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Quello che la mente dice: l’influenza dei pensieri e il concetto di defusione

La defusione è, nell’ Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la risposta alla fusione cognitiva: si tratta in sintesi di un processo nel quale le persone arrivano a sperimentare i pensieri semplicemente come pensieri, eventi passeggeri che non bisogna necessariamente controllare.

Di Rachel Musolino

Pubblicato il 17 Apr. 2018

L’ Acceptance and Commitment Therapy (ACT) ha portato l’attenzione sulla fusione col pensiero, e la sua controparte, la defusione. Praticare la defusione significa non lasciarsi agganciare dagli eventi interni, ma apprendere a notare i pensieri distinguendoli dalla realtà.

 

Funzionalità dei processi di pensiero

Il pensiero e i suoi processi possono essere considerati tra le funzioni che, in stretta connessione con il linguaggio, consentono all’uomo di sostenere prestazioni altamente intelligenti. Lo sviluppo di alcune aree cerebrali ci ha permesso di evolverci, sviluppare abilità cognitive complesse e diventare abili pensatori. Grazie alla corteccia prefrontale, ad esempio, siamo in grado di generare nuovi comportamenti esplorando diverse alternative, ci è possibile immaginare, valutare le soluzioni possibili per il raggiungimento dei nostri obiettivi. Il nostro cervello opera però non solo manipolando e soppesando esperienze e sensazioni fisiche reali, ma si serve anche di rappresentazioni e astrazioni della realtà, ovvero di concetti che pone al centro dei processi di pensiero e ragionamento (Skoyles, Sagan, 2003). Il diffuso interesse per tali capacità dell’essere umano ha da sempre spinto gli studiosi ad approfondire i meccanismi che sottendono processi quali il prendere decisioni, il problem solving, le attività di valutazione e di giudizio che continuamente mettiamo in atto per muoverci nel mondo.

La fusione col pensiero: quando le credenze corrispondono a realtà

Ma cosa succede quando ci “fondiamo” con i nostri pensieri, immagini mentali, previsioni più o meno pessimistiche? Iniziamo a credere che questi corrispondano alla realtà e guardiamo al mondo attraverso di essi, come attraverso un filtro che altera il modo in cui vediamo le cose. Molti dei significati che emergono da questa fusione coi pensieri non ci aiutano a vivere pienamente, anzi, ci fanno credere che ci sia qualcosa di preoccupante, spaventoso, minaccioso da cui difendersi. Sappiamo che di fronte ad una potenziale minaccia la complessità delle nostre menti ci consente di trovare soluzioni creative, di risolvere problemi, di rispondere agli ostacoli che si frappongono tra noi e i nostri obiettivi.

La mente è una risolutrice di problemi e pertanto tenta anche di proteggerci da ciò che per noi rappresenta un pericolo; tutto ciò è funzionale all’evoluzione e alla sopravvivenza, ma in alcuni casi può generare un’inversione nella direzione della sofferenza psichica. In questi casi la mente propone soluzioni a problemi che non si sono ancora presentati e che probabilmente non si verificheranno mai, risponde a preoccupazioni e dubbi dettati da credenze distorte su se stessi o sugli altri, da previsioni su ciò che di brutto potrebbe accadere, da idee di fallimento o idee negative di altro genere; in sostanza, si tratta di storie che la mente racconta e che portano a costruire soluzioni disfunzionali, evitamenti, rinunce, tentativi di controllo inflessibili e rigidità. Così avviene che a volte ci sentiamo bloccati, quasi fisicamente incapaci di muoverci verso un obiettivo per noi importante. Magari perché giudichiamo le nostre capacità di farcela in maniera brutalmente – e irrealisticamente – critica, magari perché diamo per scontato il fallimento, o ancora perché “prevediamo” un epilogo negativo, sicuri che si realizzerà la peggiore delle ipotesi, trovando giustificazioni al nostro comportamento che siano in linea con tali convinzioni. È in un simile scenario che i pensieri possono talvolta svolgere un ruolo chiave nel produrre situazioni di stallo e sofferenza soggettiva, e non è tanto – o non solo – il loro contenuto a causare dolore o a impedirci di perseguire i nostri scopi, quanto il modo in cui ci rapportiamo ad essi.

Fusione e defusione nell’ Acceptance and Commitment Therapy

A questo proposito, l’approccio cognitivo-comportamentale cosiddetto di terza generazione e, in particolare, l’ Acceptance and Commitment Therapy (ACT), hanno portato l’attenzione su un concetto particolarmente esplicativo di quanto finora descritto: la fusione, e la sua controparte, la defusione. La fusione consiste nell’essere “incollati” alle esperienze interiori, quali pensieri o emozioni, e guardare il mondo attraverso le loro lenti; praticare la defusione significa invece non lasciarsi agganciare da questi eventi interni, ma apprendere a notare i pensieri distinguendoli dalla realtà (Polk, Schoendorff, Webster, Olaz, 2016). I concetti di fusione e defusione sono connessi all’idea di base che il linguaggio abbia un’influenza sul comportamento. Con la pratica della defusione è possibile riconoscere che i pensieri sono appunto parole, storie, discorsi che si presentano nella nostra mente ma che non necessariamente sono veri, possono esserlo ma non dobbiamo credergli automaticamente. Possiamo concedergli tempo e attenzione solo se sono utili, ma nessun pensiero, per quanto doloroso, rappresenta una minaccia reale (Harris, 2010).

Per questo alcune tecniche dell’ Acceptance and Commitment Therapy volte a promuovere la defusione si fondano sull’utilizzo di strategie verbali che consentono alla persona una descrizione della propria esperienza per ciò che è: invece di pensare “io non posso farlo” e rendere questo pensiero una verità assoluta, si può trasformare questa affermazione in “ho il pensiero di non poterlo fare”. L’intero lavoro sul processo di defusione prevede che si vada, parallelamente, ad intervenire sulla capacità della persona di accettare quei pensieri per lei disturbanti.

Come scrive Harris (2010, p.53):

Rapportati ai tuoi pensieri in modo nuovo, così che abbiano un impatto e un’influenza molto minori su di te. […] essi perderanno la capacità di spaventarti, preoccuparti, stressarti o deprimerti. E man mano che imparerai a praticare la defusione dai pensieri inutili, come le convinzioni che ti limitano e l’autocritica feroce, essi avranno molta meno influenza sul tuo comportamento.

La defusione è quindi, nell’ Acceptance and Commitment Therapy, la risposta alla fusione cognitiva. Si tratta in sintesi di un processo nel quale le persone arrivano a sperimentare i pensieri semplicemente come pensieri, eventi passeggeri che non bisogna necessariamente controllare (Dahal, Stewart, Martell, Kaplan, 2013).

Anche se il concetto di defusione è solo uno dei processi previsti dall’ ACT e va quindi inserito e letto in un contesto più ampio e completo, anche osservarlo singolarmente stimola importanti riflessioni. Avvicinarsi alla consapevolezza che i pensieri possano essere visti in questa prospettiva può rappresentare infatti un punto di partenza per la comprensione dei comportamenti e delle forme di sofferenza che sempre più spesso interessano la nostra società. È utile quindi introdurre noi stessi all’idea che anche la mente mente, e che a volte è bene allenarsi a guardare le cose dalla giusta distanza, “giocare” con i pensieri ingombranti trattandoli per quello che sono, parole, perché – citando Shakespeare – “non c’è niente né di buono né di cattivo che non sia il pensiero a renderlo tale” (Amleto, atto II, scena II).

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  • Dahal, J., Stewart, I., Martell, C., Kaplan, J.S. (2013) ACT and RFT in relationships. Helping clients deepen intimacy and maintain healthy commitments using Acceptance and Commitment Therapy and Relational Frame Theory, New Harbinger Publications.
  • Harris, R. (2010) La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere. Erickson
  • Long, D.M., Lazzarone, T., Hayes, S.C. (2010) L’Acceptance and Commitment Therapy, in Bulli, F. Melli, G. (a cura di) Mindfulness e acceptance in psicoterapia. La terza generazione della terapia cognitivo-comportamentale, pp. 75-103, Eclipsi
  • Polk, K.L., Schoendorff, B., Webster, M., Olaz, F.O. (2016) La matrice ACT. Guida all’utilizzo nella pratica clinica, Franco Angeli
  • Shakespeare, W. Amleto, Feltrinelli Editore, 1995, Milano.
  • Skoyles, J.R., Sagan, D. (2003) Il drago nello specchio. L'evoluzione dell'intelligenza umana dal big bang al terzo millennio. Sironi editore.
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