Il concetto di Sé, nelle scienze psicologiche ed umanistiche, è stato da sempre oggetto di studio, rispetto al quale diversi autori si sono avvicendati.
Antonio Cozzi – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano
Non è facile trovare una definizione condivisa da tutti gli autori e spesso il Sé viene associato all’identità, creando confusione ed ambiguità. Esso può essere definito come una struttura centrale che racchiude una serie di componenti personali, consentendoci di auto definirci. Per tali motivi appare centrale nella costruzione dell’autostima.
Esiste un generale consenso riguardo al fatto che il Sé si inizi a strutturare già durante l’infanzia e che questo sviluppo sia legato alle relazioni con il mondo esterno.
In questo contributo, verrà fornita una breve panoramica sulle principali teorie riguardanti il Sé, con particolare attenzione a quelle teorie che pongono l’accento sulla sua natura multidimensionale e sul suo sviluppo in età evolutiva ed adolescenziale.
William James – Io e Me
William James (1890) è stato tra i primi ad affrontare l’argomento, distinguendo due componenti del Sé: l’Io e il Me.
L’Io rappresenta l’istanza di consapevolezza, in grado di conoscere, organizzare l’esperienza, agire e riflettere sul Sé. Esso conferisce unicità e continuità all’individuo.
Il Me rappresenta il modo in cui l’individuo si vede, quanto del Sé è conosciuto dall’ Io. Esso si articola in tre sottocomponenti:
- Me materiale: include il me corporeo e fisico in senso largo, la rappresentazione e la definizione di come appariamo
- Me sociale: esso si definisce nelle relazioni ed interazioni sociali, nei rapporti con le persone e nei differenti contesti sociali nei quali siamo immersi
- Me spirituale: essa è l’istanza capace di riflessione. Definito anche Me consapevole
Cooley – Looking glass self
Da queste premesse, si sviluppa la teoria del “looking glass self”, ovvero il Sé Rispecchiato, di C.H. Cooley (1902). L’autore descrive il Sé come una struttura legata all’autoconsapevolezza che si fonda sulle esperienze sociali e relazionali.
Cooley afferma che il modo in cui ci vediamo e rappresentiamo non dipende solo da riflessioni personali sulle nostre caratteristiche, ma anche dalla percezione di come siamo percepiti dagli altri.
Questa self image si costruisce in diverse fasi: innanzitutto, immaginiamo come appaiamo agli altri. In questo senso non ci riferiamo solo agli altri significativi (familiari, amici, insegnanti, etc.) ma anche alle persone con cui entriamo in contatto e relazione durante la vita quotidiana. Successivamente, immaginiamo come gli altri ci possano valutare. Infine costruiamo e rivediamo l’immagine di noi in base al significato che attribuiamo alle osservazioni e valutazioni che gli altri possono avere di noi.
Un punto chiave di questa teoria risiede dunque nel fatto che la struttura del Sè non si costruisca direttamente a partire dall’immagine che gli altri hanno di noi, ma dal modo in cui ci prefiguriamo come potremmo apparire agli altri. Gli individui sono costantemente influenzati da ciò che immaginano che gli altri possano pensare di loro.
Mead – il Sé in relazione con il mondo
Così come Cooley, anche George Herbert Mead ha teorizzato che lo sviluppo del Sé è molto influenzato dalla relazione e dalla interazione con gli altri (Mente, Sé e Società, 1934).
Mentre il primo, tuttavia, ipotizza come qualsiasi individuo con cui interagiamo contribuisca a modificare il modo in cui ci vediamo e rappresentiamo, Mead sostiene che solo alcuni individui significativi possano avere questa influenza. Inoltre, Mead pone l’accento su alcune fasi evolutive specifiche, piuttosto che su tutto l’arco di vita.
Nell’infanzia ad esempio, in cui vi è una visione del mondo più egocentrica, l’altro è scarsamente considerato e – a causa di una Teoria della Mente non ancora sviluppata – l’individuo non è in grado di assumere il punto di vista degli altri.
Tuttavia, come anticipato, anche Mead sostiene che l’interazione con gli altri significativi sia fondamentale nella costruzione della propria identità in quanto crescendo l’individuo diventa sempre più attento ai comportamenti, alle attribuzioni ed alle opinioni degli altri. Nello specifico, secondo l’autore, ciò avviene attraverso 3 differenti fasi.
- Nella prima fase (preparatory stage), in cui i bambini interagiscono con l’adulto principalmente attraverso l’imitazione, essi osservano le azioni dell’adulto e tentano di riprodurle in maniera speculare
- Nella seconda fase (play stage) i bambini iniziano a comunicare con l’altro, piuttosto che imitarlo. Iniziano ad utilizzare un linguaggio simbolico che si andrà con il tempo raffinando. Inizia quindi ad assumere maggior importanza il ruolo delle relazioni sociali nella costruzione della propria identità. Il gioco in questa fase è caratterizzato dall’assunzione di specifici ruoli, in modo differente rispetto a quanto accadeva nella fase precedente in cui vi era una fredda imitazione di specifiche azioni. I bambini iniziano dunque a prestare attenzione anche ai comportamenti e ai pensieri degli altri significativi
- Nell’ultima fase (game stage) questa attenzione si sviluppa ulteriormente. Anche se resta prioritario il ruolo dell’altro significativo, i bambini iniziano a prestare attenzione ai comportamenti e alle opinioni della società in generale, ciò che Mead definisce l’altro generalizzato. Ciò implica che le azioni non sono più influenzate dalle loro credenze personali, ma anche dai principi più vagamente sociali, dalle aspettative dal mondo esterno. Gli individui possono assumere più ruoli ed essi possono essere integrati in un’unica struttura.
Per quanto Mead descriva lo sviluppo del Sé in un’ottica sociale, egli sottolinea sempre il ruolo degli altri significativi (figure di attaccamento, insegnanti, pari, etc.) nel modificare i comportamenti, le attitudini e i pensieri dell’individuo.
L’autore giunge infine alla conclusione che questo processo conduce allo sviluppo di due aspetti distinti del Sé: il Me e l’Io, in cui il Me rappresenta il Sé sociale (come pensiamo di essere percepiti dall’altro generalizzato) e l’Io è la percezione di Sé basata sul Me. Il Sé finale dunque è costituito da un bilanciamento, una sintesi tra Me ed Io, tra come veniamo percepiti dagli altri e come noi ci vediamo in reazione alle opinioni sociali su di noi.
Shavelson – Sé multidimensionale e gerarchico
Se consideriamo il valore multidimensionale del concetto di Sé, un autore a cui è importante fare riferimento è Rich J. Shavelson. Anche egli, coerentemente con quanto postulato dai colleghi che lo hanno preceduto e che abbiamo trattato in questo testo, sottolinea come lo sviluppo del Sé abbia inizio dalla percezione di Sé in relazione con gli altri significativi e con il mondo in generale. Anche in questo caso dunque l’accento è posto in una prospettiva sociale, in quanto i giudizi degli altri e le regole del mondo influenzano il modo in cui noi valutiamo noi stessi (1976).
Secondo l’autore, il concetto di Sé è organizzato e strutturato, ovvero è risultato di una serie di informazioni su di Sé organizzate e collegate tra loro.
Due caratteristiche fondamentali nella teoria dell’autore sono rappresentate dal suo carattere multidimensionale e gerarchico.
Per multidimensionale, si intende che il concetto di Sé è organizzato in dimensioni specifiche relative ai vari ambiti di vita del soggetto. Esisterà dunque un modo specifico in cui ci rappresentiamo e valutiamo per ogni contesto in cui siamo inseriti, come a scuola, nello sport, nelle relazioni intime. Il modo in cui questa rappresentazione cambia può essere molto vario.
Inoltre, ogni concetto di Sé risulta indipendente e differenziabile dagli altri costrutti a cui è legato.
Esistono quindi varie rappresentazioni specifiche di Sé collocate alla base di un concetto globale di Sé, il quale risulta gerarchicamente superiore agli altri. Tale concetto è inoltre maggiormente stabile, mentre gli altri sono più soggetti alle influenze ed agli avvenimenti specifici e dunque possono essere più labili.
Anche Shavelson inoltre sottolinea come il concetto di Sé si evolva coerentemente con lo sviluppo e con le conquiste evolutive dell’individuo.
L’autore individua nel concetto di Sé sia caratteristiche descrittive che valutative. Anche in questo caso, il ruolo della società è particolarmente forte nell’influenzare il modo in cui valutiamo noi stessi, basandoci sulle aspettative del mondo o dell’altro significativo, sui modelli ideali costruiti socialmente, sui confronti costanti con i pari.
Secondo l’autore dunque, il concetto di Sé ha una struttura piramidale, al cui apice si colloca il concetto di Sé generale e subordinatamente i concetti di Sé legati ai singoli domini. Shavelson, Hubner e Stanton (1976), individuano quattro principali concetti di Sé. Il concetto di Sé accademico, sociale, emozionale e fisico. Tali concetti di Sé specifici possono essere suddivisi in ulteriori aree. Ad esempio le singole materie nel sé accademico, il modo in cui ci vediamo in relazione ai pari o ad altri significativi nel sociale, l’espressione di determinate emozioni nell’emozionale e il modo in cui valiamo la nostra apparenza o le abilità nel concetto di sé fisico.
Susan Harter – Il concetto di Sé e l’ autostima
L’ultimo autore che consideriamo in questo contributo è Susan Harter.
Anche Susan Harter (1999) ha posto l’attenzione sugli aspetti evolutivi del Sé, sottolineando come esso inizi a svilupparsi dal momento in cui il bambino inizia a considerarsi come un’entità fisica distinta e con caratteristiche proprie. In tal senso, risulta importante in ottica evolutiva lo sviluppo della memoria autobiografica. Un ulteriore elemento che contribuisce allo sviluppo del Sé già dall’infanzia è la relazione di attaccamento con i genitori.
Nel corso dello sviluppo, ed in particolare durante l’adolescenza, il concetto di Sé acquisisce al suo interno il modo in cui l’individuo si valuta nelle delle differenti aree di vita. Le nuove sfide relative alla fase adolescenziale infatti portano gli individui ad identificarsi in ruoli sempre diversi e tali ruoli a loro volta rivestono un’importanza di volta in volta differente. Un chiaro esempio di ciò riguarda il passaggio da un sistema di relazioni squisitamente familiare ad uno più sociale, in cui il confronto con i pari risulta sempre più importante per autodefinirci e valutarci assumendo col tempo un ruolo prioritario. Ciò implica che in alcuni casi l’individuo può avere un concetto di Sé più positivo in talune aree rispetto ad altre, ad esempio nel ruolo amicale piuttosto che di figlio o di studente, o viceversa, il che può portare ad una percezione discontinua di Sé. Lo sviluppo sociale e cognitivo dell’adolescenza porta l’individuo ad integrare questi ruoli e i diversi concetti di Sé relativi ad ognuno di essi in una struttura unica e coerente.
Abbracciando una teoria multidimensionale del concetto di Sé in quanto risultante dalla valutazione di sé in differenti aree di vita, Harter ipotizza come tali valutazioni conducano alla formulazione del valore di Sé (self-worth) e dell’autostima (self-esteem).
L’autrice inoltre sottolinea come queste aree possano avere un’importanza di volta in volta differente per gli individui, il che comporta che sentirsi competenti (self-worth) nelle aree che un individuo ritiene personalmente importanti contribuisca a strutturare un concetto di Sé più positivo.
Secondo Harter l’autostima è un concetto più globale, legato a come ci valutiamo, al valore che ci attribuiamo nei diversi contesti (Harter, 1993).
Il concetto di Sé è dunque strettamente legato all’autostima, ovvero al modo in cui ci valutiamo nelle diverse aree di vita. Sebbene siano due costrutti differenti e separati, risultano strettamente collegati tra loro.