La job satisfaction è una valutazione sul grado di soddisfazione lavorativa di un dipendente che comprende sia la componente affettiva sia la componente cognitiva (Hulin & Judge, 2003; Weiss & Cropanzano, 1996). Locke (1976) ha definito la soddisfazione lavorativa come “un piacevole o positivo stato emotivo dato da una valutazione del proprio lavoro o delle esperienze lavorative” (p. 1300).
Valentina Costanzo, Open School PTCR
Il rapporto tra la soddisfazione lavorativa e la performance
La soddisfazione lavorativa è una risposta affettiva di un lavoratore che riguarda il suo lavoro all’interno dell’organizzazione, e deriva dai confronti da parte del lavoratore tra i risultati raggiunti e quelli che si aspettava, che voleva, di cui aveva bisogno, che desiderava o che percepiva essere giusti o appropriati (Cranny, Smith & Stone, 1992).
La relazione tra la soddisfazione lavorativa e la performance ha affascinato da decenni i ricercatori e sono state postulate molte spiegazioni teoriche per spiegare questa relazione (Brayfield & Crockett, 1955; Locke, 1976; Schleicher, Watt & Greguras, 2004; Vroom, 1964).
Per esempio, le teorie sociali-cognitive predicono che: a) gli atteggiamenti verso il lavoro dovrebbero influenzare i comportamenti (nella performance lavorativa ad esempio); b) i comportamenti (o le ricompense ricevute dalla performance) danno luogo agli atteggiamenti nei confronti del lavoro (teorie dell’aspettativa di base; Naylor, Pritchard & Ilgen, 1980; Vroom, 1964); c) la soddisfazione lavorativa e la performance sono legate reciprocamente.
Sebbene la letteratura non abbia raggiunto alcuna conclusione riguardo la relazione tra soddisfazione lavorativa e performance, in una rassegna di 221 studi che utilizzano concezioni a scarto temporale, Harrison, Newman, and Roth (2006) hanno rivelato che la prova che supporta la relazione tra soddisfazione lavorativa e performance era più forte della relazione tra performance e soddisfazione in termini di sequenza temporale. Inoltre, Kraus (1995) ha esaminato in maniera meta-analitica la ricerca sull’atteggiamento-comportamento e ha rilevato che gli atteggiamenti predicono significativamente i comportamenti futuri.
E’ molto importante studiare la relazione tra soddisfazione e performance per molteplici motivi. La soddisfazione lavorativa, infatti, è importante per la salute dei lavoratori e per il benessere.
Ajzen and Fishbein (1977) hanno suggerito che le relazioni più forti tra atteggiamento e comportamento sono ottenute quando i costrutti sono combinati dal livello di specificità. I rapporti più forti di atteggiamento-comportamento è probabile che risultino dalla combinazione tra specifici aspetti della soddisfazione lavorativa e specifici aspetti della performance in modo da aumentare la compatibilità.
Porre attenzione alle diverse relazioni tra gli aspetti specifici di queste due dimensioni è importante poiché gli aspetti possono essere legati tra loro in modo opposto e, quindi, mascherare la validità predittiva ad ampia base sull’intera soddisfazione.
La soddisfazione lavorativa come costrutto multidimensionale
La multidimensionalità della job satisfaction è stata dimostrata sia teoricamente sia empiricamente (per esempio Smith, Kendall & Hulin, 1969; Kinicki, McKee-Ryan, Schriesheim & Carson, 2002).
Smith e al. (1969) hanno proposto l’esistenza di diversi aspetti del lavoro che sono d’aiuto ai dipendenti in diversi modi nella valutazione dell’intero lavoro. Hanno proposto cinque aspetti tra cui i lavoratori possono discriminare, e ciò può essere legato in maniera diversa al grado in cui un lavoratore è soddisfatto del suo lavoro. Questi aspetti sono la soddisfazione per lo stipendio, il lavoro, la possibilità di una promozione e i colleghi.
Ajzen (2005) ha affermato che l’atteggiamento predice il comportamento in maniera più forte quando atteggiamenti e comportamenti sono compatibili o combinati su livelli di specificità. Due indicatori possono essere combinati su livelli di specificità quando sono compatibili con l’altro in termini di target, azione, contesto, elementi di tempo (Ajzen & Fishbein, 1977).
La compatibilità del target dell’atteggiamento e il target al quale il comportamento è diretto dipende dall’importanza delle relazioni tra atteggiamento e comportamento (Weigel, Vernon, & Tognacci, 1974). Applicare la teoria dello scambio sociale e considerare il target dell’atteggiamento e del comportamento può essere rilevante per la relazione tra job satisfaction e job performance.
La teoria dello scambio sociale
La teoria dello scambio sociale è stata formulata da Homans ed è stata sviluppata in seguito da Blau. Homans (1950) cerca di mostrare una continuità tra i processi interattivi, i gruppi e le società più vaste partendo dallo studio di concetti più elementari (sentimenti, attività, interazioni ad esempio) fino ad arrivare a concetti più elaborati come ruolo, status e sistema. La ricerca più famosa è stata quella dei “Mayo studies” condotta a Hawthorne, uno stabilimento che produceva apparecchiature tecniche, sotto la guida dello psicologo Elton Mayo negli anni venti. Attraverso gli studi condotti è stato elaborato il concetto di gruppo informale, ovvero quei gruppi che hanno un proprio leader, sono caratterizzati da relazioni di amicizia e simpatia, hanno una propria struttura interna ed uno standard di comportamenti del tutto diverso da quelli dell’organizzazione formale.
Secondo Homans, il gruppo sopravvive soltanto se i suoi componenti danno vita ad un “sistema interno”(ovvero elaborano i propri valori, i propri sentimenti, le proprie norme) e ad un “sistema esterno”, ovvero le reazioni agli stimoli esterni al gruppo. Il gruppo diventa tale nel momento in cui si intrecciano e vengono elaborati gli elementi del sistema interno ed esterno. Il punto centrale della teoria è che lo scambio è alla base di qualsiasi azione, di qualsiasi realtà istituzionale e di qualsiasi configurazione culturale. Inoltre, gli individui agiscono in un determinato modo poiché si aspettano una ricompensa e non per delle prescrizioni della società.
Per Blau (1964), che riprende la teoria di Homans, sono rapporti di scambio solo quelli che alla base hanno l’aspettativa di una ricompensa durante l’interazione. L’aspettativa è definita in termini di attrazione sociale. Durante l’interazione, c’è chi avrà maggiori ricompense da offrire rispetto agli altri e sorge un vero e proprio problema di potere. Coloro che lo detengono devono far in modo di mantenersi all’interno di quanto è stabilito dal gruppo sociale per non perdere la supremazia.
La base specifica per lo scambio può determinare la vastità delle relazioni tra ogni aspetto della soddisfazione e la task e contextual performance. Questo è il motivo teorico per credere che ogni aspetto della soddisfazione possa essere molto bene legato alla task performance e alla contextual performance.
Organ (1990) ha sostenuto che la componente cognitiva della soddisfazione lavorativa sia definita dalle valutazioni dei dipendenti sulla correttezza, che in parte derivano dai confronti. In maniera specifica, ha affermato che “uno in parte è soddisfatto che i risultati o le condizioni siano vicini alla concezione ‘ciò che avrebbero potuto essere’- che possono essere definiti dai processi di confronto sociale, esperienze precedenti o promesse implicite” (Organ, 1990, p. 56). Quindi, sono i processi di paragone sociale che rappresentano gli scambi sociali e influenzano la relazione tra job satisfaction e contextual performance. La teoria dello scambio sociale, oltre ad essere il paradigma teorico dominante nella ricerca sulla contextual performance, può anche spiegare la relazione tra alcuni aspetti della soddisfazione lavorativa e della task performance. In maniera più specifica, se il target dello scambio è avvertito con l’organizzazione, i dipendenti possono porre l’attenzione sullo stipendio, le condizioni di lavoro, le opportunità di avanzamento di carriera. Se i dipendenti sono soddisfatti per la giustizia dello stipendio e le opportunità di promozione, possono lavorare più duramente sui doveri legati al lavoro (ossia i loro ruoli definiti dall’organizzazione o task performance).
La teoria dell’equità
La teoria dell’equità (Adams, 1965) afferma che gli individui confrontano il loro stipendio o le loro opportunità con gli altri colleghi per giungere ad una conclusione sull’equità o la correttezza. Le percezioni di iniquità causano tensioni che motivano l’individuo a ridurla. Per un lavoratore, un modo per ridurre l’iniquità è modificare i propri sforzi. Per esempio, la teoria dell’equità predirebbe che i lavoratori diminuiscono gli sforzi per ridurre l’iniquità poiché sono sottopagati (Adams, 1965; Lord & Hohenfeld, 1979; Werner & Mero, 1999). Perciò c’è un supporto teorico ed empirico molto forte che afferma che c’è una relazione positiva tra soddisfazione con lo stipendio, con le opportunità di carriera e con la task performance. Lo stipendio e le opportunità di carriera sono delle ricompense estrinseche.
Se lo scambio sociale è percepito in termini di relazioni interpersonali sul lavoro invece che con l’organizzazione o il lavoro stesso, i dipendenti possono concentrarsi sulle relazioni con i colleghi e i supervisori. Se i dipendenti risultano soddisfatti del rapporto con i colleghi e i supervisori, possono mettere in atto dei comportamenti prosociali nei loro confronti. E’ molto probabile che la soddisfazione con i colleghi e i supervisori influenzi la contextual performance. Le dimensioni della contextual performance come la lealtà, la civiltà, la cortesia, l’altruismo, sono definite dal proprio rapporto con gli altri.
Inoltre, c’è un’evidenza empirica che supporta il ruolo positivo della correttezza. Le ricerche precedenti hanno riportato che gli individui sono più soddisfatti se hanno la possibilità di prendere parte alle decisioni (Konovsky & Folger, 1987; Lind & Tyler, 1988). Parker et al.(1997) hanno rilevato che la partecipazione è associata ad una maggiore soddisfazione lavorativa e al benessere. La partecipazione è molto importante per moderare gli effetti dello stress anche per i lavoratori negli ospedali (Pozner & Randolph, 1980). I lavoratori è probabile che sentano di avere un senso di controllo della situazione quando possono influenzare le decisioni da prendere.
L’impatto del conflitto lavoro/famiglia sulla soddisfazione lavorativa
Per quanto riguarda la soddisfazione lavorativa, ci sono dei temi che sono frequentemente studiati in letteratura. Mentre la tensione del ruolo, il conflitto, l’ambiguità e lo stress lavorativo hanno un effetto inversamente proporzionale alla soddisfazione (Gellis, 2001; Jayaratne & Chess, 1984; Poulin, 1995), poche ricerche sono state condotte sull’impatto del conflitto lavoro/famiglia (Work-Family Conflict, WFC) sugli operatori del servizio sociale e umano. C’è una letteratura molto limitata sul WFC nel lavoro sociale, ma le ricerche sull’impatto del WFC sui lavoratori delle organizzazioni private stanno aumentando, e questa letteratura afferma che il conflitto lavoro/famiglia ha un impatto sulla soddisfazione lavorativa dei lavoratori delle organizzazioni non-social (Boles, Johnson & Hair, 1997; Williams & Alliger, 1994).
Tra gli infermieri di Hong Kong, i manager, gli operatori sociali, è stato rilevato che il WFC ha un’associazione negativa con la soddisfazione lavorativa (Chiu, 1998). Sembra che coloro che sono pressati dal tempo e che hanno un lavoro che interferisce con la vita familiare abbiano una soddisfazione lavorativa più bassa. Lavorare per troppe ore e lavorare durante le ore che dovrebbero essere dedite agli impegni familiari o sociali (ad esempio assistenza ai bambini, ai più anziani, eventi sociali, ecc.) può portare gli operatori del servizio sociale a vedere il proprio lavoro in un modo meno favorevole. Tutto ciò non riguarda solo questa categoria di lavoratori ma i lavoratori in generale.
In un’indagine condotta dal Radcliffe Public Policy Center, l’82% degli uomini e l’84% delle donne tra i 20 e i 39 anni d’età ha indicato che il tempo per la famiglia è una loro priorità. Infatti, i due terzi ha dichiarato di voler rinunciare ad una parte dello stipendio per poter passare più tempo con la famiglia (Minehan, 2000). Se il tempo da dedicare alla vita privata non è abbastanza possono esserci ripercussioni sulla soddisfazione lavorativa.
Molti studi sullo stress lavorativo e sul burnout hanno aggiunto alcune misure della soddisfazione lavorativa (Koeske et al., 1994). Gli studi nell’area del burnout tra gli operatori sociali indicano che i fattori nell’organizzazione che contribuiscono al burnout includono un basso livello di supporto sociale, autonomia, confusione, sfida, conflitto e depersonalizzazione (Arches, 1991; Koeske & Koeske, 1989; Siefert, Jayaratne, & Chess, 1991; Söderfeldt, Söderfeldt, & Warg, 1995; Um & Harrison, 1998).
L’impatto della leadership sulla soddisfazione lavorativa
Gli studi continuano ad esaminare l’impatto della leadership sulla soddisfazione dei lavoratori (Iaffaldano & Muchinsky, 1985; Ironson et al., 1989). La leadership ha un impatto sulla motivazione, l’organizational commitment, la produttività e la soddisfazione lavorativa. Dato che le ricerche in quest’area sono inconcludenti e contraddittorie, è difficile determinare l’effetto causale tra la soddisfazione lavorativa e caratteristiche della leadership. Tuttavia, gli studi hanno indicato una relazione tra leadership, soddisfazione lavorativa e organizational commitment (Gellis, 2001; Glisson, 1989; Kays, 1993; Malka, 1989; Packard, 1989).
Per i lavoratori sociali, la dimostrazione del supervisore dello stile di leadership trasformazionale con la partecipazione alle prese di decisione era associata alla organizational performance dei dipendenti, al commitment e alla soddisfazione lavorativa (Fuller et al., 1999; Gellis, 2001; Mary, 2005). Gli studi condotti con le agenzie di servizi umani erano basati su specifici ambienti di lavoro, i tipi di lavoro, il carico di lavoro, la clientela. Tuttavia sembra che la leadership sia un fattore chiave all’interno delle organizzazioni e può avere un impatto sulla soddisfazione lavorativa dei dipendenti.