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Come risponde l’amigdala alla disuguaglianza economica e il rischio di depressione

Uno studio ha dimostrato come la diversa risposta dell'amidgala a situazioni di inequità economica possa predire la depressione presente o futura.

Di Giorgia Di Franco

Pubblicato il 19 Dic. 2017

Aggiornato il 12 Mar. 2018 13:07

Pensiamo che essere altruisti, responsabili e onesti porti a una vita felice. E se ci sbagliassimo? Un nuovo studio pubblicato su Nature Human Behavior suggerisce che chi apprezza l’equità economica, ha una maggiore probabilità di soffrire di depressione, invece, chi preferisce ottenere sempre il massimo per sé, tendenzialmente è più felice e meno soggetto a sviluppare sintomi depressivi.

 

Il modello dell’orientamento del valore sociale: le reazioni all’inequità economica

In accordo con il social value orientation model (SVO), letteralmente tradotto come modello dell’orientamento del valore sociale, che è relativo a quanto peso una persona attribuisce al benessere degli altri in relazione al proprio, le persone possono essere divise approssimativamente in tre categorie basate sulla loro reazione all’inequità economica: il 60% delle persone sono prosociali e preferiscono che le risorse economiche vengano distribuite egualmente tra tutti; il 30% sono individualisti, i quali cercano di massimizzare le risorse economiche per loro stessi. Infine, circa il 10% delle persone sono competitive e per queste il risultato più importante è avere più degli altri.

Il ruolo dell’amidgala nel comportamento prosociale

Nel 2010, il Dr. Masahiko Haruno, neuroscienziato del Tamagawa University Brain Science Institute in Giappone, pubblicò nella rivista Nature Neuroscience, che una delle strutture più antiche del cervello, l’ amigdala, ha un ruolo chiave nell’influenzare il comportamento prosociale ed è associata all’attivazione automatica di sentimenti in risposta allo stress. Il suo gruppo di ricerca trovò che le persone prosociali, quando sono esposte a una situazione di differenza di equità economica, hanno una forte attivazione dell’amigdala. In altri termini, in una simulazione dove altri individui ricevono più soldi di quelli che le persone prosociali hanno ricevuto, l’amigdala viene attivata. Inoltre, si osserva che l’attivazione dell’amigdala si attiva quando sono loro stessi a ricevere più soldi rispetto ad altri durante la simulazione. Questo suggerisce che l’attivazione dell’amigdala è legata anche a sentimenti di colpa.

Di contro, le persone individualiste, hanno una attivazione dell’amigdala soltanto quando si sentono vittime in una situazione di inequità e restano relativamente insensibili, invece, quando ottengono più denaro ingiustamente rispetto ad un’altra persona.
Entrambi i gruppi mostrano, quindi, un’amigdala sensibile a una situazione in cui si è vittime, ma, in relazione all’inequità economica dovuta a un maggiore ricchezza economica nei propri confronti, le persone prosociali sono le uniche che mostrano un’attivazione dell’amigdala dovuta a sensi di colpa.

Il rischio di depressione in persone prosociali e individualiste

In un nuovo studio, pubblicato in Nature Human Behavior , il gruppo del Dr. Haruno si è proposto di indagare se questi pattern di attivazione del cervello inerenti la sfera prosociale, siano correlati a sintomi clinici di depressione a lungo termine, analizzando il cervello sia di persone prosociali sia di persone individualiste attraverso la risonanza magnetica funzionale, una tecnica che permette di osservare quali aree del cervello si attivano durante una specifica situazione.

Come previsto, le persone prosociali mostrano una maggiore attivazione dell’amigdala quando esposti a situazioni nelle quali i soldi sono distribuiti in maniera diseguale. Questo si verifica sia quando sono loro a ricevere più soldi sia quando lo sono gli altri. Nuovamente, gli individualisti hanno una maggiore attivazione dell’amigdala soltanto quando gli altri sono beneficiari di una maggiore quantità di soldi.

Per verificare se questi pattern di attivazione del cervello siano associati alla depressione, i ricercatori hanno usato il questionario “Beck Depression Inventory”, che permette di misurare i sintomi clinici della depressione in relazione alle ultime due settimane prima della somministrazione.
In merito a ciò, il gruppo di Haruno ha trovato che chi possiede dei pattern di attivazione del cervello inerenti la sfera prosociale riscontra una maggiore tendenza alla depressione, che viene ulteriormente confermata quando gli stessi soggetti vengono sottoposti al follow-up un anno dopo.

Un dato da sottolineare è che i partecipanti allo studio appartengono a una fascia di età tra i 18 e i 26 anni e i ricercatori, grazie alla tecnica della risonanza magnetica, hanno osservato che la corteccia prefrontale dei soggetti è pienamente matura solo all’età di 26 anni. Tale osservazione ha spinto, attualmente, il Dr. Haruno e il suo team a indagare se questi risultati siano applicabili alle persone meno giovani, le quali presentano una corteccia prefrontale completamente sviluppata.

Il risultato sperato è che una corteccia prefrontale completamente sviluppata possa proteggere gli anziani dalla depressione dovuta alla percezione di una situazione di disuguaglianza.

Nonostante la relazione con la depressione, i risultati della ricerca possono essere visti come una opportunità per allenare i processi cerebrali di livello superiore come la corteccia prefrontale e imparare a controllare queste emozioni e combattere la depressione.

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