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Autoinganno: la menzogna verso se stessi a difesa dell’autostima

Le bugie da autoinganno sono illustrate come protezione del sé, una sorta di “anestetico psicologico” a protezione dell'autostima, con lo scopo di non avere consapevolezza di aspetti o situazioni della propria storia di vita che potrebbero produrre disagio o risultare insopportabili.

Di Massimo Zedda

Pubblicato il 08 Mag. 2018

Autoinganno (self-deception): si può considerare come una strategia di coping messa in atto quando la realtà percepita risulta così differente dalla rappresentazione di sé ideale da sviluppare un “racconto alternativo” di se stessi, con l’obiettivo di ridurre il livello di indesiderabilità.

Definizione di Autoinganno: bugia o difesa?

Il Dizionario di Psicologia di U.Galimberti (1999) sotto la voce autoinganno riporta:

atteggiamento mentale di difesa attraverso cui l’individuo falsifica consapevolmente l’immagine che ha di sé per non perdere l’autostima o per non rinunciare al soddisfacimento di bisogni istintuali coscientemente rifiutati. Così facendo il soggetto riesce a raggirare la censura del super-io, offrendo a se stesso false motivazioni che giustificano ai suoi occhi i propri comportamenti ed i propri pensieri

“Sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna, troverà sempre chi si lascerà ingannare” sosteneva Niccolò Machiavelli; due soggetti che interagiscono, uno dei quali mente e l’altro accetta come vera l’affermazione. Nell’autoinganno siamo di fronte alla situazione in cui esistono un ingannato ed un ingannatore che corrispondono allo stesso soggetto, il quale si racconta a sé stesso in modo distorto, con l’obiettivo di raggiungere il nuovo stato desiderato; tale stato verrà utilizzato in futuro se si approccerà ad intenzioni interpersonali. Potremmo essere di fronte ad un eccesso di assimilazione a scapito dell’accomodamento, riferendosi alla teoria di Piaget.

Bugie, errori, menzogne e finzioni

Desimoni (2016) riflette sulla differenza tra bugia, errore, menzogna e finzione: per bugia intende il fenomeno per cui “si è a conoscenza della verità e intenzionalmente si dichiara il falso”, invece l’errore si verifica nel momento in cui il falso viene detto in buona fede per mancanza di conoscenza e di intenzionalità; invero con la menzogna si mente consapevolmente mentre “la finzione fa invece riferimento al fingere e al finto”. L’articolo prosegue con la differenza proposta da Lewiss & Saarni nel 1993, in cui gli autori distinguono le menzogne in:

  • bugie transitorie (di evitamento, di difesa, di acquisizione e bugie di autoinganno) legate all’appartenenza a specifiche età, ruoli e situazioni di vita
  • bugie caratteriali (pseudologie, di timidezza, di discolpa e bugie gratuite) riferite alla storia di vita del mentitore e alla sua personalità, dunque tendono ad essere più stabili, ricorrenti e pervasive

Autoinganno: protezione del sé a salvaguardia dell’autostima

Le bugie da autoinganno sono illustrate come protezione del sé, una sorta di “anestetico psicologico” con lo scopo di non avere consapevolezza del  funzionamento mentale, comportamentale o della coscienza di aspetti o situazioni della storia di vita che potrebbero produrre disagio.

Ho trovato interessante la definizione di De Cataldo e Gulotta (2009), i quali esplicitano l’autoinganno come

uno stato nel quale si determina una divergenza tra ciò che il soggetto che mente sa, sia pure a livello inconsapevole, e ciò che egli riconosce. Tale meccanismo impone di accettare il fatto che una persona creda allo stesso tempo ad una proposizione e alla proposizione che la nega.

Un aspetto importante del fenomeno dell’autoinganno (self-deception) riguarda la consapevolezza dell’atto; il soggetto che mente all’interlocutore è consapevole di non dire la verità, mentre nell’autoinganno il meccanismo mentale porta il soggetto ad accettare per vera una verità falsa al di fuori del quadro della consapevolezza.

La terminologia presa in prestito dalla logica formale viene in aiuto per esporre il meccanismo con maggior facilità. Possiamo definire A e B due agenti (soggetti diversi) che si scambiano proposizioni qualsiasi; A trasmette a B un messaggio che reca il contenuto propositivo. Nel caso dell’autoinganno invece i due agenti interagenti sono la stessa persona (A = A e B = A), la quale professa sia la credenza p (la proposizione vera) sia la credenza non-p (la proposizione falsa).

Il fenomeno dell’autoinganno prevede che il soggetto operi la censura del contenuto della credenza percepita come minacciosa; affinché avvenga la sostituzione, non è necessario acquisire una credenza opposta ma che la mente sia arricchita di ragioni in competizione con la credenza minacciosa e di pensieri che costruiscono una realtà contraria. L’autoinganno potrebbe così diventare un meccanismo di difesa finalizzato a ridurre o annullare la sofferenza mentale.

Relazione tra autoinganno e livelli di stress: sono inversamente proporzionali?

Interessante la ricerca di Tomaka (1992), il quale ha esaminato la relazione tra risposta psicofisiologica allo stress e tre misure di difesa, tra cui l’autoinganno. Le risposte allo stress furono registrate durante lo svolgimento di due compiti mentali aritmetici complessi. Come ipotizzato, i soggetti che presentavano alti livelli di autoinganno producevano una minore risposta psicofisiologica e giudicavano il compito come meno minaccioso.

Come sostiene Roberto Lorenzini (2017):

la visione che ciascuno ha di se stesso è il risultato, l’epilogo, della narrazione che si fa delle vicende della propria vita. Ognuno è il protagonista, positivo per chi sta bene e negativo per chi soffre, della storia che si racconta.

Stili di attaccamento e autoinganno

Dal punto di vista ontologico, dalla ricerca di Gillath et al. (2010) emerge che l’attaccamento sicuro prevede la promozione dell’autenticità e della sincerità, aspetti che proteggono dall’insorgere delle problematiche relative alla menzogna, mentre l’attaccamento insicuro veicola varie forme di inautenticità e disonestà favorendo atteggiamenti difensivi rispetto la propria immagine.

Non bisogna sottovalutare la dimensione interpersonale di rimando alla natura del messaggio recepito dall’interlocutore: infatti le persone che tendono ad autoingannare se stesse vengono valutate negativamente dagli interlocutori stessi; questa valutazione può avvenire immediatamente o nel tempo.

È interessante la lettura proposta da Dings (2017) al concetto di autoinganno. Per affrontare la sua affermazione teorica pone come premessa che una delle teorie più influenti per spiegare come i soggetti si autoingannano si concentra sui pregiudizi cognitivi e percettivi, come l’errata interpretazione, l’attenzione selettiva e la selezione selettiva; meccanismo questo di natura prettamente soggettiva. Dings va oltre e sistematizza il concetto di autoinganno sociale, collegandolo alla teorizzazione filosofica esistente, ampliandone i potenziali meccanismi e ponendo come razionale l’utilizzo di altre persone per ingannare se stessi. Emerge quindi come il marker distintivo dell’autoinganno sociale sia l’uso strumentale di altre persone finalizzato al processo auto-ingannevole.

Per chi fosse interessato, invito a leggere la pubblicazione (Social strategies in self-deception, 2017) in cui l’autore offre una esauriente spiegazione del fenomeno con esempi mirati a comprenderne in maniera semplice i vari meccanismi del processo, differenziato in diverse strategie sociali.

Riduzione della dissonanza cognitiva

Una forma di autoinganno spesso utilizzata dalle persone è la riduzione della dissonanza cognitiva (Festinger, 1957), quel meccanismo per cui attribuiamo maggior valore al risultato della scelta effettuata quando sorge una contraddizione tra gli aspetti cognitivi e quelli comportamentali. L’esempio classico è il fumo: razionalmente si ha la consapevolezza che è dannoso fumare (aspetto cognitivo), ma il comportamento manifesto è quello di fumare. Per ritornare all’equilibrio si modifica la credenza sostenendo una serie di ragioni, come ad esempio “anche il mio medico fuma”.

Secondo la teoria costruttivista, la realtà esterna non esiste come dato oggettivo condiviso ma viene costruita da ciascuno di noi in base al proprio senso e significato. Quindi potremmo aspettarci che ogni soggetto abbia la propria visione del mondo, diversa da quella delle altre persone, e condurre l’ipotesi che l’autoinganno sia una operazione utilizzata nella fase di costruzione del reale, per far emergere quest’ultimo il meno dis-equilibrante possibile per il benessere psichico.

Autoinganno e dipendenze

È interessante notare come il costrutto dell’autoinganno venga utilizzato nella ricerca e nella clinica come elemento per rintracciare le problematiche inerenti le dipendenze da gioco d’azzardo. Emozioni quali la vergogna e la paura dello stigma e la minimizzazione delle problematiche sono i più comuni ostacoli per la ricerca di aiuto nei soggetti con dipendenze patologiche o comportamentali.

Nel 1991 Paulhus e Reid (Goldstein, 2017) svilupparono il BIDR (Balanced Inventory of Desirable Responding) allo scopo di valutare due tipologie di risposte socialmente desiderabili: impression management self-deceptive enhancement. Impression management valuta la tendenza a non descrivere comportamenti socialmente devianti e presentare un’immagine favorevole al pubblico, mentre Self-Deceptive Enhancement (SDE) si riferisce alla tendenza di sopravvalutare caratteristiche socialmente desiderabili.

Ulteriore aspetto del self-deceptive si riferisce alla natura delle conseguenze; non sempre la menzogna è un male. Come riportato in un articolo su State Of Mind (Schirru N., 2015), Vrij (2008) nelle sue ricerche suggerisce che è possibile uscire dal pregiudizio secondo il quale mentire sia sbagliato.

La natura della menzogna

Difficile definire la natura del mentire ed alcuni studiosi, tra filosofi, sociologi, scienziati cognitivi, lo definiscono un fenomeno psicopatologico, un comportamento non intelligente, altri invece come un comportamento indispensabile per la sopravvivenza del soggetto. L’autoinganno, come abbiamo visto, è la menzogna verso se stessi e nella discussione emerge che “anche mentire a se stessi viene considerato un modo per ingannare qualcuno, o in altre parole, proteggere la propria autostima.”

Così come è difficile cogliere la menzogna, lo stesso accade nei confronti della menzogna verso se stessi; un esempio letterario che mostra come tale difficoltà esista e possa essere alla portata di tutti è l’Errore di Otello. L’errore rappresenta la difficoltà di capire quanto sia arbitraria la relazione tra significante e significato; il protagonista del dramma sotto l’influenza della gelosia, non crede alla sua amata Desdemona che, accusata di tradimento, la consegna ingiustamente nel destino nefasto.

Le correlazioni tra alti livelli di autoinganno e psicopatologia

In ultima analisi, come sostiene Gorlin (2017), i soggetti che presentano alti livelli di autoinganno hanno esiti ed apprendimenti insoddisfacenti nelle prestazioni lavorative con conseguenze ipotizzabili di natura negativa rispetto l’impatto sociale. Inoltre ottengono punteggi alti nelle misurazioni del narcisismo e sintomatologia depressiva. Anche dagli studi di Paulhus (1998) e Compton et al. (1996) emerge che l’autoinganno si presenta nel soggetto in modo significativo con il narcisismo. Nelle stesse ricerche emerge che tale significatività è riscontrata anche in costrutti quali l’autostima e la positività difensiva.

 

Per concludere: l’autoinganno protegge il soggetto dalla realtà disagevole e sviluppa modalità cognitive per affrontare le conseguenze di scelte che potrebbero essere rilette portatrici di risultati diversi da quelli auspicati (dissonanza cognitiva), processi questi che non hanno come fine il malessere dell’altro, ma che potrebbero meritare il porsi come obiettivo la maggiore consapevolezza dei propri meccanismi al fine di evitare l’insorgere di realtà non-reali potenzialmente fondatrici di disagio sociale.

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