expand_lessAPRI WIDGET

ADHD: troppe diagnosi o processo diagnostico complesso?

Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione dell’Iperattività (DDAI) meglio conosciuto come ADHD, è uno dei disturbi del neurosviluppo più frequenti e studiati. Le manifestazioni cliniche di base dell’ADHD sono la difficoltà a prestare attenzione, comportamenti impulsivi e/o un livello di attività motoria accentuato

Di Ilaria Perrucci, Guest

Pubblicato il 30 Ott. 2018

Aggiornato il 25 Giu. 2019 12:31

I bambini con ADHD hanno un deficit evolutivo che interessa i circuiti cerebrali correlati all’ inibizione e all’autocontrollo. Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione dell’Iperattività (DDAI) meglio conosciuta come ADHD, è uno dei disturbi del neurosviluppo più frequenti e più studiati.

Ilaria Perrucci e Francesca Lazzerini – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca Bolzano

 

Luigi ha 8 anni e frequenta la classe terza della scuola primaria. È stato segnalato dalla scuola poiché crea molte difficoltà in classe. In particolare le insegnanti riferiscono che il bambino è sempre irrequieto e questo non permette lo svolgimento sereno della lezione. Fa fatica a rimanere seduto, si alza e gira libero per la classe distraendo gli altri compagni. Quando finalmente riesce a sedersi, ha bisogno di giocherellare con le mani o muovere le gambe. Inoltre, ha bisogno di giocare con gli oggetti e lasciarli cadere sul pavimento. Fa fatica a rispettare i turni della conversazione e agisce spesso in modo avventato. Anche da piccolo era molto irrequieto, aveva scambiato il giorno per la notte. Faceva fatica ad addormentarsi e anche a svegliarsi. Di fronte alle frustrazioni reagiva con rabbia.

In questo breve racconto è descritta la storia di Luigi, un bambino al quale è stata diagnosticata l’ADHD. I bambini con tale disturbo, in particolare hanno un deficit evolutivo che interessa i circuiti cerebrali correlati all’ inibizione e all’autocontrollo.
Il Disturbo da Deficit dell’Attenzione dell’Iperattività (DDAI) meglio conosciuta come ADHD, è uno dei disturbi del neurosviluppo più frequenti e studiati (Vitiello e Sherrill, 2007). Le manifestazioni cliniche di base dell’ADHD sono la difficoltà a prestare attenzione, comportamenti impulsivi e/o un livello di attività motoria accentuato (Reale L., Zanetti M.,Cartabia M., Fortinguerra F., Bonati M., 2014). I sintomi sono solitamente evidenti in età scolare, più frequentemente nei maschi rispetto alle femmine, infatti il rapporto è di 3 a 1, e possono persistere fino all’età adulta. Molto spesso si sente parlare dell’ADHD e tuttavia, esistono ancora numerosi pregiudizi rispetto a tale disturbo. In particolare, molto spesso si è soliti pensare che sia un disturbo definito e studiato solo di recente. In realtà l’ ADHD è un disturbo del neurosviluppo descritto da un pediatra inglese all’inizio del secolo scorso, (Still 1902). Durante il passare del tempo è stata identificata con diversi nomi, tra cui “sindrome ipercinetica”, “disfunzione cerebrale minima” (Zuddas A., Masi G., 2002). Durante gli anni ‘60, i criteri per i disturbi psichiatrici dell’età evolutiva sono stati inseriti nei diversi manuali diagnostici (ICD-8, 1966; DSM-II 1968). I continui cambiamenti nosografici nonché dei rispettivi criteri, hanno avuto come conseguenza dubbi a livello di classificazione. Tutto questo ha portato a differenze nazionali sia nell’epidemiologia del disturbo e sia nella definizione delle strategie terapeutiche.

Sulla base di evidenze genetiche e neuro-radiologiche è oggi giustificata la definizione psicopatologica del disturbo quale disturbo neurobiologico della corteccia prefrontale e dei nuclei della base che si manifesta come alterazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali.(Swanson 1998a, 1998b, in Zuddas A., Masi G., 2002).

In seguito alle diverse classificazioni e la poca coerenza nel corso del tempo tra i diversi manuali diagnostici, si è riscontrata una difficoltà nel processo diagnostico stesso del disturbo che ha avuto delle conseguenze anche sulle ricerche epidemiologiche.

ADHD: la prevalenza nazionale

La Consensus Conference italiana, nelle linee guida, ha ritenuto opportuno proporre l’attivazione di uno studio che indaghi la prevalenza nazionale dell’ADHD e, inoltre suggerisce la creazione di registri nazionali dei casi di ADHD. Questi studi, consentirebbero così di compiere una corretta diagnosi seguendo criteri non solo clinici ma soprattutto scientificamente validati. A tal proposito, è interessante citare uno studio condotto dal Gruppo Regionale Lombardo ADHD. Infatti, questo studio costituisce un tentativo di definire la prevalenza dei pazienti con ADHD e descrivere percorsi diagnostici e terapeutici condivisi tra i vari servizi, nella regione Lombardia, per l’identificazione e il trattamento di questo disturbo.

Dai risultati ottenuti si evince che la prevalenza è di 3,51%, inferiore rispetto ad altre ricerche a livello nazionale e internazionale che stimano circa dall’1% al 12 %. In questo caso specifico gli autori ipotizzano che questa differenza potrebbe essere correlata alla tipologia del campione. Infatti sono stati presi in considerazione solo i pazienti con una sintomatologia grave, i quali accedono dai centri di riferimento e che secondo i protocolli regionali e nazionali dovrebbero essere i pazienti che necessitano di terapia farmacologica o di interventi multimodali (Reale L., Zanetti M.,Cartabia M., Fortinguerra F., Bonati M., 2014).  Ad ogni modo va sottolineato che non esistono dati univoci relativi alla prevalenza del disturbo. Questo potrebbe dipendere da tre diversi motivi. Il primo è quello che è faticoso definire precisamente la soglia diagnostica (Scahill, 1999). Il secondo è che la valutazione di tale soglia, nonostante vi siano criteri diagnostici ben definiti, rimane relativamente soggettiva poiché la maggior parte dei test utilizzati per la valutazione del disturbo, sono di tipo osservativo e di autosomministrazione. Il terzo motivo è che l’ADHD è una patologia molto complessa. Infatti, nel corso del tempo, la sintomatologia può esplicarsi attraverso diverse traiettorie di sviluppo e quindi manifestarsi con caratteristiche completamente differenti da bambino a bambino.

Ciononstante grazie alla ricerca del gruppo della Lombardia, è possibile asserire che l’esperienza del registro ADHD ha rappresentato un essenziale strumento di monitoraggio contiuno e sistematico, il quale ha permesso di mettere in luce l’importanza di avere le risorse adeguate e di coinvolgere i pazienti, le famiglie gli insegnanti e gli operatori attraverso interventi di formazione e informazione con il fine di ridurre le sovradiagnosi e di evitare interventi tardivi su bambini che invece necessiterebbero di un’accurata diagnosi.

La diagnosi di ADHD

La domanda che spesso attanaglia le persone che si interfacciano con bambini molto vivaci è la seguente: come è possibile discriminare bambini con questi disturbi da bambini “esauberanti”?

Esistono, criteri diagnostici frutto di anni di lavoro di medici e psicologi che permettono di discernere ciò che è psicopatologico da ciò che invece risulta essere un temperamento più vivace. Secondo i criteri diagnostici del DSM-5 (2013), l’ ADHD mostra sintomi riguardanti la disattenzione, l’iperattività l’impulsività e una loro possibile combinazione. Ogni area è contraddistinta rispettivamente da 9 sintomi caratterizzanti. È necessario che tali sintomi siano di numero pari o maggiore a 6 nell’area riferita alla disattenzione o in quella dell’iperattività impulsività. Per gli adolescenti e gli adulti il numero previsto è di 5 sintomi. Per poter porre una diagnosi inoltre, è necessario che suddetti sintomi siano pervasivi, presenti in due o più contesti. L’esordio avviene prima dei 12 anni. Infine i sintomi devono interferire o ridurre la qualità e il funzionamento sociale, accademico o professionale, creando una grave disfunzionalità nella vita quotidiana del paziente. Essendo l’età di esordio identificata nell’infanzia è possibile che i sintomi possano prendere due strade differenti. La prima è quella di essere persistenti nel tempo. La seconda, al contrario, è quella che prevede che i sintomi vadano scemando in età adulta. Per questi motivi, la prevalenza è più alta nei bambini che negli adulti. Circa 1 su 6 bambini con ADHD manterrà la diagnosi completa, mentre la maggior parte dei bambini presenterà solo alcuni aspetti della patologia.

La Consensus Conference nelle sue linee guida per identificare i criteri distintivi dell’ADHD suggerisce:

[…] l’uso di strumenti quali questionari (es. Scale Conners e ADHD-RS, SCOD) e le interviste diagnostiche (es. Kiddie-SADS e PICS-IV), opportunamente standardizzati e validati, possibilmente su campioni italiani. Già a partire dal percorso diagnostico è essenziale la partecipazione-comunicazione del pediatra di famiglia referente per la salute del bambino.

Tuttavia, la diagnosi dell’ADHD, attualmente è prevalentemente di tipo clinico e quindi è basata sull’osservazione del comportamento del bambino in più contesti. Non esistono test diagnostici specifici che consentano di identificare con sicurezza la presenza del disturbo e un limite dei questionari autosomministrati è che talvolta potrebbero rivelarsi relativamente soggettivi in funzione di chi si trova a compilarli.

ADHD: verso le ricerche future

Alla luce di quanto detto, l’ ADHD si configura come una patologia eterogenea che riguarda fattori biopsicosociali disparati. Attualmente risulta molto difficile costruire una batteria ad hoc che possa determinare con maggiore sicurezza la presenza dell’ADHD. Nel panorama italiano un primo tentativo è quello compiuto da Marzocchi M., Re A., Cornoldi C.(2010), i quali hanno creato la BIA (Batteria Italiana per l’ADHD). Tale batteria offre diversi strumenti utili per la lettura dei problemi specifici presentati da bambini disattenti e iperattivi e/o con difficoltà nei processi esecutivi, nel controllo della risposta, dell’attenzione e della memoria. Questi strumenti possono essere usati per la diagnosi quando ci si trova di fronte ad un sospetto di ADHD.

Pertanto, sarebbe interessante orientare le ricerche future verso lo studio approfondito del ruolo che giocano le funzioni esecutive all’interno del profilo del disturbo al fine di creare batterie di test sempre più specifici per favorire diagnosi più accurate possibili evitando quindi falsi positivi o negativi e garantire, altresì, degli interventi terapeutici mirati.

 

Si parla di:
Categorie
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • ADHD Italian Consensus Conference. Indicazioni e strategie terapeutiche per i bambini e gliadolescenti con disturbo da deficit attentivo e iperattività. Cagliari, (2003)
  • American Psychiatric Association – APA (2013). DSM-5™. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5a ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing
  • Corbo S, Marolla F, Sarno V, et al. (2003), Prevalenza dell’ADHD in bambini seguiti dal pediatra di famiglia. Medico e Bambino; 1:22
  • Marzocchi, G.M., Re, A.M., & Cornoldi, C. (2010). BIA. Batteria italiana per l’ADHD per la valutazione dei bambini con deficit di attenzione/iperattività.
  • Panei P, Addis A, Arcieri R, et al. Registro Nazionale dell’ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Disorder): primo anno di attività (2007-2008)., (2008) Roma: Istituto Superiore di Sanità (Rapporti ISTISAN 08/35).
  • Reale L., Zanetti M., Cartabia M., Fortinguetta F., Bonati M., (2014), Due anni di attività del Registro ADHD della Regione Lombardia: analisi dei percorsi di cura diagnostici e terapeutici, Gruppo Regionale Lombardo ADHD Laboratorio per la Salute Materno Infantile, IRCCS – Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, Milano, in Ricerca e Pratica, 30(5), 198-211
  • Scahill, L., Schwab-Stone, M., Merikangas, K. R., Leckman, J. R., Zhang, H., & Kasl, S. (1999). Psychosocial and clinical correlates of ADHD in a community sample of school age children. Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 38, 976–984.
  • Zuddas A., Masi G., (2002), Linee guida per la diagnosi e la terapia farmacologica del Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD) in età evolutiva, approvazione del 24/06/2002 dal Consiglio direttivo della S.I.N.P.I.A., Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in http://www.aifa.it/lineeguida.htm#1
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
ADHD e instabilità emotiva mostrano alterazioni simili a livello cerebrale
ADHD e instabilità emotiva: cosa ci dice il nostro cervello a riguardo?

Le persone affette da ADHD hanno diverse difficoltà nella gestione delle risposte emotive, con risposte caotiche, ansia e depressione. L'interesse per tale dimensione del disturbo ha portato negli anni a scoprire che esistono alcune aree cerebrali alterate che potrebbero essere direttamente implicate in tali aspetti

ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel