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Il dono della terapia (2016) di Irvin D. Yalom – Recensione del libro

Il dono della terapia di Irvin Yalom è un libro che offre intelligenti spunti di riflessione per ogni psicoterapeuta, giovane o senior. Alcuni aspetti della pratica clinica cari a Yalom in questo testo sono la relazione terapeutica e l'apertura del terapeuta.

Di Virginia Valentino

Pubblicato il 22 Ott. 2018

Aggiornato il 23 Ott. 2018 10:53

Per un giovane terapeuta l’incontro con Irvin Yalom non può che essere un momento apicale della propria crescita personale e professionale: il suo stile narrativo, ben evidente nel libro Il dono della terapia, lo rendono unico nel suo genere ed il modo in cui unisce il tecnicismo alla passione ed alla crudeltà della realtà è davvero spiazzante.

 

Irvin Yalom è un insegnante di psichiatria della Stanford University e vive a Palo Alto, in California. E’ l’autore di magnifici testi molto conosciuti come La cura Shopenhauer (2005), Le lacrime di Nietzsche (2006) e Sul lettino di Freud (2015), in cui si può rintracciare l’unione tra varie discipline come la filosofia e la psicologia e come risulta facilmente intuibile dai titoli stessi. Quando ci si imbatte in una scrittura così calda e contemporaneamente struggente, chi legge può ritrovarsi in alcune righe relative a stralci di vita comuni, di persone comuni, fatti personali che appartengono a tutti.

Il dono della terapia: l’importanza della relazione terapeutica

Il dono della terapia è un testo stampato in varie versioni, una delle ultime risale al 2016 e, nel leggerlo, ho pensato a quanto fosse di grande attualità. In questo momento storico in cui la psicologia e la psicoterapia sembrano letteralmente perdersi tra metodi, strumenti, protocolli, Irvin Yalom ci ricorda come, fin dalle origini, l’arte di curare le persone sia fondamentalmente unica ed in essa la relazione terapeutica è l’arma più potente. Stare nel qui ed ora con il paziente senza avere un occhio di riguardo a quello che sta accadendo nel vivo della seduta è come gettarsi in un’arena senza protezione. Il terapeuta può ben sapere come ristrutturare un pensiero, come favorire l’elaborazione di un ricordo traumatico, come aiutare il paziente a sbarazzarsi di un coping fastidioso e come imbattersi in una nuova versione di sé ma tutto ciò sembra davvero impensabile senza fare ricorso, continuamente, alla relazione terapeutica.

Irvin Yalom scrive Il dono della terapia dedicando piccoli capitoli a vari temi, eppure sembra che vi sia un fil rouge che accompagna il testo dalla prima all’ultima pagina. Questo è relativo al fatto che paziente e terapeuta non sono due entità divise e separate ma creano una squadra di lavoro. Lo sa bene chi, oltre a vedere pazienti, è anche stato paziente a sua volta. Se pensassimo ai successi terapeutici, saremmo sciocchi a dare unica responsabilità alla tecnica applicata o al protocollo seguito pedissequamente: sono tutti elementi fondamentali, sia chiaro, ma se ha funzionato è perché è esistito quel clima di fiducia e di comprensione. Già Bordin, nel 1979, ha concettualizzato l’alleanza terapeutica come un legame affettivo positivo tra paziente e terapeuta fatto di simpatia, stima e fiducia che comprende un accordo sugli scopi del trattamento e sui compiti reciproci. Irvin Yalom ci fornisce dei suggerimenti in tal senso e ci invita ad essere terapeuti aperti e sinceri e, per farlo, ad essere coraggiosi. Invita a lavorare su se stessi, a conoscersi a fondo, per poter essere consapevoli di quello che si muove dentro di noi nel tempo condiviso con il paziente e per essere più pronti a

condividere l’oscurità dell’ombra…e portare i pazienti più lontano di dove siete arrivati voi stessi

per citare l’autore.

Il dono della terapia e l’aprirsi del terapeuta

Inoltre sottolinea l’uso e l’utilità della rivelazione di sé, argomento ben approfondito da Safran e Muran (2000) i quali hanno descritto l’uso delle metacomunicazioni e delle self-disclosure come meccanismi di disciplina interiore per intervenire sulle rotture terapeutiche. Irvin Yalom, a tal proposito, ci dice di ponderare bene le proprie narrazioni, non per evitarle ma per valutarne l’utilità e il timing. Inoltre ci suggerisce come modulare le interazioni intime, quelle che riguardano temi particolari come il sesso e gli eventuali impulsi sessuali vissuti da uno dei due partecipanti alla terapia, oppure di temi crudi come la morte.

Vi è una sezione che si intitola “Rischi e privilegi del terapeuta” in cui leggiamo indicazioni pratiche: prendersi il giusto tempo tra una seduta e l’altra, non esagerare con il numero di pazienti ricevuti nell’arco della giornata invitando, in modo molto esplicito, a non essere avari e a non badare ai soldi. Come l’autore stesso dice, il nostro non è un lavoro che ci porta necessariamente ad essere ricchi, non possiamo permettercelo, in nome di quell’onestà di cui si parlava prima. Ancora, Irvin Yalom fa riflessioni rilevanti su come soffermarsi sul processo piuttosto che sul contenuto dei prodotti mentali, in termini di pensieri o immagini, non molto diversamente da come ha concettualizzato Wells (2009) nella sua terapia metacognitiva.

Chi scrive, scrive di questo già tempo fa, ma è tutto molto attuale. Più volte mi sono soffermata nel riflettere quanto quelle indicazioni e suggerimenti sono quello che ancora ad oggi mi affanno a ricercare e raggiungere, a studiare sui testi, a sperimentare nel vivo delle sedute. E poter condividere con il paziente la ricerca di un clima collaborativo e di sincera condivisione rende il nostro lavoro il più bello in assoluto. Il dono della terapia è un titolo emozionante, ci fa sentire persone speciali, probabilmente attiva il narcisismo che è in ognuno di noi. Ma in quei pochi giorni in cui ho letteralmente mangiato le pagine del testo, in cui la mia mente è stata assorbita, ho pensato che essere un terapeuta è difficile, sembra essere un percorso senza traguardo, ma si, ho pensato che è davvero un dono.

Il dono della terapia: perchè leggerlo

La lettura, rispetto ad altri romanzi, è molto tecnica quindi effettivamente di difficile comprensione per i non addetti ai lavori ma il fatto che sia suddivisa per aree tematiche ed in piccoli capitoli rende il tutto più scorrevole. Inoltre, Irvin Yalom arricchisce la narrazione, come nel suo stile, fornendo molti esempi di casi clinici ma, oltre a questo, possiamo leggere dei veri e propri suggerimenti, interventi, cose da dire o da fare (come nel capitolo “Stratagemmi per accelerare la terapia” oppure “Cronaca giornaliera del paziente”) e, sotto questo punto di vista, il libro entra di diritto nella categoria dei testi pratici, che può essere apprezzabile per il lettore interessato al concreto. Ad esempio ci mette in guardia dal dare direttive e per farlo, egli narra di un suo caso in cui aveva suggerito al paziente di lasciare una donna, con conseguenze rilevanti in futuro. La sezione relativa ai sogni è molto interessante, in primis perché narra di alcuni sogni di pazienti e di come sono stati interpretati durante la terapia ma, soprattutto, perché ci aiuta a capire cosa farne quando il paziente in seduta ce ne racconta uno ed inoltre, ci invita a fare attenzione non solo ai sogni dei pazienti ma anche a quelli nostri, del terapeuta.

Non meno importante, nel testo vi è un approfondimento circa l’utilità di spronare e spingere i pazienti ad andare oltre i sintomi, oltre alle rappresentazioni di sé come vulnerabili, indegni, inetti. Alcune parti sane devono essere davvero costruite da zero, ed in questo la terapia metacognitiva interpersonale (Dimaggio et al., 2013) ci viene in aiuto.

Come ultima considerazione, i titoli dei capitoli. Essi sono interessanti: alcuni sobri, altri irriverenti come “Evitare le diagnosi, tranne che le compagnie assicurative” oppure “Quali bugie mi ha raccontato?” altri ironici come “Guardate dal finestrino del paziente” per immetterci nel tema dell’empatia. Molti sono imperativi: “Siate coinvolgenti”, “Siate un sostegno”, “Siate reali, non uno schermo bianco”, “Siate gentili”.

Consiglio vivamente la lettura di questo testo a tutti i miei colleghi, per ricordare piccoli dettagli a cui a volte non facciamo più caso oppure per apprendere nuovi punti di vista, nuove direzioni da cui guardare il dono che ci è stato fatto.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Yalom, Irivin D. (2016) Il dono della terapia. Edizioni Beat
  • Bordin, E.S., (1979) The generalizability of psychoanalytic concept of working alliance. Psychotherapy, 16, pp.252-260.
  • Dimaggio, G. Montano A., Popolo, R., Salvatore, G. (2013). Terapia metacognitiva interpersonale. Raffaello Cortina Editore.
  • Safran, J.D., Muran, J.C. (2000) Negotation the therapeutic alliance. A relation treatment guide. Guilford Press, New York (tra.it teoria e pratica dell’alleanza terapeutica, Laterza, roma-Bari 2003).
  • Wells, A. (2009). Metacognitive therapy for anxiety and depression. New York, NY: Guilford Press.
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