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Ipnosi e rilassamento: le differenze tra le due tecniche

L' ipnosi e il rilassamento definiscono due gruppi di tecniche che presentano somiglianze e differenze e che vanno selezionati a seconda delle finalità.

Di Guest

Pubblicato il 01 Giu. 2017

Questo articolo si propone di comprendere benefici e limiti delle due “tecniche” (se le inquadriamo come tali), le caratteristiche accomunanti e le distonie proprie dei costrutti di ipnosi e di rilassamento. Non si vuole fare una digressione storico-culturale.

Alessandro Failo 

Le difficoltà nel differenziare l’ ipnosi da altri trattamenti non ipnotici può essere spiegata dal fatto che entrambe le tecniche mirano a focalizzare l’attenzione su un qualcosa di specifico (l’ ipnosi stessa, ma anche l’immaginazione guidata, il training autogeno, la meditazione, la mindfulness) e prevedono anche componenti specifiche di rilassamento. Così, ci si chiede se questi tipi di tecniche siano in generale solo variazioni del processo di rilassamento oppure se vi sia un qualcosa di diverso, tanto più che si tende ad accomunare o a sostituire termini e nomi con la convinzione (o presunta tale) che nella pratica, queste differenze non sussistano (Gay et al., 2002).

Elementi comuni tra ipnosi e rilassamento

Quando parliamo di ipnosi e rilassamento è più corretto definirle “gruppi di tecniche” perchè presentano declinazioni diverse a seconda degli approcci e delle preferenze del clinico.

Queste tecniche funzionano solo quando il cliente è disposto ad impegnarsi nell’esperienza ed è in grado di lasciarsi assorbire dalle possibilità suggerite dal terapeuta.

Se pensiamo a quando stiamo attraversando un periodo di ansia o di stress, il proposito di rilassarsi può essere visto come quando tentiamo di addormentarci a tutti i costi. Lo sforzo compromette l’obiettivo proposto.

Anche nell’ ipnosi ci sono persone più o meno suscettibili all’induzione e, senza il reale coinvolgimento di chi si accinge ad affrontare la seduta è impossibile superare questo passaggio. È ancora più evidente quando si fa l’ auto-induzione nell’auto-ipnosi.

L’induzione ipnotica eseguita correttamente (strutturata ed esplicitamente definita come tale), è un processo che assorbe e concentra l’attenzione, indirizzandola per esempio su un’idea, una voce o un’esperienza interna, ma sempre su qualcosa” (Yapko, 2015 p.35). Come nel rilassamento vi è un rallentamento delle funzioni fisiologiche di base (respirazione, battito cardiaco….) ed uno stato di benessere generalizzato, utile per ridurre stress e malessere.

Sia l’ ipnosi, sia le varie tecniche di rilassamento, molto spesso, convengono sull’uso della visualizzazione (o imagery) per convogliare l’induzione in uno stato di calma/rilassamento, seguito dallo sviluppo di immagini mentali, ad esempio una scena piacevole che aumenta questo senso di benessere. Queste immagini possono essere generate autonomamente dal paziente oppure suggerite dal terapeuta.
Il principio comune, all’interno di un contesto ambientale confortevole, è quello di immaginare se stessi nel far fronte in modo più efficace ai fattori di stress presenti nella propria vita.

Ipnosi: definizione e disaccordi

Nell’ultima definizione della APA Division 30: Society of Psychological Hypnosis “L’ ipnosi è uno stato di coscienza che coinvolge l’attenzione focalizzata con una ridotta consapevolezza periferica caratterizzata da una migliore capacità di risposta alle suggestioni” (Elkins et al., 2015)
Probabilmente, visto che si tratta di una definizione largamente condivisa da una comunità scientifica come quella dell’ American Psychological Association può essere considerata come ben ponderata e chiara.

Nell’ultimo documento di rivisitazione dell’APA (Elkins et al., 2015) i principali “disaccordi” nelle definizioni risiedono in due ragioni: la prima è che la natura e i meccanismi sottesi all’ ipnosi non sono ancora completamente conosciuti; la seconda è che i bias interpretativi (è una procedura o il prodotto di una procedura) condizionano inevitabilmente l’accuratezza della definizione. A tal proposito Yapko nel suo ultimo libro (2015) afferma che la questione non è tuttora chiara perchè vi è uno specifico elemento di confusione: è una terapia o uno strumento terapeutico? Gli ipnoterapeuti la considerano una modalità di trattamento con un suo carattere distinto e ben definito, come ad esempio la terapia comportamentale. L’altra posizione è quella che vede l’ ipnosi non come metodo autosufficiente ma utilizzabile come strumento di promozione di altre più definite modalità di intervento, per esempio la terapia cognitiva.

Ipnosi e principi sottesi

Credo sia utile capire quali “scuole di pensiero” guidano i due principali gruppi di tecniche ipnotiche: quella di Milton Erickson e quella dell’italiano Franco Granone.
Per Erickson l’ ipnosi è uno stato modificato di coscienza altamente motivato e diretto a sviluppare risorse potenziali dell’individuo attraverso l’apprendimento inconscio (Erickson, 1984). Possiamo considerarlo il capostipite dell’ ipnosi conversazionale, l’ ipnosi “classica”, ancor oggi la più conosciuta ed utilizzata.

L’altro filone è probabilmente quello definito come “ipnosi medica”, ambito sviluppato dal prof. Granone, è un tipo di ipnosi più direttiva e rapida nell’approccio rispetto a quella maggiormente dialogica, disseminata di metafore di Milton Erickson. Per Granone l’ ipnosi è un particolare stato psicofisico che influisce sulle condizioni psichiche, somatiche e viscerali del paziente (Granone, 1983).
Semplificando al massimo il processo ipnotico si sviluppa su tre punti essenziali:
– fase di preparazione o pre-induzione
– fase di induzione o trance ipnotica
– fase di post-induzione e valutazione.

Quali sono le evidenze dell’ ipnosi?

Come detto precedentemente vi sono posizioni differenti riguardo a cosa sia esattamente l’ ipnosi. Se però la domanda diventa “l’ ipnosi funziona?” ecco che le posizioni tendono ad uniformarsi perchè quando interviene nel processo terapeutico, essa ne aumenta generalmente gli effetti benefici, contribuendo a migliorare i risultati del trattamento.

Vi sono molti studi che dimostrano quanto l’ ipnosi possa essere utilizzata in campi di applicazione davvero vasti.
Sicuramente uno dei principali è quello del trattamento del dolore: può essere utilizzata durante il parto (Williamson, 2015), per la gestione delle coliche (Gonsalkorale, Toner, Whorwell, 2004), nel dolore da cancro (Kravits, 2013), per il dolore acuto (Landolt & Milling, 2011) e per il dolore cronico (Elkins, Jensen, Patterson, 2007; Soelb et al., 2009).

Uno degli ambiti più discussi in termini di efficacia è proprio quello dell’uso delle tecniche ipnotiche durante il travaglio. Infatti una recente metanalisi Cochrane (Madden et al., 2016) ha evidenziato come la ricerca sull’ ipnosi non abbia finora definitivamente dimostrato i benefici dichiarati in quest’ambito di trattamento.
Altre problematiche trattabili con l’ ipnosi sono la depressione (Alladin, 2012) e l’ansia (Golden, 2012; Hammond, 2010).

In generale quindi, l’evidenza suggerisce che l’ ipnosi è efficace. Un recente studio (Jensen et al., 2015) ha cercato di riassumere i risultati in letteratura delle associazioni tra fattori specifici con i domini psicologico, sociale e biologico. Ebbene:
– nessun singolo fattore appare primario;
– diversi fattori possono contribuire più o meno a risultati in diversi sottogruppi di individui o per diverse condizioni;
– modelli completi di ipnosi che incorporano i fattori da tutti e 3 i domini possono in definitiva rivelarsi più utili rispetto a quelli più restrittivi che si concentrano su uno o pochissimi fattori.

Preconcetti e luoghi comuni riguardo l’ ipnosi

Nel largo pubblico e probabilmente anche tra alcuni clinici vi sono altre ulteriori complicazioni che ingenerano tanti problemi e misteri attorno a questa pratica, quasi fosse un qualcosa di magico/esoterico.

Per esempio, Vickers & Zollman (1999) descrivono l’ ipnosi come l’induzione del soggetto in uno stato profondamente rilassato per aumentarne la suggestionabilità e la sospensione delle facoltà critiche. E qui nasce un primo dubbio di interpretazione che suscita molte mistificazioni: cosa significa sospensione delle facoltà critiche? Che il terapeuta può manipolare la coscienza del soggetto? Niente di più fourviante. Infatti per Erickson (1985) l’ ipnosi è un processo psicologico che porta il paziente ad utilizzare le proprie associazioni mentali, ricordi e potenzialità per raggiungere un determinato fine terapeutico. Quindi è la comunicazione terapeuta-paziente a creare un cambiamento passando per lo stato di trance e non una sospensione delle facoltà critiche.

Nell’ ipnosi si è sempre rilassati: non sempre è vero. Generalmente l’ ipnosi è accompagnata dal rilassamento per migliorare la capacità di risposta. Tuttavia il rilassamento non è una componente indispensabile per lo stato ipnotico (Kirsch & Council, 1992; Yapko, 2015). Per esempio “nell’ ipnosi vigile il soggetto a occhi aperti è concentrato sull’esecuzione di un compito e la consapevolezza conscia è ancora più marcata” (Yapko, 2015 p.36)
L’ ipnosi cura i problemi psichici: “di per sè non cura niente. È ciò che accade nello stato ipnotico che ha un potenziale terapeutico”, “non è altro che un mettere meglio a fuoco le cose” (Yapko, 2015 p.26 e p.7).

Il rilassamento: dove si colloca?

Tralasciando la meditazione che appartiene più ad una filosofia di vita che ad una tecnica a sè stante, una delle prime forme di rilassamento è senz’altro il rilassamento progressivo di Jacobson (RPM) (Conrad & Roth, 2007). Il principio di fondo è che lo stress ci induce tensione muscolare e mentale, quindi la riduzione della tensione muscolare potrebbe essere un buon metodo per la prevenzione e la cura. Il fine del rilassamento è produrre uno stato di calma emozionale e si può ottenere attraverso l’esercizio costante, in grado di consentire alla persona di sviluppare un “senso” muscolare tale, da permettergli un più razionale utilizzo delle energie (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003). Generalmente il rilassamento è un programma che viene pianificato, non sviluppabile lungo una singola seduta e con una durata che può arrivare ai 2 mesi nella versione originale di Jacobson (per un’ora al giorno) o ridotta nelle versioni più brevi ad un paio di settimane (cinque-sei sedute con il terapeuta) (Wolpe, 1984; Cei, 1986). In forme più complete sono previste come coaudiuvanti all’effetto di rilassamento anche delle tecniche di visualizzazione e imagery. Esse coinvolgono l’induzione di uno stato di rilassamento, seguito dallo sviluppo di un’immagine visiva, ad esempio una scena piacevole, aumentandone così il senso di rilassamento. Queste immagini possono essere generate dal paziente o suggerite dal terapeuta. Nel contesto di un ambiente rilassante, i pazienti possono anche scegliere di immaginare se stessi far fronte in modo più efficace con i fattori di stress nella loro vita (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003).

Il rilassamento: come funziona e per chi?

Una seduta tipo si può riassumere così: la persona si sdraia o si siede comodamente in una stanza silenziosa. Si inizia a creare una tensione in progressione su un gruppo muscolare (es il braccio) inspirando, si mantiene la contrazione per 10-15 secondi, poi la si rilascia durante l’espirazione.

Dopo un breve riposo, questa sequenza viene ripetuta con un altro gruppo di muscoli. In modo sistematico, i principali gruppi muscolari sono così contratti e successivamente rilassati. A poco a poco, diversi muscoli vengono tra loro combinati. Lo scopo finale è quello di percepire le differenze tra tensione e rilassamento (Vickers et al, 2001).

Le fasi per raggiungere questa finalità sono (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003):
– Percezione della tensione e della distensione muscolare con esercizi di tensione, localizzazione della tensione, distensione e apprezzamento della tensione.
– Allenamento al senso muscolare, cioè verso quelle sensazioni che emergono quando i muscoli non sono nè completamente tesi nè rilassati.
– Sentire la tensione e la distensione mentale.

Non vi sono limiti di età, può essere fatta anche sotto i cinque anni (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003; Vopel, 2000). Con il bambino il rilassamento si può proporre in forma di gioco, senza le classiche istruzioni “cerca di sentirti rilassato” ma con la constatazione che i giochi di rilassamento si rivolgono “non soltanto alla coscienza dei bambini, bensì anche al loro inconscio, alla loro intuizione, alla loro fantasia, a tutto ciò che essi nella loro vita hanno imparato e immagazzinato (….)”(Vopel, 2000, p.6). Per i bambini tra i 3 e i 7 anni si suggeriscono giochi semplici, concreti, basati sulla fantasia, mentre dagli 8 ai 12 i bambini preferiscono strutture più complesse e drammatizzate. Questi giochi si basano su diverse fonti: Folclore, Tai Chi, Kum Nye, Gestalt, Fantasia e Psicoimmaginazione, Meditazione, Massaggio, New Games (Vopel, 2000).

Il rilassamento: accordi e limiti

Come detto, un esempio ben noto di rilassamento è il rilassamento progressivo muscolare (o sistematico) di Jacobson nato attorno agli anni ’30. Da allora sono stati sviluppati molti metodi abbreviati di rilassamento muscolare progressivo. Questi metodi sono stati utilizzati sia come trattamenti completi (come affermava lo stesso Jacobson) sia come componenti di un approccio terapeutico più ampio come ad esempio nella desensibilizzazione sistemica di Wolpe dove i momenti specifici di analisi e di modificazione del comportamento sono: colloquio, rilassamento, presentazione delle gerarchie comprendenti gli stimoli ansiogeni (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003).

Comunemente si inquadra il rilassamento come tecnica comportamentale (Goldwurm, Sacchi e Scarlato, 2003) ma non manca chi l’ ha analizzato sotto la veste dell’approccio psicodinamico (Sapir, 1980) quale metodo attivo e catartico.
Conrad & Roth (2007) affermano che, nonostante siano stati fatti molti studi sperimentali attestanti l’efficacia clinica delle terapie abbreviate con il rilassamento muscolare (per diverse condizioni mediche e disturbi psichiatrici), solo pochi di essi hanno valutato la tensione muscolare tra pazienti e soggetti sani prima del trattamento o hanno dimostrato che la terapia di rilassamento muscolare (MRT) modifica i parametri fisiologici di tensione o di attivazione generale.

Quali evidenze per il rilassamento?

Il rilassamento, nelle sue due forme più canoniche ovvero RMP di Jacobson (di cui abbiamo parlato) e Training Autogeno di Schultz, trova applicazioni nelll’ansia e nel distress legate all’ospedalizzazione (Neeru et al., 2015), alla depressione (Klainin-Yobas et al., 2015), allo stress scolastico (Dolbier & Rush, 2012), alla gestione del dolore in combinazione con altre tecniche (Finlay & Rogers, 2015), all’emicrania (Feuille & Pargament, 2015).

Una recente ricerca (Chellew, 2015) ha concluso che la riduzione dei livelli di stress rilevati tramite la secrezione di cortisolo è limitata, anche se la percezione della diminuzione di stress è sentita come significativa dai partecipanti. Un altro studio (Chen et al., 2015) atto a verificare le correlazioni tra le tecniche “mind-body” e le relative attivazioni cerebrali conclude che il rilassamento può discliplinare l’attività della corteccia prefrontale e le connessioni con le altre cortecce: quindi potenzialmente può aiutare le persone a modulare l’attività cerebrale in più sistemi di elaborazione cosciente delle emozioni.

Ma allora quale scegliere tra ipnosi e rilassamento?

Viene da dare subito la risposta: in base alla complessità del problema da trattare.
Il rilassamento costituisce solo un trampolino per facilitare esperienze ipnotiche più complesse, come la regressione ad altre età precedenti (memoria esperienziale) o l’anestesia. Nessuno immagina che possa bastare un esercizio di rilassamento per affrontare un intervento chirurgico senza dolore.

L’ ipnosi implica una ristrutturazione intenzionale di esperienze e la letteratura dimostra che i benefici nell’ambito della terapia del dolore e del trattamento dell’ansia durano almeno 6 mesi (Yapko, 2015, Davis, 2015).

Alla luce delle ricerche recenti, possiamo rilevare quale maggior differenza tra le tecniche ipnotiche e quelle di rilassamento due punti essenziali:
– la durata dell’effetto,
– la profondità dello stato di benessere.

Entrambe le differenze sono a favore del trattamento ipnotico, con la sola limitazione dovuta al tempo necessario per apprendere la tecnica per il paziente e nell’ottenere un’adeguata formazione negli specifici ambiti per il terapeuta. Permangono inoltre preconcetti e luoghi comuni che rendono l’ipnosi più relegata a contesti dove, dopo aver provato altre strade canoniche, si decide di fare quest’ultimo tentativo per gestire un problema/difficoltà. C’è da chiedersi se non si poteva tentare prima.

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