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Il dolore pelvico cronico maschile e l’utilizzo di tecniche cognitive-comportamentali come terapia

La sindrome del dolore pelvico cronico maschile è caratterizzata da dolore cronico nella regione pelvica e vi sono delle tecniche per alleviare il dolore.

Di Daniela Forgione

Pubblicato il 09 Gen. 2018

Aggiornato il 03 Set. 2019 14:53

Un approccio biopsicosociale può affrontare i fattori non-medici che connotano l’esperienza dei pazienti con sindrome del dolore pelvico cronico maschile. La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, può essere utile per imparare delle tecniche di resistenza al dolore (es. biofeedback).

Daniela Forgione, OPEN SCHOOL “Studi Cognitivi” di San Benedetto del Tronto

La sindrome del dolore pelvico cronico maschile

La sindrome del dolore pelvico cronico maschile (o prostatodinia o prostatite cronica non batterica) è definita come un dolore cronico, una pressione o disagio localizzati nella regione pelvica e/o perineale, o nei genitali, di durata superiore a 6 mesi, che non è dovuta a cause immediatamente spiegabili (infezioni, neoplasie, o anomalie strutturali).

Il dolore pelvico cronico che colpisce i soggetti di sesso maschile è localizzato nella zona più bassa dell’addome e, pertanto, si può originare dagli organi dell’apparato genitale (prostata, vescicole seminali, testicoli, funicoli spermatici), dal basso apparato urinario (vescica e uretra) o anche dalle strutture nervose, muscolari e ossee del bacino. Sono molte e diverse le tipologie di dolore che il paziente affetto da questa sindrome lamenta.

Anzitutto è variabile l’intensità del dolore che, da un vago senso di fastidio, può raggiungere gradi intollerabili, descritti dal paziente come fitte lancinanti. In alcuni casi la sensazione dolorosa appare collegata al riempimento o allo svuotamento degli organi pelvici (vescica e retto), mentre in altri casi è provocata da alcune posizioni, quale quella seduta, o dalla pressione esercitata su determinati punti dell’area pelvica (trigger point).

Si parla di Sindrome del Dolore Pelvico (CPPS) in quanto si ha una straordinaria varietà di sintomi e la causa è molto vasta. I sintomi più comuni includono dolore, o fastidio al perineo, all’area sovrapubica, a pene e testicoli, disuria e dolore eiaculatorio. I pazienti possono anche avere sintomi urinari, sia ostruttivi (flusso lento e intermittente) che irritativi (aumento della frequenza o urgenza minzionale). La disfunzione sessuale è comune. Sintomi sistemici includono mialgia, artralgia e astenia inspiegabile. Alcuni pazienti possono presentare cistite interstiziale/sindrome del dolore vescicale con un predominante dolore alla vescica associato a problemi di svuotamento.

Studi su test di autovalutazione indicano che ne soffre lo 0,5% dei maschi; valutazioni basate sui sintomi della popolazione generale suggeriscono un’incidenza di sintomi nei maschi dal 2,7% al 6,3%. Di solito la sindrome è diagnosticata tra i giovani e uomini di mezz’età, ma è prevalente in tutte le fasce di età. Le principali comorbidità sono depressione, stress e disturbi d’ansia.

La fisiopatologia non è ancora completamente nota e probabilmente sottende un processo complesso e multifattoriale che alla fine si traduce in una sindrome di dolore neuropatico cronico e/o muscolare. Si ritiene che questa condizione possa essere innescata da infezioni (comprese le malattie sessualmente trasmissibili ed organismi non coltivabili e virus), traumi (compreso il trauma perineale e uretrale), sovra-regolazione neurologica, infiammazione non dovuta ad infezione (autoimmune o neurogena), disfunzione minzionale e disfunzione del pavimento pelvico/spasmo muscolare. In uomini vulnerabili geneticamente e/o anatomicamente, questi iniziatori della malattia possono provocare dolore cronico neuropatico e neuromuscolare.

Il trattamento della sindrome del dolore pelvico cronico maschile

Il trattamento è di solito multi-modale e deve essere personalizzato in base alle caratteristiche morfologiche e funzionali del paziente. Misure conservative comprendono termoterapia locale, attività fisica leggera (passeggiate, nuoto, stretching e yoga), dieta, cambiamenti nello stile di vita, fisioterapia, terapia farmacologica e fitoterapica. Ciascuno di tali trattamenti ha dimostrato di poter aiutare i soggetti colpiti dalla sindrome del dolore pelvico cronico maschile, ma nessuno di essi può, da solo, offrire una risposta certa e completa a una condizione tanto resistente alle cure.

Le condizioni che possono alterare la qualità di vita del paziente possono essere: un’alterazione delle emozioni (depressione, ansia); alterazione dell’immagine di sé e riduzione della propria autostima; alterazioni delle relazioni di coppia e della vita familiare (soprattutto in presenza di disfunzione sessuale, in particolare con diminuzione o rinuncia ai rapporti); limitazione nelle attività quotidiane in ambiente domiciliare, lavorativo ed extra-domiciliare (ad es. stare fuori casa per molte ore con la necessità di raggiungere una toilette; sollevare pesi); limitazioni nell’attività fisica; stanchezza fisica (dovuta ad interruzioni del sonno per mingere frequentemente); diminuzione dell’attenzione; limitazioni nella vita sociale.

La terapia cognitivo comportamentale della sindrome del dolore pelvico cronico maschile

Pertanto, un approccio biopsicosociale può affrontare i fattori non-medici che connotano l’esperienza di questi pazienti. La psicoterapia, in particolare la terapia cognitivo-comportamentale, può essere utile per imparare delle tecniche di resistenza al dolore (es. biofeedback).

Il biofeedback è una tecnica con la quale le informazioni relative ad un processo fisiologico, normalmente sconosciute, sono presentate al paziente e al terapista come un segnale visivo, uditivo o tattile. Il segnale deriva da un parametro fisiologico misurabile, che è successivamente usato in un processo educativo, per raggiungere uno specifico risultato terapeutico. Il segnale è quantificato e il paziente è istruito su come modificarlo, controllando così il processo fisiologico (attività elettrica muscolare del pavimento pelvico o di altri muscoli, oppure pressione intracavitaria realizzata dal pavimento pelvico e dai muscoli addominali). Con tale tecnica, pertanto, si insegna al paziente a rilassare i muscoli del pavimento pelvico per alleviare il dolore dovuto all’ipertono. I muscoli ipertonici possono presentare trigger point (punti dolorosi in cui le fibre sono contratte), la cui pressione può alleviare questo dolore locale. Il biofeedback è una tecnica che permette al paziente di essere il protagonista della propria guarigione, è un intervento non invasivo e stimola le naturali risposte di guarigione dell’organismo permettendo di ridurre o eliminare l’utilizzo dei farmaci o intervenire quando l’approccio farmacologico non dà una risposta soddisfacente, insegnando al paziente ad utilizzare le risorse interne nel raggiungimento dei propri obiettivi.

Diversi sono gli studi che dimostrano l’efficacia del biofeedback nel trattamento del dolore pelvico cronico maschile. Tra questi Clemens e colleghi sono partiti dall’ipotesi che l’utilizzo di misurazioni che riducono lo spasmo muscolare del pavimento pelvico possano migliorare i sintomi dovuti alla mialgia della tensione pelvica del pavimento nei pazienti maschi. Sulla base di questa ipotesi, gli autori hanno iscritto 19 pazienti con dolore pelvico cronico maschile in un programma di 12 settimane della durata di 1 ora di rieducazione del pavimento pelvico orientato al biofeedback e al bladder training (“ginnastica della vescica”: consiste in una assunzione graduale di una quantità sempre maggiore di liquidi e nel tentare di rimandare il più possibile la minzione).

Durante il programma l’infermiera collabora con il paziente per raggiungere tre obiettivi: (1) insegnare al paziente a concentrare l’attenzione sul pavimento pelvico e a imparare a contrattare e rilassare selettivamente questi muscoli; (2) insegnare al paziente ad eseguire questi esercizi quotidianamente per interrompere la sindrome del dolore miofasciale pelvico cronico; e (3) lavorare con il paziente per aumentare progressivamente l’intervallo di minzione verso un obiettivo non inferiore alle 4 ore. In tutte le sedute, è stato utilizzato un metodo non invasivo di monitoraggio dell’attività muscolare del pavimento pelvico (biofeedback) per aiutare il paziente a individuare l’attività muscolare nei muscoli pelvici. In tale studio, il programma di biofeedback viene utilizzato per istruire il paziente nella contrazione e rilassamento della muscolatura del pavimento pelvico, inoltre il paziente viene istruito al fine di eseguire gli esercizi a casa, tre volte al giorno, utilizzando la stessa combinazione di contrazioni e rilassamenti veloci e lenti imparati durante la sessione di istruzione per rafforzare i muscoli. Questo perché la migliore salute muscolare può provocare meno spasmi e dolori, infatti questi esercizi di movimento aiutano a rompere il ciclo dello spasmo e del dolore attraverso il rilassamento muscolare del pavimento pelvico volontario, una tecnica utilizzata durante le esacerbazioni episodiche del dolore. Questo studio preliminare conferma che le tecniche di rieducazione neuromuscolare assistite da biofeedback sono state utilizzate con successo per il trattamento di sindromi di dolore cronico, pertanto un programma di rieducazione neuromuscolare dei muscoli del pavimento pelvico insieme alla formazione di intervalli di svuotamento della vescica può fornire un miglioramento significativo e durevole in misure oggettive di dolore, urgenza e frequenza nei pazienti con dolore pelvico cronico maschile.

Oltre al biofeedback, diversi sono gli studi che si sono posti l’obiettivo di verificare se la capacità di programmi di gestione del sintomo attraverso la terapia cognitivo-comportamentale possano migliorare i fattori di rischio psicosociale (catastrofizzazione, umore, supporto sociale e dolore generale) e migliorare la qualità di vita del paziente.

Tra questi lo studio di Tripp et al. ha messo in evidenza come un programma di gestione psicosociale possa potenzialmente essere un metodo di gestione efficace per gli uomini affetti da dolore pelvico cronico maschile. Il programma di auto-gestione settimanale della durata di 8 sessioni mirava alla disputa e alla sostituzione del pensiero disfunzionale con un pensiero ed un comportamento finalizzato al benessere. Tale programma ha evidenziato già dalle prime 4 sessioni una riduzione significativa della disabilità del paziente, del dolore e della catastrofizzazione e, alla fine delle 8 sessioni, una riduzione dell’impatto negativo sulla qualità della vita. Nello specifico, si è visto come le riduzioni della catastrofizzazione fossero fortemente associate a riduzioni dei sintomi del paziente. La catastrofizzazione è la tendenza a impiegare una serie di analisi cognitive associate al dolore, chiamate “ruminatorie” (“non posso tenerlo fuori dalla mia mente”), ingrandendo (“mi fa pensare ad altri dolori”) e facendo sentire il paziente impotente (“non c’è niente che posso fare”) quando subisce o anticipa il dolore. Essa è considerata una caratteristica importante nella classificazione dei pazienti con dolore pelvico cronico maschile ed è un obiettivo comune nella depressione, nell’ansia e nella terapia del dolore.

I programmi di gestione psicosociale aiutano i pazienti a identificare, valutare e ridefinire le loro tendenze catastrofiche in relazione ai sintomi di dolore pelvico cronico maschile. Infatti, i pazienti hanno spesso difficoltà ad individuare, esprimere o riportare i dettagli delle esperienze dolorose, pertanto, in tale studio, i pazienti sono stati invitati a compilare una valutazione settimanale di dolore, umore, sostegno sociale e disabilità. I risultati hanno evidenziato come l’incoraggiare i pazienti a svolgere un ruolo attivo nel proprio trattamento possa risultare un efficace trattamento per il dolore cronico. Questo programma di gestione ha permesso, inoltre, di aiutare i pazienti a credere di poter gestire i loro sintomi e di passare dalla sensazione di essere impotenti a sentirsi più efficaci mettendo in evidenza le strategie disfunzionali (riposo come mezzo per affrontare il dolore; comportamenti sedentari; ecc.) e creando nuove strategie di coping mirate al benessere. Infine, tale studio ha messo in evidenza che non è il dolore in sé ad essere il migliore predittore per determinare il grado di qualità di vita del paziente e che il sollievo del dolore, la catastrofizzazione e il sostegno sociale potrebbero essere obiettivi di intervento più appropriati.

Lo stress psicologico e la sindrome del dolore pelvico cronico maschile

Altri studi hanno evidenziato la correlazione tra lo stress e un’attività elettromiografica anormale. Infatti, lo stress psicologico può svolgere un ruolo causale o prolungare direttamente o indirettamente i sintomi fisici (disregolazione dei pattern di tensione muscolare pelvica; cambiamenti del sistema nervoso centrale che contribuiscono ad aumentare la normale percezione del dolore; aumento dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene con possibili implicazioni per la percezione del dolore e della nocicezione; coinvolgimento del sistema immunitario). Inoltre, lo stress può causare il dolore, anche in assenza di cambiamenti fisiologici legati allo stress, che i pazienti possono sperimentare, su cui possono focalizzarsi e di cui possono soffrire. Quando una persona sperimenta eventi negativi e stressanti, le cognizioni negative riguardanti un’esperienza dolorosa possono venire in mente automaticamente. Questo può esagerare il valore della minaccia del dolore, aumentando la preoccupazione, i sentimenti di impotenza e il pessimismo. Le credenze negative relative al dolore sono associate ad una maggiore disabilità legata al dolore.

Proprio sull’assunto della correlazione tra stress e attività elettromiografica anormale Wise e Anderson hanno sviluppato un protocollo la cui strategia punta a spezzare il ciclo di tensione-ansia-dolore-atteggiamento protettivo: il dolore provocato dalla contrattura cronica della pelvi scatena il riflesso a tendere i muscoli pelvici per proteggersi dal dolore; (tale riflesso è disfunzionale, perché porta a un peggioramento del dolore); la pelvi infiammata tende ad essere reattiva all’ansia; l’ansia produce un aumento della tensione, aumenta l’attività dei punti trigger che producono un maggior dolore, scatenando a sua volta l’atteggiamento protettivo che poi produce ancora più ansia (ciclo continuo).

Tale protocollo MFRT/PRT (rilascio dei punti trigger e miofasciale/rilassamento paradossale esteso) è stato inserito in un programma di trattamento intensivo di 6 giorni. Gli autori si sono concentrati sia sulla dimensione fisica (MFRT: istruire i pazienti a ripristinare l’abilità di rilassarsi e contrarsi dei muscoli pelvici, insegnando loro a praticare il rilascio dei punti trigger e il rilascio miofasciale all’interno e all’esterno dei muscoli) che su quella mentale (PRT: insegnare ai pazienti a calmare il loro sistema nervoso e a rilassare i muscoli pelvici attraverso il rilassamento paradossale esteso) della disfunzione del pavimento pelvico. Pertanto, oltre alla fisioterapia (MFRT), un aspetto fondamentale del protocollo è stato proprio il PRT: un metodo di auto-regolazione autonoma e diminuzione della tensione muscolare pelvica. I pazienti hanno ricevuto 1 ora di istruzioni individuali verbali e una sessione di pratica a intervalli settimanali, della durata totale di 8 settimane, in esercizi di rilassamento progressivo ideati da Wise e Anderson per ottenere un rilassamento profondo specifico del pavimento pelvico. La parola paradossale viene usata perché i pazienti sono diretti ad accettare la loro tensione come modalità di rilassare/rilasciare. Tale formazione prevede una tecnica di allenamento della respirazione specifica per calmare l’ansia e sessioni di training di rilassamento che dirigono i pazienti a focalizzare l’attenzione sulla sana accettazione della tensione in specifiche aree del corpo. I pazienti attraverso il PRT forniscono al sistema nervoso centrale nuove informazioni o maggiore consapevolezza al fine di calmare progressivamente il pavimento pelvico. I risultati hanno evidenziato che i pazienti che hanno partecipato al protocollo MFRT/PRT hanno mostrato un miglioramento del sintomo (diminuzione del sintomo nel 72% dei soggetti) attraverso la riabilitazione del pavimento pelvico e la modificazione dell’abitudine di concentrare la tensione sotto stress.

Tali studi suggeriscono che le variabili cognitive/comportamentali sono importanti predittori del dolore e della disabilità negli uomini affetti da sindrome del dolore pelvico cronico maschile. Questi risultati hanno permesso di estendere la comprensione del dolore e della disabilità nei pazienti con CPPS e suggeriscono che i fattori cognitivi/comportamentali, come la catastrofizzazione, il senso di impotenza e strategie comportamentali disfunzionali, possono avere un ruolo significativo nella regolazione del paziente; così come gli interventi di autogestione cognitivo-comportamentali progettati per educare il paziente a far fronte a disturbi, a comprendere il pensiero associato a un dolore maggiore e praticare nuovi metodi di coping (sia emotivi che comportamentali), dimostrando l’importanza di inserire i programmi di gestione del dolore o le variabili psicologiche nel controllo della sindrome del dolore pelvico cronico maschile.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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