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La Società di Psicoterapia Unitaria Nazionale (SPUN) – Un racconto di Fantapsicologia

Una pausa di riflessione e approfondimento su ciò che accomuna e divide i diversi approcci di psicoterapia.. un racconto di fantapsicologia

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 12 Feb. 2019

Aggiornato il 09 Apr. 2021 14:40

I diversi approcci psicoterapeutici sembrerebbero essere accomunati dal medesimo scopo: modificare il funzionamento della mente perseguendo l’aumento della consapevolezza per rendere più elastico e adattivo il modo di vedere e affrontare la realtà da parte dell’individuo. Ma siamo sicuri che incrementare un metalivello di osservazione sul proprio funzionamento sia sempre utile o potrebbe invece risultare semplicemente un intralcio? Riflettiamo su questo tema attraverso un racconto di “FANTAPSICOLOGIA” che ci illustra come discutere di questo argomento sia tutt’altro che semplice.

 

Non basta aver dovuto, ormai in avanti con gli anni, imparare a surfare sull’incalzare continuo delle ondate sovrapposte della terapia cognitiva, adesso tutti i terapeuti, dai serissimi e riservati psicoanalisti fino ai gruppetti di merenda caciaroni dei sistemici, si sono trovati di fronte ad un bivio ineludibile e l’incapacità di accordarci ci ha portati ad un passo dall’estinzione per lo scioglimento della Società di Psicoterapia Unitaria Nazionale (SPUN).

Cupio dissolvi: cronache dal congresso della SPUN

L’intervento conclusivo in assemblea del dottor Ernesto Schiavone Frangipane aveva avuto il tono, inconsueto per il paludato psicoanalista novantaduenne, di una chiamata alle armi che da un lato serviva a sollevare l’entusiasmo dei suoi interessati sodali garantendogli un nuovo ennesimo mandato minacciato dalla furia riformatrice dei rampanti 75enni, e dall’altro era rivolto soprattutto ai politici presenti in sala che in campagna elettorale diventavano particolarmente sensibili alle richieste di una categoria che metteva per così dire “le mani nel cervello” della gente ed era accreditata, più o meno esageratamente, di grande potere di influenzamento delle coscienze ed era disponibile a agevolazioni fiscali.

Il tema centrale dell‘intervento trattava dell’importanza dell’acquisizione di consapevolezza rispetto alle esperienze più dolorose e traumatiche per sviluppare un carattere solido e la tanto sbandierata “resilienza”. Questa netta presa di posizione non era insensibile alle pressioni della conferenza episcopale (la CEI aveva persino assunto nella redazione dell’”Avvenire” un nipote di Schiavone laureato in scienze della comunicazione senza né arte né parte), grande sostenitrice della corrente di Schiavone in quanto rivalutante il ruolo della sofferenza e del sacrificio a fronte del crescente edonismo della società civile che chiedeva la desonosografizzazione del narcisismo, delle dipendenze da sostanze e delle perversioni sessuali.

La tesi consapevolsacrificocentrica di Schiavone e dei suoi era fermamente avversata dalla corrente minoritaria della SPUN che minacciava di costituirsi come società autonoma rompendo quell’unitarietà faticosamente conquistata che da oltre vent’anni riuniva in un’unica confraternita psicoterapeuti di ogni genere e formazione (con tutte le forme intermedie e persino gli psicoterapeuti N.A.S), ponendo fine, almeno apparente, alle spietate guerre di oltre un secolo tra grandi coalizioni e piccole bande sempre pronte a frammentarsi ulteriormente in nome di una presunta ortodossia ideale tanto da far invidia persino alla sinistra che inviava ai congressi osservatori per studiarne le perverse dinamiche frammentatorie.

La riunificazione era avvenuta intorno al riconoscimento dello scopo comune di modificare il funzionamento della mente perseguendo l’aumento della consapevolezza rendendo così più elastico e adattivo il modo di vedere e affrontare la realtà. Al contrario la fazione minoritaria e scissionista capitanata dal giovanilissimo 73enne dottor Carlo Stregotti sosteneva che la consapevolezza di sé, presunta esclusività della specie umana, fosse alla base di tutti i mali e tollerabile solo a dosi modeste e transitorie. In tal senso considerava la psicoterapia come era stata intesa fino ad allora, il più grave evento iatrogeno che avesse colpito l’umanità. Con la consapevolezza di sé l’uomo si era sottratto alla naturalità dell’esistenza che condivideva con tutti gli altri viventi diventando un’anomalia unica nel creato che, rispettoso del divieto di mangiare dell’albero della conoscenza, continuava tuttora a prosperare nel paradiso terrestre. Capace di potenti metafore, Stregotti descriveva la consapevolezza e la psicoterapia sua complice come una “nassa” (quelle reti da pesca a imbuti subentranti) in cui è possibile il transito in una sola direzione. Una volta iniziato il cammino si perde definitivamente l’innocenza originaria e non si può che andare avanti nella illusoria speranza che una consapevolezza piena e totale possa dare una felicità consapevole ipoteticamente ben superiore all’incosciente piacere da cui si sono prese presuntuosamente le distanze con il “cogito” cartesiano. Con un’altra brillante metafora Stregotti paragonava la consapevolezza al “leggere”: una volta che abbiamo imparato, diceva, non ci è più possibile esimercene e un mondo che era bello di forme e colori appare pieno di significati e anche quando sono orribili e sarebbe meglio ignorarli non possiamo più esimerci dal farlo.

Tutta la prospettiva terapeutica sviluppata dalla corrente di Stregotti è mirata alla ricerca della felicità attraverso una riduzione dell’autocoscienza e all’evitamento sistematico di quelle che sono sempre state considerate le domande esistenziali profonde: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? E, peggiore delle altre, che senso ha questa vita? Le frange più estremiste hanno rispolverato le vecchie tecniche della psicochirurgia per tentare l’ablazione dell’area 57 dove i neuroscienziati della Yale University hanno con certezza identificato la sede dell’”IO” e della limitrofa 57/bis probabile localizzazione del “SUPERIO”, mentre il più ingombrate “ES” sembra situato, guarda caso, sotto il talamo, dove nessuno va mai a guardare e si accumula sempre polvere.

Esistono, comunque, altre strategie meno cruente per la riduzione della dolente autocoscienza sia farmacologiche che psicologiche. Quasi tutti gli psicofarmaci indipendentemente dalle indicazioni approvate dal ministero soprattutto se a forti dosi, così come tutte le droghe e le sostanze di abuso, hanno il positivo effetto di creare ottundimento, confusione e dissociazione insomma di far rapidamente fuori l’Io autosservante e di afflosciare come una torta mal lievitata i numerosi e inutili piani sovraordinati di metacognizione che si osservano, giudicano e valutano l’un l’altro. Promettenti le ricerche di un’azienda multinazionale che ha messo a punto un casco che combinando ultrasuoni, stimolazioni elettromagnetiche a forte voltaggio e scuotimenti meccanici a 2000 hertz sembra garantire un Alzheimer precocissimo appena superata la soglia dell’età adulta.

Le strategie psicologiche possono a loro volta essere distinte in due grandi categorie di segno opposto, quelle del disimpegno e quelle dell’impegno. Entrambe accomunate dal concentrarsi su alcuni particolari perdendo così la inquietante visione d’insieme.
Le strategie disimpegnate, da sempre connotate come edonismo, consistono nel dedicarsi ai piaceri del momento che cambiano a seconda del contesto culturale e delle varie età della vita sebbene alcuni temi come il cibo e il sesso appaiono trasversali. Troviamo in questa categoria anche tutte le passioni, gli hobbies, le vacanze e i viaggi nonchè i progetti transitori che riempiono l’esistenza e producono uno sprazzo di soddisfazione fugace nel momento del loro raggiungimento: il lavoro, una casa, un partner, un figlio, la seconda casa, il secondo figlio, la pensione, una buona morte, sontuose esequie. Le strategie cosiddette impegnate per l’offuscamento dell’autocoscienza hanno sempre goduto di maggior apprezzamento sociale e consistono nell’ancorare la propria esistenza a riferimenti valoriali esterni pervasivi e totalizzanti come Dio, Patria, famiglia o qualsiasi altro valore che trascenda la propria individualità. È accesissimo il dibattito circa la collocazione dell’”amore” quello con la “A” maiuscola se tra le prime in compagnia dell’innamoramento o le seconde.

Secondo Strangotti e i suoi non possiamo vivere se non distraendoci, autoingannandoci e mentendo a noi stessi con la demenziale favoletta che vivere è un bene e la vita persino bella, impedendoci così di contemplarne l’orrore. La posizione di Strangotti si ispira alle due nobili verità del buddismo secondo cui la vita è sofferenza e bramare ne è la causa e propone con forza il paradosso di voler/dover coscientemente rinunciare alla coscienza ed alla identità personale. Di contro Schiavone bolla tutto ciò come un inconcepibile e impossibile ritorno all’animalismo che rinnegherebbe tutto il percorso evolutivo della specie umana e paventa la fine della specie Sapiens Sapiens che è l’avanguardia dell’evoluzione stessa e porta sventolante il vessillo dell’autocoscienza.

I partecipanti all’assemblea annuale vivono per tre giorni praticamente reclusi all’Hotel Ergife scelto per la facile raggiungibilità dall’aeroporto di Fiumicino ed anche i romani preferiscono non tornare a casa la sera per partecipare alle trattative per le alleanze che, a somiglianza del conclave, si svolgono nei tempi morti, nelle pause e durante la notte che precede la giornata conclusiva che vede l’elezione del comitato direttivo e la nomina del nuovo presidente.

Il congresso di quest’anno è particolarmente ricco di tensioni in quanto per la prima volta dalla sua fondazione si rischia una scissione della società che darebbe una pessima immagine all’opinione pubblica che coltiva l’idea dei terapeuti come persone comprensive, buone d’animo e in grado di trovare sempre una soluzione a qualsiasi problema. Inoltre la divisione in due della società comporterebbe un numero di iscritti sia ai cosiddetti “consapevolisti” che agli “animalisti” così ridotto da rischiare di non aver accesso ai fondi europei per le società scientifiche ne al 5 per mille destinabile dalle tasse italiane. Per tutta la mattinata del sabato la frattura tra le due componenti sembra insanabile e ad ogni intervento i toni si fanno più aspri. Il sottosegretario al Miur Michele Gambino raggiunge appositamente l’Ergife per pranzo per parlare con la sua ex compagna di Liceo Rita Genovese, segretaria del comitato direttivo uscente, ritenendola l’unica in grado di tentare una mediazione. La dottoressa Rita Genovese ha 59 anni ed una cultura psicoterapeutica a 360° avendo completato la formazione come psicoanalista, sistemica, cognitivista e ipnotista prima di dedicarsi completamente alla SPUN. Alla sua competenza professionale universalmente riconosciuta, alla determinazione manageriale e alla capacità di mettere a proprio agio l’interlocutore rendendolo docile ad ogni sua iniziativa unisce una bellezza un tempo prorompente ed ora consapevole e maliziosa che in molti ritengono la causa prima della sua ascesa all’interno della SPUN. È vero del resto che il socio che la presentò per l’adesione alla società fu proprio il dottor Schiavone allora solo 61enne che la rese dunque con i suoi 28 anni la socia più giovane della SPUN di tutti i tempi. La voce di una relazione tra i due si diffuse al momento dell’improvviso divorzio conflittuale di Schiavone che dovette rimboccarsi le maniche e accettare numerosi incarichi di direttore sanitario di cliniche convenzionate e comunità terapeutiche per onorare gli esosi alimenti cui il giudice lo aveva condannato incolpandolo di flagrante adulterio. A quel tempo la Genovese, era completamente dedita alla causa della consapevolezza assoluta, aveva completato la formazione personale sia in psicoanalisi classica che in analisi junghiana e aveva agganci col mondo limitrofe delle scienze occulte. Le male lingue mosse dall’invidia avevano interpretato il suo successivo legame con il dottor Strangotti, astro nascente della società e leader indiscusso della corrente di minoranza, come segno della sua ambizione carrieristica che la spingeva ad accoppiarsi con gli uomini potenti. Tuttavia ciò non era stato dovuto ad un freddo calcolo e attribuibile solo alla preferenza evoluzionistica delle femmine per il maschio alfa. All’interno della società si diceva che la cosiddetta “questione Genovese” avesse acuito se non addirittura generato il dissidio teorico tra Schiavone e Strangotti. Sta di fatto che lei rappresentava un punto di mediazione tra i due e per questo era stata nominata segretaria generale del comitato direttivo: in quel ruolo garantiva che qualunque fosse stata la maggioranza che esprimeva la presidenza avrebbe rispettato i diritti della minoranza e dunque l’unità e la sopravvivenza della società tanto cara a Gambino che aveva investito parecchi denari nelle scuole di psicoterapia cui la commissione da lui presieduta conferiva l’autorizzazione. Il sottosegretario Gambino che conosceva bene l’animo ambizioso di Rita ed era sinceramente affezionato a lei per averlo liberato dell’imbarazzante verginità durante la gita del quarto liceo a Rimini d’inverno, la sollecitò a farsi avanti con una sua personale candidatura alla presidenza che sarebbe stata ben vista per il suo essere donna e non osteggiata dai due contendenti per evidenti motivi affettivi e per non apparire meschini. Si trattava di mettere a punto una proposta programmatica che facesse una sintesi superiore tra le posizioni estreme dei consapevolisti ad oltranza e quelle degli animalisti edonisti, magari delineando un cammino di progressiva consapevolezza che progredendo lungo continui circoli autoreferenziali conducesse ad un improvviso e definitivo black out dell’”Io”, si trattava dunque di arrivare alla confusione attraverso il continuo approfondimento della conoscenza. Insomma il black out dopo l’illuminazione ( non sta scritto forse che si muore immediatamente dopo aver contemplato il volto di Dio?)

La mattina dell’ultimo giorno quando, dopo una notte nella villetta a Fregene del sottosegretario per ripassare le rimembranze romagnole arrivarono all’Ergife scavalcando il traffico grazie alla sirena che messa sulla giulietta di servizio ministeriale permetteva il transito nella corsia di emergenza, l’aula magna era già riempita per tre quarti e seduti in prima fila c’erano Schiavone e Strangotti che terminati i loro interventi aspettavano solo quello della loro ex allieva e amante per dichiarare aperte le votazioni e prendere atto di un nulla di fatto che avrebbe confermato lo status quo. Erano certi che nessuno dei due avrebbe ottenuto una maggioranza schiacciante e si sarebbe trovato un accordo con un direttivo equilibrato tra le due correnti con la garanzia della dottoressa Genovese cui si sarebbe di nuovo offerta la segreteria generale. Quando Rita raggiunse il leggio e regolò il microfono tutti si aspettavano un discorso di circostanza che ribadisse il cammino unitario della società e i maschi già si distraevano dal parlato per concentrarsi sulla sua bellezza mozzafiato e la grazia dei suoi movimenti che sembrava una danza.
Si mise gli occhiali rotondi da professoressa che la rendevano ancora più sexy, si aggiustò i capelli dietro le orecchie che non gli scivolassero davanti agli occhi e iniziò: “Cari soci, voglio sostenere che il tanto sbandierato “conosci te stesso” socratico sia contemporaneamente impossibile, inutile e spesso dannoso”.

Ma andiamo per gradi dimostrandone intanto l’impossibilità. Finchè cerco di conoscere una mela o un altro dominio dell’esistente è tutto lineare c’è un osservato e un osservatore, un oggetto e un soggetto. Ciò vale ancora se l’oggetto dell’osservazione è una parte del mio corpo o un mio comportamento, si tratta di una mente che osserva degli oggetti e dei fatti. Ma che succede se la mente vuole guardare se stessa? Qual è il famosissimo e discutibilissimo “vero, autentico me stesso” senza la cui conoscenza pare, secondo alcuni tra noi, non si possa campare? Si finisce in un regresso all’infinito come quando due specchi si rimbalzano l’un l’altro la stessa figura. L’”io” che osserva e giudica non è meno vero dell’io che agisce ed è giudicato e potrebbe essere a sua volta oggetto di osservazione da parte di un terzo “io” e così via. Per fare un esempio concreto, quando mi disprezzo per dei miei comportamenti immorali, qual’è il vero me stesso? Il ragazzino trasgressivo che fa ciò che non s’ha da fare o il moralista bacchettone che lo giudica tale, e chi è che giudica moralista quest’ultimo? Credo di aver dato un’idea dei problemi in cui si incorre.

Il secondo ragionamento riguarda l’utilità o la dannosità di tutto ciò. Perchè un metalivello di osservazione sul proprio funzionamento dovrebbe essere utile invece risultare semplicemente un intralcio? Non sarebbe meglio se la regola cui attenersi invece di essere “capisci chi sei” fosse più semplicemente “sii!” Dove sta scritto che la consapevolezza migliori l’efficacia del perseguimento dei propri scopi. Soprattutto in periodi in cui gli assetti interni ed il contesto ambientale sono sostanzialmente stabili non ce ne è alcun bisogno come ci dimostrano gli animali con i loro istinti e le macchine con i loro programmi.
Sulla dannosità e la pesante farraginosità che crea questo omunculo valutativo con sulle spalle un altro omunculo fino ad averne una piramide degna degli equilibristi di un circo non credo debba argomentare molto. Non è forse esperienza quotidiana che la psicopatologia sta quasi tutta nelle liti condominiali tra loro.

Dall’altro lato non si può negare che ormai tradizionalmente la gente si aspetti dalla psicoterapia un percorso di conoscenza di sé e che proprio dalla lunga durata di tale percorso dipendono i nostri ricavi economici, la solvibilità dei mutui, gli studi dei figli, ecc. Tutto ciò non va dunque rinnegato ma deve essere chiaro che l’approdo di questo lungo cammino deve essere la confusione dell’autoconsapevolezza e l’infarto definitivo dell’”Io”.

A conclusione del suo discorso, sorprendendo anche il sottosegretario Gambino la dottoressa Genovese non si candidò al comitato direttivo e invitò tutti a votare scheda bianca per prendersi “una pausa di riflessione” formula di rito con cui negli ambienti civili si decreta la fine di una relazione. Aveva letto infatti nelle noticine dello statuto che qualora in una elezione del direttivo le schede bianche avessero superato il 50% la società sarebbe stata automaticamente sciolta e i libri contabili portati in tribunale. Evidentemente compresa l’importanza o il fascino dell’infarto identitario oltre l’80% dei presenti ritenne utile rimandare la decisione a dopo una più approfondita pausa di riflessione e approfondimento e dunque votò scheda bianca. Tutti si stavano avviando frettolosi verso il buffet previsto per il coffee break e voltavano le spalle al palco quando in uno sbuffo di fumo dal forte odore sulfureo la presunta dottoressa Genovese scomparve e i suoi vestiti si afflosciarono per terra rivelando una lingerie di grande pregio. Il suo capo si fregò soddisfatto le mani.

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