociale disfunzionale, che si protrae anche nell’età adulta e che a sua volta può essere trasmesso alla generazione successiva.

In conclusione, grazie al crescente numero di dati riportati, la disregolazione emotiva è una componente importante nel disturbo ADHD che non può essere sottovalutata nei trattamenti poiché influenza fortemente gli individui che presentano tale problematica.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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