Il suicidio è una delle principali cause di morte tra le persone con anoressia nervosa: dal 3 al 20% dei pazienti con questo disturbo dell’alimentazione tentano il suicidio nell’arco della propria vita, mentre in una percentuale compresa tra 1 e 5,3% lo portano a termine (Franko et al., 2006).
Secondo Sullivan, rappresenta la seconda causa di morte per anoressia nervosa dopo le complicazioni del disturbo alimentare (Sullivan, P.F., 1995).
Anoressia nervosa e rischio di suicidio: la presenza di sintomi ansiosi e depressivi e impulsività
Nelle persone con questa patologia non sono solamente i sintomi depressivi a incidere nel tentativo di suicidio, ma anche i tratti ansiosi e l’impulsività.
Tra i vari disturbi del comportamento alimentare (DCA) vi sono differenze relative alla frequenza dei tentativi di suicidio, sono infatti molto più comuni tra i pazienti con anoressia nervosa rispetto a quelli con bulimia nervosa (Franko et al., 2006). I risultati confermano che una parte sostanziale di persone con anoressia nervosa tenta il suicidio rischiando effettivamente di perdere la vita. I clinici che si occupano di DCA per tutta la durata del trattamento dovrebbero porre attenzione non solo al rischio suicidario, ma anche alla presenza di comorbilità tra vari disturbi come, ad esempio, depressione, abuso di sostanze o impulsività. Come è noto, non tutti i tentativi di suicidio sono realmente finalizzati a porre fine alla vita; tra i pazienti con anoressia nervosa l’intenzione di morire durante un tentativo di suicidio si riscontra nel 78,3% dei casi, di questi, il 56,5% pensava che sarebbe morto.
Gli studi dimostrano che chi tenta il suicidio presenta, oltre a eventuali sintomi depressivi, una o più delle seguenti psicopatologie: disturbo di panico, disturbo da stress post-traumatico, abuso di sostanze o dipendenza, disturbi di personalità del cluster B e, infine, disturbi del controllo degli impulsi tra cui autolesionismo, furto e taccheggio. Queste persone sono anche caratterizzate da bassa autodeterminazione, numerosi evitamenti e alti livelli d’impulsività come dimostrato dai punteggi più elevati sulla sottoscala cognitiva della Barrett Impulsivity Scale. Emerge inoltre una maggiore gravità dei sintomi del disturbo secondo la Yale-Brown-Cornell Eating Disorder Scale rispetto a coloro che non avevano tentato il suicidio. Questi profili di comorbilità e di caratteristiche di personalità riguardano una percentuale piuttosto alta di coloro che hanno riferito che il loro tentativo era stato impulsivo anziché premeditato.
Tra le persone che pensano di uccidersi il 25,4% agisce con una premeditazione accurata, il 25,4% con una premeditazione moderata e ben il 49,2% d’impulso. Mediamente fra coloro che tentano il suicidio solo la metà viene ricoverata in ospedale: il 46,4%. Alla domanda in merito ad altri eventuali disturbi al momento del tentato suicidio, l’81,2%. riferisce che il tentativo si era verificato durante un episodio depressivo, il 17,4% riporta abuso di alcol al momento del gesto, l’8,7% dichiara di abusare di sostanze e il 5,8% fa invece riferimento ad altre patologie. Dallo studio che ha riportato questi dati non sono emerse segnalazioni di disturbo bipolare o psicosi (Franko et al., 2006). Tra le persone che soffrono di anoressia e che hanno tentato il suicidio almeno una volta, l’87,1% ha sofferto di depressione maggiore nel corso della vita: questo implica in loro un rischio quattro volte maggiore di togliersi effettivamente la vita (Bulik et al., 1999).
La lotta contro lo stigma del suicidio è centrale ed essenziale ai fini di un’efficace attività di prevenzione suicidaria in quanto questo gesto si alimenta di pregiudizi che costituiscono l’ostacolo più forte nel trattare i comportamenti autolesivi (Erlangsen et al., 2011).