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Le abitudini: formazione e modifica dei comportamenti

Le abitudini sono risposte comportamentali automatiche ad uno stimolo e si sviluppano attraverso la ripetizione del comportamento.

Di Angelica Gandolfi

Pubblicato il 01 Feb. 2018

Aggiornato il 02 Feb. 2018 14:34

Possiamo definire abitudini quelle risposte comportamentali automatiche ad uno stimolo, sviluppate attraverso la ripetizione del comportamento in contesti coerenti tra loro (Lally e Gardner, 2013).

 

Che cos’è un’abitudine?

Ognuno di noi attua quotidianamente un certo numero di abitudini, il che ci permette di economizzare sulle nostre risorse cognitive, velocizzando notevolmente il processo di elaborazione delle informazioni. Nel momento in cui un comportamento diventa abitudinario, assume maggiore salienza il concetto di automaticità piuttosto che quello di frequenza di emissione, che rimane prioritario nella fase di consolidamento (Gardner, 2012).

In presenza di un’abitudine, le intenzioni del momento hanno poca influenza sull’emissione del comportamento: Gardner (Gardner,de Bruijn e Lally, 2011) sostiene che, laddove la volontà sia in conflitto con un’abitudine, è più probabile che il comportamento proceda in linea con quest’ultima.

Il concetto di abitudine ha assunto notevole importanza nel campo della salute mentale e fisica. È infatti intuibile come la comprensione del funzionamento delle abitudini possa essere d’aiuto nella promozione del benessere individuale, andando a stabilire o consolidare comportamenti funzionali ed interrompendo o modificando comportamenti maladattivi.

In quest’ottica, alla fine degli anni ’90, alcuni ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT), hanno analizzato i meccanismi neurologici alla base delle abitudini e hanno concettualizzato il Habit hoop, o ciclo dell’abitudine (Mandar, Yasuo, Christopher, Viveka e Ann 1999), che spiega la strutturazione di un’azione abitudinaria. Gli autori hanno identificato tre principali componenti:

– il segnale, una particolare condizione, esterna o interna, che attiva il nostro “pilota automatico”. Per identificare al meglio un segnale, ne sono state identificati cinque importanti aspetti: il luogo in cui ci troviamo, l’ora del giorno, il nostro stato emotivo, le persone con cui siamo, le azioni precedenti appena compiute;

– la routine, il comportamento automatico vero e proprio, che si verifica dopo il segnale. La routine può essere fisica (azioni), mentale (pensieri) o emotiva (risposta emozionale);

-la gratificazione, la reazione biochimica che consegue al comportamento e che lo rinforza. Una gratificazione può essere esterna, ma anche interna: provare piacere o evitare una sensazione sgradevole, sono conseguenze molto rinforzanti, addirittura superiori a quelle estrinseche.

Come si struttura un’abitudine?

Lally et al. (Lally, van Jaarsveld, Potts e Wardle, 2010) hanno dedicato la loro attenzione al processo di formazione dell’abitudine, sottolineandone l’importanza della ripetizione costante del comportamento in contesti specifici per un lungo periodo di tempo, rilevando una tempistica media di 66 giorni. Questo dato assume importanza a livello motivazionale, laddove ci si aspetti di ottenere cambiamenti consistenti in periodi più brevi. Gli autori hanno inoltre rilevato che omettere saltuariamente il comportamento non compromette l’intero processo, considerazione che si inserisce perfettamente nel generale processo di cambiamento e che aiuta a non considerare come fallimento totale l’attuazione imperfetta del piano mentale, evitando così l’interrompersi del processo.

Quando una nuova azione viene eseguita, si crea un’associazione mentale tra la stessa e la situazione circostanziale (antecedente o segnale), per cui la ripetizione rafforza e stabilisce questo collegamento nella memoria (Lally, Wardle e Gardner, 2011), rendendo, di conseguenza, le azioni alternative meno accessibili al ripresentarsi della stessa situazione. Al riproporsi del segnale, quindi, avrà maggiore probabilità di essere emessa la risposta il cui legame è maggiormente forte, fino ad assumere la caratteristica di automaticità. La potenza di questa traccia mnestica spiega come sia così arduo modificare un comportamento abitudinario, anche laddove ci sia intenzionalità nel farlo.

Promuovere nuovi comportamenti e modificare i vecchi

Le conoscenze delle catene abitudinarie possono essere utilizzate sia per promuovere nuovi comportamenti, andando a instaurare nuovi legami, sia per intervenire su vecchi comportamenti, modificandoli agendo sui vari anelli.

La vita quotidiana ci offre numerosi esempi di come molti obiettivi comportamentali, rivolti al benessere personale, possano essere raggiunti esclusivamente tramite azioni ripetute. Ad esempio, l’obiettivo di perdere o mantenere peso corporeo, può essere perseguito solo seguendo indicazioni nutrizionali e di attività fisica in modo sufficientemente continuativo. Il cambiamento di comportamento si riferisce a un processo a lungo termine caratterizzato dall’avvio e dal mantenimento di un nuovo comportamento che promuove la salute e, proprio per questo, spesso non raggiunge un buon fine.

Possiamo infatti pensare che agire solamente in base a un obiettivo a lungo termine non aumenti la motivazione nel perpetuare il comportamento. Qui entra in gioco la terza componente del ciclo abitudinario, la gratificazione. La traccia mnestica diventa maggiormente profonda se al comportamento consegue una gratificazione, che si traduce in un’esperienza positiva.

Definire l’abitudine come una risposta automatica a un segnale, consolidata tramite ripetizione contesto-dipendente, genera importanti considerazioni riguardo la possibilità di avviare cicli abitudinari che promuovano la salute degli individui (Lally et al., 2010). Sono stati identificati alcuni passaggi nella formazione volontaria di un’abitudine. Prima di tutto, l’individuo deve giungere alla decisione di agire, per poi tradurre tale scelta in una o più azioni comportamentali. Tale comportamento deve essere poi ripetuto regolarmente in uno specifico contesto, per promuoverne l’automaticità. (Lally e Gardner, 2013).

Weeb e Sheeran (2006) hanno notato un gap nella transizione dall’intenzione di agire al comportamento vero e proprio. Tra tutti i fattori che possono influenzare la trascrizione decisione-azione, saranno qui analizzati quelli ritenuti maggiormente frequenti.

Prima di tutto il fattore motivazionale. L’individuo deve essere motivato a riprodurre il comportamento per un periodo di tempo, in modo costante, quando se ne presenta l’opportunità. Qui la salienza, la priorità, la forza e la stabilità delle intenzioni giocano un ruolo molto importante (Lally et al., 2010; Lally et al., 2011), così come la conseguenza gratificante immediatamente conseguente l’azione.

Ci possono poi essere abitudini già consolidate che entrano in conflitto con il nuovo comportamento. Solitamente esse sono circoli automatici maggiormente svantaggiosi rispetto a quello nuovo che si vuole stabilire, persino disfunzionali, per cui, una volta riconosciuti nelle diverse componenti, è necessario che essi vengano interrotti, tramite la rottura dell’associazione segnale-comportamento (Verplanken, Walker, David e Jurasek, 2008) o la programmazione di risposte alternative al segnale in questione (Adriaanse, Oettingen, Gollwitzer, Hennes, de Ridder e de Wit, 2010). Per interrompere un’abitudine è possibile, quindi, agire sul segnale, controllando il contesto in modo da evitare la situazione target, agire sulla risposta, emettendo comportamenti alternativi a quello problema, o agire sulla gratificazione, eliminando il rinforzo positivo conseguente o inserendo una punizione negativa (sottraendo cioè un elemento piacevole).

Un altro aspetto che può causare il gap comportamentale è una difficoltà propria del processo di operazionalizzazione dell’intenzione, riguardante cioè la capacità di produrre piani di azione. In generale, possiamo considerare i piani di azione come la pianificazione di un determinato comportamento da emettere in uno specifico contesto (Sniehotta, 2009). Nel caso delle abitudini, per sopperire questa lacuna, è possibile programmare piani altamente dettagliati, che specifichino i collegamenti tra segnali situazionali prevedibili e risposte direttamente collegate all’obiettivo, con la forma “se c’è la situazione Y, avvierò il comportamento Z, al fine di raggiungere l’obiettivo X”. Recenti studi hanno dimostrato l’efficacia di tali piani di implementazione nell’aumentare la frequenza di esecuzione di un nuovo comportamento e la forza dell’abitudine nel tempo (Orbell & Verplanken, 2010). La pianificazione può inoltre prevedere i possibili ostacoli alla prestazione, massimizzando così le probabilità dell’emissione del comportamento.

Conclusioni

Lungi dall’esaurire l’argomento, l’articolo ha voluto illustrare il funzionamento generale di un meccanismo abitudinario. È possibile trarre spunto da queste informazioni per aumentare la consapevolezza sui propri comportamenti e per domandarsi se vi sia qualcosa che si vuole modificare, sostituendo un comportamento non adeguato o iniziandone uno funzionale al nostro benessere.

Ogni tipo di cambiamento comporta una dose di ansia, intrinseca alla rottura momentanea dell’equilibrio esistente. Spesso si tende a procrastinare proprio per paura di abbandonare le rassicuranti situazioni che conosciamo, comprendenti contesti prevedibili e azioni abitudinarie. Questo anche perché per cambiamento ci si prospetta enormi modificazioni di vita, ribaltamenti di ingente entità. Un cambiamento, invece, parte proprio da piccoli passi, dalla modifica di micro-sequenze nel più vasto panorama personale. È possibile provare partendo dall’azione più semplice possibile, per iniziare ad avere l’esperienza di potercela fare e di poter stare in un momento di incertezza.

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