La depressione infantile viene di solito associata, sul piano clinico-terapeutico, esclusivamente alle dinamiche interne alla diade madre-bambino. In realtà, alla nascita, ogni individuo compie il passaggio da una relazione duale ad una triangolazione.
Non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre. (Freud S., 1929)
Come afferma Green (1983):
Il destino della psiche umana è sempre quello di avere due oggetti e mai uno solo (…). Il padre è presente, contemporaneamente, presso la madre e presso il bambino, fin dall’inizio. Più esattamente fra la madre e il bambino (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
Depressione infantile e triade
La funzione del padre è stata molto valorizzata dagli studi di Freud, in particolare nell’elaborazione del conflitto Edipico, nello sviluppo dell’identità sessuale, nello sviluppo del Super-Io e di un codice etico e morale (Baldoni, 2009). L’oggetto paterno si offre anche come “riparatore” dei danni che il bambino inferisce, alla madre o al padre, in fantasia (Funari, 1999).
Il ruolo della figura paterna nella fase pre-edipica è stato però per anni trascurato e lo studio dello sviluppo infantile si è più che altro focalizzato sull’interazione diadica (Baldoni, 2009). Il padre assume in realtà un ruolo importante nei primi anni di vita del bambino, però non tanto nel rapporto diretto con esso quanto più all’interno della triade (Baldoni, 2005).
Infatti, nella prima infanzia, il padre è innanzitutto un oggetto della madre che lo incorpora e lo simbolizza come pene nel ventre materno e, in tale fase, il padre deve tutelare la relazione madre-bambino, svolgendo la funzione di supporto e contenimento emotivo per la madre durante la gravidanza e il post-partum, assumendo quindi una funzione antidepressiva (Klein, 1932; Baldoni, 2005).
La madre reca in sé, la rappresentazione arcaica del proprio padre e del padre dei propri figli e quindi la funzione paterna è data dall’articolazione della mentalizzazione primaria della madre. È la ricerca del desiderio materno, dell’oggetto desiderato dalla madre che porta il bambino a ricercare il padre (Starace, 1999).
L’accesso al padre non è quindi diretto, anzi assume strade più tortuose e basate sulla percezione della “estraneità” e della “esternità”, a differenza invece della funzione materna che è riconoscibile e vivibile in modo immediato (Starace, 1999).
Depressione infantile e fallimento narcisistico
Il padre si pone, nello sviluppo infantile, come un secondo oggetto, come un oggetto d’amore da acquisire. La madre e il suo seno vengono vissuti dal bambino come appartenenti al Sé, mentre il padre, il secondo oggetto, si presenta come estraneo ed esterno al Sé. Infatti, all’interno delle prime organizzazioni fantasmatiche infantili, il padre viene vissuto come una minaccia per i vissuti di fusionalità con la madre ma il ruolo paterno è indispensabile per condurre il bambino verso l’accettazione della realtà e dell’esperienza di separazione e individuazione (Funari, 1999). Il padre, oltre a porsi come limite all’unità duale onnipotente tra madre e bambino, permette anche di rinforzare il Sé del bambino, sottraendolo dall’angoscia di simbiosi, cioè dall’angoscia di essere riassorbito dalla madre che si oppone all’individuazione (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
Il padre, inoltre, partecipa attivamente ad un’importante funzione, l’holding, in cui insieme alla madre permette al bambino di delimitare e nominare le varie parti e funzioni del corpo, in modo da creare una rappresentazione mentale di esso (Di Benedetto, 1999).
È chiaro quindi come l’approccio teorico-clinico non può più basarsi solo sulla concezione della depressione in età evolutiva come una conseguenza del disagio libidico-emotivo tra madre e bambino, ma deve anche prendere in considerazione la possibilità che sia un insieme di dinamiche associate alla relazione triadica. La depressione allora non può essere considerata solo una reazione alla perdita dell’oggetto materno ma deve essere colta anche come segnale legato alla perdita, reale o fantasmatica, delle funzioni narcisistiche insiste nella relazione oggettuale triadica. Infatti, il narcisismo, oltre ad essere uno stadio dell’evoluzione della libido, risulta essere anche un modello di funzionamento psichico in cui l’acquisizione di ogni funzione o struttura, è legata non solo agli istinti ma anche alla relazione narcisistica tra il Sé e la persona adulta e la conseguente interiorizzazione di essa nel Sé. Relazione oggettuale e narcisismo non si escludono quindi a vicenda, anzi l’Io si sviluppa proprio attraverso le relazioni narcisistiche con gli oggetti, con i caregivers. La reale distinzione quindi non è tra narcisismo e relazione oggettuale, bensì tra narcisismo infantile e quello maturo. Infatti, solo se avviene un’evoluzione dal primo al secondo, sarà possibile la relazione con le persone come altri da sé (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
La depressione risulta quindi essere la risposta emotiva del figlio al fallimento narcisistico di uno o entrambi i genitori, inteso come perdita traumatica di una persona che dovrebbe assumere una funzione che la psiche del bambino non è in grado di svolgere da sé. Infatti, la depressione patologica si instaura nel momento in cui il bambino, se è ancora allo stadio del narcisismo infantile e quindi non ha potuto compiere il processo di interiorizzazione della funzione, interiorizza l’oggetto che ha perso e che però è indispensabile per il sé ancora immaturo (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
Depressione infantile e coppia genitoriale
Il bambino, nella relazione con il padre, vive una forte idealizzazione che deriva dal bisogno narcisistico di sentirsi accolto e riconosciuto dal padre, dalla sua grandezza di adulto e proprio l’accettazione, da parte del padre, di tale funzione permette al figlio di sentirsi parte di tale ideale. Attraverso l’interiorizzazione e l’identificazione, il bambino può acquisire le strutture endopsichiche che gli consentono di svolgere autonomamente quelle funzioni. Quando però la relazione narcisistica è ostacolata da gravi problemi empatici, la funzione paterna si limita ad assumere il ruolo di un Super-Io normativo e castrante e la funzione materna invece diventa colpevolizzante e limitante. In questo modo i genitori non stimolano le capacità maturative del figlio e limitano il suo sviluppo. È giusto però sottolineare come la funzione idealizzante, tipicamente attribuita al padre, e la funzione speculare materna, siano in realtà funzioni interscambiabili e non rigidamente assegnate ad ognuno. Infatti, quando entrambi i genitori riescono a svolgere entrambe le funzioni in modo armonioso, rendono possibile uno sviluppo adeguato della relazione e quindi del figlio, come individuo a sé (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
Il normale sviluppo del figlio è quindi garantito dall’affrontare, nella triangolazione, la nuova realtà che si viene a creare con l’individuazione del bambino e dall’accettazione, da parte della coppia genitoriale, della continua evoluzione del bambino, reinventando costantemente i ruoli e le reciproche relazioni del sistema triangolare (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
Le radici della depressione si rintracciano quindi, non solo nella perdita dell’oggetto interno investito in modo ambivalente per cui il soggetto teme di averlo distrutto ma, anche nel passaggio dagli aspetti narcisistici a quelli oggettuali. In questo caso, la perdita non riguarda un oggetto ma il fallimento della funzione narcisistica dei genitori (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).
È necessario allora, nel trattamento, concentrarsi non solo sul bambino e sulla diade madre-bambino ma includere anche il padre, agendo sulle dinamiche relazionali consce, preconsce e inconsce, sul rapporto genitori-figlio e tra i genitori. La centralità delle dinamiche relazionali profonde genitori-figlio, nei quadri depressivi in età evolutiva, non può non essere considerata ma, anzi deve porsi come elemento strutturante la psicoterapia (Capuzzo, Panti, Resta, 1994).