Una diagnosi clinica di afasia progressiva primaria richiede un principale deficit linguistico isolato durante l’iniziale fase della malattia, con insorgenza insidiosa e deterioramento graduale e progressivo della produzione linguistica (tra cui difficoltà in denominazione di oggetti, sintassi o comprensione delle parole) che si fa evidente sia durante la conversazione che attraverso valutazione formale linguaggio.
Francesca Fumagalli – OPEN SCHOOL Psicoterapia Cognitiva e Ricerca, Milano
In relazione alle demenze, sin dall’Ottocento sono state descritte forme degenerative atipiche, caratterizzate da un esordio non amnesico focale ma interessanti il linguaggio, l’analisi visiva e visuo-spaziale, il riconoscimento dei volti, etc. (Denes & Pizzamiglio, 1996).
Pick (1892) e Serieux (1893) descrissero per primi dei casi di soggetti con disturbo progressivo del linguaggio associato ad atrofia cerebrale a livello delle regioni frontali e temporali dell’emisfero di sinistra. Dopo più di 70 anni dai primi casi storici, nel 1982, l’americano Marek-Marsel Mesulam descrive una serie di sei pazienti con una progressiva riduzione delle capacità espressive verbali, coniando il termine di “afasia lentamente progressiva”. A pochi anni di distanza dal lavoro di Warrington (1970), che individuò una condizione clinica caratterizzata da un disturbo progressivo della memoria semantica, con ingravescenti anomie e difficoltà a riconoscere prevalentemente alcune categorie di stimoli (specificità categoriale per gli stimoli animati) e presentavano un linguaggio fluente con fonologia e articolazione preservata.
Tale quadro venne definito poi da Snowden e collaboratori (1989) una forma di “demenza semantica”. Negli anni si cercò di caratterizzare sempre di più la sintomatologia e l’eziopatogenesi, ma per molto tempo venne utilizzata in maniera pressoché costante la dicotomia “demenza semantica” o “afasia progressiva non fluente” (Gorno-Tempini et al., 2011). Poichè sono stati collezionati anche numerosi casi che non sembravano adattarsi a tale classificazione binaria, venne poi ipotizzata una terza variante, descritta empiricamente e classificata come variante “logopenica” di afasia progressiva da Gorno-Tempini e collaboratori nel 2004.
Afasia progressiva primaria (APP)
L’ afasia progressiva primaria – APP (dall’inglese Primary Progressive Aphasia – PPA) è una sindrome neurologica rara caratterizzata da aspetti clinici polimorfi che tuttavia presentano come elemento in comune la perdita del linguaggio (Mesulam, 2001). Appartiene al quadro delle atrofie corticali focali progressive, nelle quali si riscontra l’alterazione di una funzione cognitiva senza che sia presente demenza per almeno due anni (Masson et al., 2013). La competenza linguistica può risultare destrutturata nei suoi livelli fonologici, semantici e sintattici, sul versante orale o scritto; l’eloquio può presentarsi normale in fluenza o non fuente (Mesulam, 2001).
Mesulam (2003) evidenziò la difficoltà nel riconoscere e diagnosticare un’ afasia progressiva primaria, ponendo particolare attenzione alle difficoltà di diagnosi differenziale. Difatti, in primo luogo esistono plurime affezioni neurologiche in cui la perdita del linguaggio può essere presente ma inclusa in una ampia serie di altri deficit cognitivi a carattere ingravescente (ad esempio memoria, attenzione, ragionamento, prassia-costruttiva, etc). Inoltre, un quadro afasico può essere progressivo ma non primario se inserito in una sindrome più complessa. Infine, altre forme cliniche a carattere degenerativo quali le demenze vascolari, a Corpi di Lewi, la Creutzfeld-Jacob e la malattia di Alzheimer stessa possono manifestarsi con i disturbi del linguaggio. Alla luce di tali affermazioni, ne consegue che la diagnosi differenziale consista e richieda una lunga e complessa valutazione seriata nel tempo, supportata da esami accessori strumentali e di laboratorio (Vallar & Papagno, 2011; Grossman, 2010).
Il lavoro di Gorno-Tempini e colleghi del 2011 ha fornito una classificazione della afasia progressiva primaria e delle sue tre varianti principali. Stabilire una classificazione o “diagnosi clinica” comporta un processo a due passi. In primo luogo, il paziente deve soddisfare i criteri di base APP, basato su linee guida iniziali e attuali di Mesulam (2001; 2003).
Una diagnosi clinica di afasia progressiva primaria richiede un principale deficit linguistico isolato durante l’iniziale fase della malattia, con insorgenza insidiosa e deterioramento graduale e progressivo della produzione linguistica (tra cui difficoltà in denominazione di oggetti, sintassi o comprensione delle parole) che si fa evidente sia durante la conversazione che attraverso valutazione formale linguaggio (Gorno-Tempini et al., 2013). Le attività di vita quotidiana sono mantenute autonomamente, fatta eccezione per quelle relativi alla lingua (ad esempio, utilizzare il telefono). L’ afasia dovrebbe rappresentare quindi il deficit più evidente in fase iniziale; le altre funzioni cognitive possono essere influenzate in seguito, ciononostante il linguaggio rimane il dominio più compromesso per tutto il decorso della malattia (Mesulam 2003; Mesulam et al., 2009; Libon et al., 2009).
I criteri di esclusione prevedono la presenza di episodi significativi con perdita di memoria non verbale e compromissione nel dominio visuo-spaziale durante le fasi iniziali della malattia. Inoltre va esclusa, tramite accertamenti con neuroimaging, la presenza di eventi morbosi quali ictus o tumore come cause eziologiche del disturbo linguistico (Gorno-Tempini et al., 2013). Ed ancora, i disturbi comportamentali possono presentarsi, specialmente nelle varianti non fluenti e semantiche, ma non dovrebbero rappresentare la principale causa di deficit funzionale, così come la sintomatologia extrapiramidale.
Una volta individuata la diagnosi e sintomatologia clinica di APP, la presenza o assenza di determinate caratteristiche linguistiche consente di classificare le varianti di afasia progressiva primaria; i principali domini considerati sono produzione linguistica, ripetizione, comprensione di parole e frasi, denominazione, conoscenze semantiche, lettura e scrittura. Ne consegue che una valutazione neuropsicologica puntale di tutti questi elementi risulta necessaria per la corretta classificazione dei pazienti in sottotipi di APP (Gorno-Tempini et al., 2013). In particolare, diagnosi e trattamento si fondano su:
- Esame del dossier clinico e raccolta anamnestica remota e prossima con il paziente e i familiari
- Esame neurologico
- Esame neuropsicologico generale e valutazione linguistico/afasiologica
- Esame psichiatrico
- Valutazioni longitudinali a distanza di 6-12 mesi con controlli più brevi focalizzati
- Studio di neuroimaging strutturali (RMN) e funzionale (PET-FDG, SPECT)
- Eventuale studio del fluido cerebrospinale (marker per demenza)
- Eventuali indagini genetiche
La classificazione di afasia progressiva primaria in una delle varianti può verificarsi in uno dei 3 livelli: livello clinico, livello supportato dal neuroimaging, e diagnosi patologica definitiva (Gorno-Tempini et al., 2013). La diagnosi clinica si verifica quando un caso si presenta con un profilo linguistico ben definibile e caratteristico di una specifica variante; soddisfatti i criteri clinici, si passa al successivo livello di classificazione in cui sono richiesti pattern al neuroimaging (strutturale o funzionale) coerenti con quelli attesi a seconda della forma clinica. Il terzo livello, ossia una diagnosi di patologia definita, si riferisce a casi che presentano caratteristiche cliniche tipiche di una determinata variante (con o senza neuroimaging) e mutazioni patologiche o genetiche associate con spettro della degenerazione lobare fronto temporale (frontotemporal lobar degeneration FTLD), dell’Alzheimer Disease (AD), o altra eziologia specifica. Gli autori sottolineano tuttavia che la presenza di diagnosi a livello di patologia definita non implica che la sindrome sia meglio definita clinicamente, ma solo che è stata associata a una caratteristica biologica nota.
Classificazione dell’Afasia Progressiva Primaria
Venendo al sistema di classificazione, ad oggi si parla di una variante non-fluente-agrammatica, una variante semantica e una variante logopenica.
Il gruppo di lavoro di Gorno-Tempini e collaboratori (2011) definisce la caratterizzazione sul piano clinico della variante non-fluente-agrammatica di APP ( non-fluent/agrammatic variant PPA):
- Presenza di linguaggio non fluente, con numero di parole nell’arco di un minuto ridotte ad 1/3 del normale
- Agrammatismo con omissione di funtori e semplificazione della frase
- Alterazioni della prosodia e della melodia
- Errori in linguaggio con sostituzioni e distorsioni fonetiche
- Aprassia del linguaggio
- Mutismo finale
All’esame neuropsicologico in fase iniziale è possibile riscontrare un’alterata comprensione grammaticale sia in prove scritte che orali a fronte di una buona comprensione semantica e una riduzione della fluenza verbale. All’obiettività neurologica si rilevano segni extrapiramidali, distonia, mioclono, ipertonia assiale; tali elementi fanno ipotizzare un’associazione almeno parziale con la malattia del motoneurone. Al neuroimaging si rilevano alterazioni a livello della regione fronto-insulare sinistra (Gorno-Tempini et al., 2004), così come anomalie a livello delle aree motorie (Kertesz et al., 2000).
La seconda variante presa in considerazione nei nuovi criteri di Gorno-Tempini e collaboratori (2011), è indicata con la terminologia variante semantica di APP (semantic variant PPA); secondo il gruppo di lavoro essa si caratterizza clinicamente per:
- Ridotta comprensione di parole singole
- Degradazione e semplificazione delle informazioni semantiche
- Presenza di “word finding” e anomie
- Uso di parole passe-partout (linguaggio vuoto)
- Comprensione del linguaggio compromessa
L’esame neuropsicologico pone in evidenza alterazioni nelle prove di comprensione e denominazione (confrontation naming), con perdita della conoscenza del significato delle parole e degli oggetti (persone/entità uniche); si osserva inoltre una dissociazione con mantenimento del significato dei concetti astratti rispetto a quello degli oggetti reali; si associa dislessia superficiale e disgrafia, permane tuttavia buona la prestazione in prove di ripetizione di parole e frasi. L’obiettività neurologica evidenzia la possibile presenza di segni extrapiramidali; anche tale variante si trova in associazione con malattia del motoneurone. A livello di studi di neuroimmagine, sono state individuate alterazioni a livello delle aree temporali anteriori bilateralmente (Gorno-Tempini et al., 2004).
Infine, viene proposta una caratterizzazione per la forma definita dagli autori variante logopenica di APP (logopenic variant PPA), il cui profilo clinico si caratterizza per:
- Difficoltà nel “word finding” in linguaggio spontaneo
- Difficoltà della memoria fonologica e di lavoro
- Difficoltà nella comprensione di frasi lunghe
- Non si rilevano tuttavia difficoltà nella velocità di produzione linguistica e non distorsioni
In fase iniziale, alle rilevazioni neuropsicologiche è possibile oggettivare deficit e alterazioni nelle prove di fluenza verbale, di comprensione di frasi complesse; riduzione delle capacità di ripetizione di frasi e sintagmi; si riscontrano errori fonologici in linguaggio spontaneo e nelle prove di denominazione, con assenza di agrammatismo. L’obiettività neurologica è negativa. Al neuroimaging è possibile rilevare alterazioni, in particolare atrofia a livello della aree perisilviane sinistre e del lobo temporale anteriore (Gorno-Tempini et al., 2004). I casi con patologia definita APP variante logopenica come quando presentano le caratteristiche cliniche, supportate o non dal neuroimaging o meno, e quadro istopatologico noto. Studi recenti evidenziano che la malattia di Alzheimer potrebbe essere la patologia sottostante più comune (Mesulam et al., 2008; Rabinovici et al., 2008 ).
Evoluzione e trattamento
L’evoluzione di queste afasie progressive va verso una demenza frontotemporale al termine di un decorso medio di 7-8 anni; le lesioni neurodegenerative possono essere quelle di una degenerazione frontotemporale o della malattia di Alzheimer (Masson et al., 2013).
Nonostante le differenze di quadro clinico, le sindromi di afasia progressiva primaria collettivamente manifestano problemi di gestione simili e richiedono in generale l’integrazione di approcci non farmacologici e farmacologici (Marshall et al., 2018). Il trattamento è basato su differenti approcci al fine di rallentare e/o bloccare l’evoluzione del disturbo nel tempo.
In particolare, gli autori evidenziano il ruolo della terapia logopedica avente un ruolo fondamentale nel fornire al paziente strumenti e strategie di aiuto e di supporto alla comunicazione, il trattamento poi deve essere “tagliato” sul singolo soggetto e sul suo profilo, con l’obiettivo di ridurre le difficoltà o mantenere le autonomie nella vita quotidiana (per esempio, ordinare il pane dal panettiere).
Anche mezzi tecnologici quotidiani come smartphone e strategie di compenso possono sostenere il soggetto nello svolgimento di attività quotidiane come lo shopping o la cucina (Wong et al., 2009; Bier et al., 2015). Nel corso del tempo poi spesso i soggetti possono manifestare disfagia, prevalentemente attribuibile a deficit di controllo motorio o all’impulsività, anch’essa meritevole di trattamento specifico.
Soprattutto negli ultimi decenni sono state introdotte nel trattamento dell’ afasia progressiva primaria nuove tecniche, come le metodiche non invasive di stimolazione cerebrale tra cui la stimolazione magnetica transcranica (TMS – transcranial magnetic stimulation) e la stimolazione transcranica a corrente diretta (tDCS – transcranial direct current stimulation), a volte combinata con la logopedia.
In aggiunta, sono spesso necessarie misure di supporto ed educazione rivolte sia al paziente che ai familiari o caregivers.
Per quanto concerne la terapia farmacologica, non ci sono attualmente trattamenti in grado di modificare la malattia, inoltre le prove di efficacia dei trattamenti sintomatici è scarsa: gli studi che prevedevano l’uso di farmaci per l’AD hanno difatti portato a risultati modesti. Oltre a ciò, il ricorso a molecole specifiche pare più adatto al trattamento delle patologie in comorbilità più che alla sintomatologica dell’ afasia progressiva primaria: per esempio, per la gestione di gravi stati di agitazione o sintomi psicotici nelle fasi avanzate della malattia potrebbero dare validi risultati neurolettici di nuova generazione (Marshall et al., 2018). È necessario in futuro sviluppare e rinforzare nuovi approcci, valutandone adeguatamente l’efficacia tramite studi controllati, anche in vista di un contesto futuro in cui la riabilitazione cognitiva si muova e si modifichi in concomitanza con le variazioni della farmacoterapia e della malattia stessa.