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L’empatia tra neuroscienze e aspetti applicativi – Report dal convegno “Empathy Neuroscience: Translational relevance to conflict trasformation”, Roma, 18 e 19 ottobre 2017

Studiosi provenienti da tutto il mondo si sono dati appuntamento a Roma per confrontarsi sull’ impatto che l’ empatia ha nel contesto delle relazioni umane

Di Annalisa Bertuzzi

Pubblicato il 06 Nov. 2017

L’ empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri, o, come afferma un proverbio inglese, di “camminare nelle loro scarpe”: riuscire a vedere il mondo con gli occhi del proprio interlocutore, senza per questo perdere la propria individualità.

 

Dell’importanza dell’ empatia si parla molto ultimamente, e non solo in ambito strettamente relazionale e/o clinico, ma anche su scala più ampia; il convegno organizzato da Fondazione Child si pone in questa scia. Nello specifico, studiosi provenienti da varie parti del mondo (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Israele, Palestina) e afferenti a vari ambiti di ricerca ed intervento (docenti universitari e ricercatori, psicologi, psicoterapeuti, insegnanti ed educatori) si sono dati appuntamento a Roma lo scorso 18 e 19 ottobre presso l’Istituto Nazionale di Sanità per confrontarsi  sull’ impatto concreto che l’ empatia ha nel contesto delle relazioni umane.

Due i principali temi presi in esame: l’importanza dell’ educazione all’ empatia, intesa come una modalità di stare in relazione che va insegnata e attivamente coltivata fin dall’infanzia; l’analisi di come l’ educazione all’ empatia venga concretamente utilizzata in uno scenario relazionale estremamente complesso, il conflitto israelo-palestinese, per far sì che le parti in causa riescano a individuare l’una le ragioni dell’altra, rispettando le reciproche identità e perseguendo una mediazione tra le istanze reciproche. L’ atteggiamento empatico viene insegnato ai bambini a titolo preventivo, per mostrare loro come sia possibile convivere pacificamente con l’alterità, che si tratti di alterità culturale, religiosa o di genere.

L’ empatia nella ricerca: i contributi dalle neuroscienze

Il convegno si apre con i saluti istituzionali del professore Ernesto Caffo, docente di Psichiatria dello Sviluppo presso l’università di Modena e Reggio Emilia, del professor Simon Baron-Cohen, docente di Psicopatologia dello sviluppo presso l’università di Cambridge e del prof. Fabio Lucidi, docente di Psicometria presso la facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma.

Il primo giorno di convegno è incentrato sugli aspetti legati alla ricerca sull’ empatia, attraverso il contributo offerto dalle neuroscienze; nel primo intervento il prof. Emile Bruneau, docente presso l’Università della Pennsylvania, propone una visione panoramica di come il costrutto di empatia è stato analizzato in ambito neuroscientifico, in modo da circoscrivere l’oggetto di studio.

Una distinzione importante da fare, che ha significative ricadute nel momento in cui dalla ricerca si passi alla parte applicativa, è quella tra la dimensione cognitiva e la dimensione emotiva dell’ empatia; per empatia cognitiva si intende il comprendere le ragioni dell’altra persona, il capire cosa le stia succedendo assumendone la prospettiva (perspective taking).

L’ empatia affettiva si identifica, invece, con il “sentire” quello che sente l’altra persona; il sentire può, a sua volta essere distinto in:

  • sentire quello che sente l’interlocutore (“feeling as”);
  • sentire in risposta a quello che sente l’altra persona (“feeling for”). Ad esempio, il mettersi in contatto con i vissuti emozionali connotati negativamente dell’interlocutore può generare un vissuto reattivo di stress, che in taluni casi può ripercuotersi negativamente sulla relazione e generare, paradossalmente, un atteggiamento non empatico o, addirittura, antiempatico, nell’altro interlocutore che si sente “sopraffatto” e non riesce a gestire adeguatamente l’immersione nel vissuto dell’altra persona.

L’ atteggiamento empatico ha, inoltre, dei limiti, nella misura in cui può essere viziato da bias cognitivi, che portano ad empatizzare in modo acritico con alcuni vissuti piuttosto che con altri, finendo col tradursi in una “empatia parrocchiale”, nel senso che l’ empatia fa da collante all’interno dei gruppi, cementando il senso di appartenenza, ma anche irrigidendo i confini tra il gruppo e il non-gruppo. Per quanto riguarda l’intervento nelle situazioni di conflitto, l’ empatia cognitiva risulta particolarmente utile nelle negoziazioni iniziali, mentre l’ empatia affettiva nelle negoziazioni successive.

I successivi interventi del prof. Ahmad Abu-Akel, docente presso l’università di Losanna, del prof. Salvatore Maria Aglioti, docente di Neuroscienze cognitive presso l’università di Roma La Sapienza, e del prof. Bhishmadev Chakrabarti, docente presso l’università di Reading, proseguono nell’illustrare e confrontare i risultati di una serie di studi sull’ empatia, realizzati in ambito neuroscientifico. Le relazioni vertono sul nesso, analizzato attraverso tecniche di neuro imagining, tra la percezione del dolore (ad esempio vedere che una persona viene punta da un ago) e l’ empatia (immaginare come ci si sentisse se ci si trovasse nella stessa situazione), e su come sia possibile mettere a punto, partendo dai risultati degli studi, degli strumenti che aiutino a intervenire nelle situazioni di conflitto.

Gli interventi a seguire della prof. ssa Theresa Betancourt, ricercatrice presso l’università  di Harvard, e del prof. James F. Leckman, docente di Psichiatria dello sviluppo presso l’università di Yale, mettono in luce ulteriori elementi  illustrando, rispettivamente, i risultati di una serie di studi condotti sui bambini soldato in Sierra Leone (in particolare riguardo l’impatto dei traumi di guerra sullo sviluppo psicologico) e i vantaggi della promozione delle abilità empatiche sin dall’infanzia, nell’ottica di favorire un adeguato sviluppo emotivo e cognitivo.

L’ empatia e le esperienze in ambito israelo-palestinese

Il secondo giorno di convegno è incentrato sulla parte applicativa e sullo story telling: vengono proposte, dai numerosi relatori, tantissime esperienze, maturate sul campo, in cui educatori che operano in zone di conflitto raccontano le attività che attuano per promuovere l’ empatia, intesa come un’abilità trasversale, che si trasmette anche attraverso l’insegnamento di altre nozioni.

Si avvicendano numerose testimonianze di educatori ed educatrici che operano in ambito israelo-palestinese e che fanno i conti quotidianamente con la concreta difficoltà di fronteggiare i conflitti, elaborando e trasmettendo modalità alternative di entrare in relazione. Un esempio, tra i tanti proposti, è un film realizzato nell’ambito di un progetto che coinvolgeva soggetti israeliani e palestinesi, “Two sided story”,di cui viene proiettato il trailer (ndr: di seguito inserito nell’articolo). Viene mostrato come dall’iniziale diffidenza ed ostilità, si arrivi a non vedere più l’altro come il diverso e il nemico, riuscendo a coglierne l’essenza di persona portatrice di una storia speculare alla propria.

GUARDA IL TRAILER DEL FILM “TWO SIDED STORY”: 

In conclusione, l’ empatia rappresenta sia un oggetto di studio che una concreta risorsa che permette di intervenire sulle dinamiche di conflitto, sia in fase di negoziazione che a titolo preventivo.

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Annalisa Bertuzzi
Annalisa Bertuzzi

PSICOLOGA PSICOTERAPEUTA AD INDIRIZZO UMANISTICO - INTEGRATO

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