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ADOS-2: Intervista alla dott.ssa Raffaella Faggioli, fra i curatori dell’edizione italiana e formatrice per Hogrefe

ADOS-2 e autismo: in questa intervista la dott.ssa Faggioli spiega da quale età, come va fatta e chi può fare diagnosi di autismo..

Di Ilaria Cosimetti

Pubblicato il 11 Feb. 2019

In occasione dell’evento formativo organizzato da Hogrefe Editore “La valutazione diagnostica dell’autismo: ADOS-2”, tenutosi a Milano dal 12 al 14 gennaio, abbiamo avuto il privilegio di poter intervistare la dott.ssa Faggioli, autorevole docente di questo corso con alle spalle anni di esperienza clinica rivolta alla popolaziona autistica e direttamente coinvolta nella pubblicazione e nello sviluppo dell’ ADOS fin dalla sua prima pubblicazione nel 2004.

 

Intervistatore (I): Negli ultimi anni si è fatta sempre più urgente l’esigenza di promuovere una diagnosi precoce di autismo quale prerequisito di una presa in carico tempestiva del bambino che possa accompagnarlo lungo la miglior traiettoria di sviluppo possibile. Da che età è dunque possibile ragionare intorno ad alcune caratteristiche del bambino quali possibili indicatori di questa neurodiversità?

Raffaella Faggioli (RF): Possiamo iniziare a prendere in considerazione comportamenti indicativi di un funzionamento autistico fin dai primi mesi di vita. È consigliabile infatti tenere sotto controllo e monitorati i fratelli neonati di bambini che hanno avuto riconosciuta una diagnosi di autismo. I test cominciano a definire un quadro di rischio dai 12 mesi in avanti e si dovrebbe arrivare a concludere la diagnosi entro l’inizio della scuola elementare. In genere entro i tre anni e mezzo si dovrebbe concludere la diagnosi ma ci sono bambini che manifesteranno comportamenti evidenti molto prima e altri che invece saranno più difficili da inquadrare. In tutti i casi comunque se c’è un sospetto di autismo bisognerebbe avviare interventi sia di sostegno alle capacità educative dei genitori sia diretti sul bambino secondo le linee guida dell’Istituto Superiore di Sanità che si possono trovare facilmente on Line.

Comportamenti indicatori di autismo sono:

  • il ritardo nello sviluppo del linguaggio verbale: a 2 anni un bambino deve dire tante e diverse parole usate in modo coerente e funzionale;
  • difficoltà nella regolazione del contatto di sguardo;
  • la tendenza a fare solo giochi strutturati (puzzle a incastro, mettere in fila oggetti, giochi di classificazione ecc.);
  • la tendenza a mettere in atto comportamenti ripetitivi (camminare o gattonare avanti e indietro, girare su se stessi, sfarfallare con le mani, camminare sulle punte);
  • problematiche sensoriali: tapparsi le orecchie, selettività nel cibo, la ricerca di sensazioni tattili (passare le mani lungo i bordi del tavolo, su pareti particolari…), il fastidio per le calze o i pantaloni o le maglie strette;
  • comportamenti che sono sintomo di rigidità: volere un gioco a tutti i costi, disperarsi in modo eccessivo se non viene trovato, l’interesse ristretto verso un oggetto o un argomento, guardare sempre lo stesso cartone animato ecc.;
  • il disinteresse per il gioco di far finta;
  • la mancanza di gesti comunicativi (indicare per chiedere e per mostrare, fare boh alzando le spalle, mimare con le manine grande o piccolo ecc.).

Ricordo che nessun comportamento è indicativo solo ed esclusivamente di autismo e che la mancanza di un comportamento atteso per l’età anagrafica non è indicativa solo ed esclusivamente di autismo ma se ci sono comportamenti di questa natura andrebbe fatta una valutazione accurata.

Bisogna anche stare attenti a non confondersi quando i bambini, soprattutto quelli piccolini, migliorano: tutti i bambini crescendo cambiano e imparano cose nuove. Questo non significa non essere autistico. Le persone autistiche possono migliorare tantissimo, come tutti gli altri, ma il loro modo di essere profondo rimane e rimarrà autistico. Quindi i genitori che si preoccupano che il bambino piccolo abbia comportamenti “strani” andrebbero sostenuti nell’intraprendere osservazioni con professionisti esperti anche se si vedono dei miglioramenti continui.

Disturbo del neurosviluppo significa che il processo di sviluppo mentale di un bambino è diverso da quello della media dei bambini della sua età.

La diversità può essere nei tempi e/o nei modi. Non è diagnosticabile con esami genetici o simili ma può essere osservata monitorando i comportamenti.

Se il bambino non raggiunge le tappe nel momento giusto in modo spontaneo e naturale è già un indicatore di disturbo. Anche se poi da solo o aiutato raggiunge la tappa (cosa che può accadere) o compensa con altre abilità, non significa per forza che il problema non c’è stato ma solo che la tappa è stata raggiunta in ritardo e magari con aiuto. La diversità che ha caratterizzato il percorso naturale non cambia: c’è stata e non si può cambiare la sua storia ne la sua evidenza.

I: Quali sono per sua esperienza i passaggi essenziali nel percorso di diagnosi dell’autismo?

RF: Sicuramente il primo passo necessario è rivolgersi a specialisti neuropsichiatri e psicologi competenti.

Se il bambino fatica a parlare bisogna portarlo in neuropsichiatria o da uno psicologo clinico, non dal logopedista. I motivi per cui un bambino non parla possono essere diversissimi e le terapie sono organizzate anche sull’origine del disturbo: non è la stessa cosa fare logopedia con un bambino autistico o farla con uno che ha un disturbo del linguaggio o con un bambino che ha un ritardo dello sviluppo.

Bisogna controllare che i clinici usino strumenti diagnostici adeguati: l’ADOS-2 è considerato uno strumento d’elezione finalizzato all’osservazione diretta del bambino.

Il clinico deve poi raccogliere informazioni sul modo di comportarsi del bambino sia a casa che a scuola oltre ad averne un’idea sua attraverso l’osservazione diretta.

La diagnosi di autismo deve essere fatta tenendo conto del funzionamento del bambino in tutti i contesti di vita, non solo durante la visita.

Infine se c’è il dubbio questo andrebbe esplicitato e descritto con cura all’interno dell’iter diagnostico.

I: Quali sono le figure professionali e non coinvolte in questo percorso diagnostico?

RF: Neuropsichiatri e psicologi sono i clinici che dovrebbero somministrare i test diagnostici e coordinare tutto il percorso.

Educatori, logopedisti e psicomotricisti dovrebbero completare il percorso con valutazioni funzionali mirate a sviluppare il programma di intervento.

I: Quali sono i punti di forza dell’ ADOS-2 nel coadiuvare il clinico ad esprime un giudizio clinico?

RF: L’ADOS-2 è uno strumento di osservazione diretta e aiuta i clinici a osservare come il bambino interagisce con un adulto che non conosce bene. Ci sono 5 moduli diversi che devono essere scelti in base all’età e/o al livello di linguaggio verbale maturato dalla persona che si deve valutare. L’ADOS è stato il primo strumento che ha supportato i clinici in modo strutturato a osservare il comportamento di un bambino.

Questo strumento aiuta a raccogliere osservazioni di comportamenti in un momento sereno e tranquillo mediato da giochi e attività che sono generalmente gradite ai bambini e che dovrebbero sostenere l’instaurarsi di una relazione piacevole per entrambi e che tranquillizza i genitori.

I moduli per i bambini più piccoli prevedono la presenza dei genitori per potersi confrontare con loro in modo diretto.

I moduli per i ragazzi più grandi e gli adulti sono strutturati secondo lo stesso principio anche se non ci si aspetta più che i genitori siano presenti durante la valutazione.

Bisogna ricordare che l’ADOS-2 è uno strumento ottimo ma il giudizio clinico deve essere sempre esito anche di altre osservazioni, a casa e a scuola e che, sebbene sia ampiamente standardizzato, non è uno strumento perfetto come potrebbe esserlo un’indagine di tipo genetico.

 

Ringraziamo la dott.ssa Faggioli per la disponibilità nel rilasciare questa intervista.

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