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Mindfulness e disturbi del comportamento alimentare: gli effetti terapeutici

La mindfulness, intesa come attenzione intenzionale al momento presente in modo non giudicante, può essere efficace nel trattamento dei disturbi alimentari

Di Guest, Elisa Covini

Pubblicato il 22 Giu. 2017

Aggiornato il 03 Lug. 2019 12:49

Un crescente numero di ricerche suggeriscono che la Mindfulness, intesa come attenzione intenzionale al momento presente in modo non giudicante, possa essere uno strumento di primaria importanza nel trattamento dei Disturbi alimentari.

Francesca Casero, Elisa Covini, OPEN SCHOOL STUDI COGNITIVI MILANO

 

Come sottolinea Kabat-Zinn, il fondatore del primo programma di Mindfulness esplicitamente utilizzato per scopi clinici (la Mindfulness based Stress Reduction o MBSR), è curioso notare il fatto che in un mondo che va sempre più veloce, che rende necessaria una sempre maggiore specializzazione a discapito della visione d’insieme, che vede nella produttività il cardine su cui reggersi, pratiche quali la mindfulness che invitano a rallentare, a prendere maggiore contatto con l’esperienza del momento presente e a notare la profonda interconnessione che lega le diverse aree del sapere e della vita, suscitano sempre maggiore interesse. Probabilmente proprio perché il mondo sembra andare sempre più nella direzione opposta alla consapevolezza e sembra non tenere più conto dei ritmi insiti nella natura e nell’uomo stesso, l’utilizzo di pratiche volte a sviluppare la consapevolezza e a riappropriarsi del proprio spazio e dei propri ritmi appare quanto mai necessario. Altrimenti potrebbe arrivare il giorno in cui possiamo avere tutto ciò che vogliamo, ma non avere più né il tempo né la capacità di goderne.” (Chiesa, 2012).

Definizione e applicazioni cliniche della mindfulness

Con il termine Mindfulness, traduzione inglese della parola “Sati” della lingua pali, si intende essenzialmente una “modalità dell’essere, non orientata a scopi, il cui focus è il permettere al presente di essere com’è e di permettere a noi di essere, semplicemente, in questo presente” (Teasdale). Jon Kabat Zinn la descrive come “consapevolezza che emerge attraverso il prestare attenzione, momento per momento, nel qui e ora, intenzionalmente e in modo non giudicante, alla propria esperienza”, la quale comprende sensazioni, percezioni, impulsi, emozioni, pensieri, parole, azioni e relazioni.

La Mindfulness non è una tecnica ma uno stato attentivo della mente, uno stato di coscienza in cui i pensieri, le emozioni e le azioni vengono liberate dagli abituali e talora automatici schemi di elaborazione che possono attivare e mantenere alcune condizioni disfunzionali, o talvolta patologiche, attuando un progressivo processo di consapevolezza e di decentramento.  «Si possono usare efficacemente delle metafore che aiutano a sviluppare il decentramento, come pensieri che galleggiano sull’acqua o un secchio con dell’acqua agitata, che gradualmente si calma», spiega il dottor Didonna, psicologo e psicoterapeuta, Presidente dell’Istituto Italiano Mindfulness, curatore e autore del libro “Clinical Handbook of Mindfulness” (2009).

Vedi il mondo in maniera diversa. E’ come se tu stessi camminando attraverso una foresta di notte, portando una torcia per illuminare il sentiero. All’improvviso spegni la torcia. Non hai più il fascio di luce puntato sul percorso, ma gradualmente i tuoi occhi si abituano all’oscurità e riesci a vedere tutta la scena. Avevo sempre dato per scontato che le mie emozioni fossero me stessa. Ora invece è come se le stessi osservando mentre nascono e scorrono dentro di me. Ti rendi conto che certe cose che pensavi fossero la tua identità in effetti sono solo esperienze. Sono sensazioni che fluiscono attraverso di te. Inizi a capire che i normali modi di percepire sono solo dei possibili punti di vista fra molti altri. Ci sono altri modi di vedere. Sviluppi quello che i buddisti chiamano l’occhio del principiante, vedi il mondo come lo vede un bambino, consapevole di tutte le cose insieme, senza una selezione e un’interpretazione cosciente».  (Siegel, 2009).

Il concetto di Mindfulness deriva dagli insegnamenti del Buddismo (Meditazione Vipassana), dello Zen e dalle pratiche di meditazione Yoga, ma solo nel corso degli ultimi due decenni questo modello è stato utilizzato come paradigma autonomo in alcune discipline psicoterapeutiche occidentali, in particolare in quella cognitivo-comportamentale.  Fu utilizzata per la prima volta in un contesto sanitario (Dipartimento di Salute dell’Università del Massachusset), nei primi anni ’80, da Jon Kabat Zinn, attraverso un protocollo strutturato della durata di 8 settimane, il Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR).

Attualmente, interventi basati sulla Mindfulness si ritrovano sempre più spesso in setting ospedalieri e ambulatoriali, individuali o di gruppo, e trovano applicazioni cliniche nella prevenzione e la cura di problemi legati allo stress e alle malattie psicosomatiche, nei disturbi d’ansia, nel disturbo ossessivo-compulsivo, nella depressione, nell’abuso di sostanze, nei disturbi alimentari, nelle tendenze suicidarie e nel disturbo borderline, come pure nel caso di disturbi di tipo medico (oncologia, psoriasi, dolore cronico), permettendo lo sviluppo di protocolli e modelli terapeutici validati di provata efficacia tra i quali la Mindfulness-Based Cognitive Therapy, la Dialectical Behaviour Therapy, l’Acceptance and Commitment Therapy e la Compassion Focused Therapy.

La mindfulness nel trattamento dei disturbi alimentari

Anche nell’ambito dei Disturbi alimentari la Mindfulness sta trovando sempre più applicazione come terapia di “terza generazione” ed è inserita in efficaci protocolli di cura quali: Emotion Acceptance Behavior Therapy (Wildes, Ringham, & Marcus, 2010), Dialectical Behaviour Therapy (Linehan, 1993) e Mindfulness Based Eating Awareness Training (MB-EAT, Kristeller & Wolever, 2011), che integra elementi dalla terapia cognitivo comportamentale (TCC) con il protocollo MBSR.

Un crescente numero di ricerche suggeriscono che la Mindfulness, intesa come attenzione intenzionale al momento presente in modo non giudicante, possa essere uno strumento di primaria importanza nel trattamento dei Disturbi alimentari. L’Anoressia nervosa, la Bulimia nervosa e il Disturbo da alimentazione Incontrollata sono infatti accomunati da mancanza di consapevolezza dei propri stati interni, da esperienze di evitamento degli stessi e dal forte desiderio di mantenere un controllo sul comportamento alimentare, sui propri pensieri, emozioni e bisogni/impulsi, i quali vengono, così, evitati e negati.

In questa prospettiva, dunque, tale meccanismo di mantenimento dei sintomi è evidente nel modello della disregolazione emotiva (Linhean, 1993; Telch et al. 2001), in cui il binge eating, la fame emotiva e i comportamenti di compenso rappresenterebbero una modalità di regolazione emotiva disfunzionale che, tuttavia, fungerebbe da rinforzo, permettendo di allontanarsi da esperienze di disagio e sofferenza.

Secondo alcuni studiosi, un meccanismo simile di rinforzo varrebbe anche per il mantenimento di sintomi quali il pensiero dicotomico, l’attenzione eccessiva al controllo del peso e delle forme del corpo e il comportamento restrittivo. Nei Disturbi alimentari, inoltre, si ritrova spesso anche un deficit nel riconoscimento e nella consapevolezza emotiva. Di conseguenza, si ritiene che gli interventi basati sulla mindfulness e sull’accettazione possano avere un effetto positivo nella riduzione dei sintomi, migliorando la capacità di accogliere e gestire adeguatamente emozioni negative, ovvero riducendo i meccanismi di evitamento delle esperienze dolorose, particolarmente significativi nella insorgenza e nel mantenimento dei disturbi alimentari. Maggiore è l’attenzione, la consapevolezza e l’accettazione verso le proprie esperienze, maggiore sembra essere la capacità di sviluppare strategie adeguate di soluzione del disagio e della sofferenza (Katterman et al., 2013). Uno dei processi cognitivi ai quali la minfulness sembrerebbe dovere la sua efficacia è la «disidentificazione», ovvero il distanziamento da pensieri e meccanismi emotivi, cognitivi o comportamentali disfunzionali, che vengono osservati e accettati, ma considerati altro da sé.

Una ricerca diretta da Julien Lacaille, psicologa dell’università canadese McGill in Quebec, ha mostrato come la Mindfulness possa aiutare a ridurre il desiderio irresistibile di alcuni cibi come, ad esempio, la cioccolata (che può divenire una vera e propria dipendenza). Dopo una prima fase di presa di coscienza del proprio desiderio, segue l’accettazione non giudicante che ridimensiona gli eventuali sensi di colpa ed infine il distacco dal proprio desiderio di cioccolata, vedendolo come altro da sé (Lacaille et al., 2014).

Se la mindfulness si è dimostrata efficace nel ridurre il “craving”, la fame emotiva e il binge eating, essa non sembra possa avere un effetto diretto sulla perdita di peso. Sembrerebbe, tuttavia, che tecniche di minfulness focalizzate sull’accettazione dei propri pensieri e stati emotivi e sulla pratica del “Mindful eating” siano efficaci se combinate a strategie comportamentali tradizionali nel raggiungimento di obiettivi ponderali significativi (Forman et al., 2013; Godsey, 2013).

Nell’Anoressia e Bulimia Nervosa, inoltre, la Mindfulness potrebbe rappresentare una qualità della mente molto utile anche alla riduzione del processo cognitivo del rimuginio. Il rimuginio è considerato una strategia cognitiva di evitamento particolarmente presente nell’Anoressia Nervosa, soprattutto nei termini di preoccupazioni ossessive sull’alimentazione, il cibo, il peso, il corpo, giudizi su di sé basati su peso e forma corporea e pensiero dicotomico (cibi sì-cibi no). La mindfulness, in qualità di abilità mentale di osservare i fenomeni cognitivi, fisici ed emotivi in modo non giudicante, rappresenterebbe la controparte del rimuginio e dell’evitamento mentale. In uno studio di Cowdrey et al., (2012) è stata dimostrata l’esistenza di una relazione tra rimuginio su “alimentazione-peso-forma del corpo” e “consapevolezza”. Secondo i risultati di questo studio i soggetti che presentavano buone capacità di “prestare attenzione al momento presente in modo intenzionale e non giudicante”, attuando dunque una disidentificazione dai propri processi cognitivi, avevano minori punteggi di rimuginio su cibo, peso e forme del corpo; viceversa i soggetti con elevata difficoltà ad accettare i propri pensieri negativi avevano maggiori pensieri rimuginanti sull’alimentazione, il peso e le forme del corpo (Albert e al., 2012).

Uno dei primi protocolli basati sulla Minfulness messi a punto nell’ambito dei Disturbi alimentari è il Mindfulness Based Eating Awareness Training (MB EAT, Baer e Kristeller, 2006), un programma d’intervento per la Bulimia Nervosa e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata basato sulla meditazione, l’accettazione e la consapevolezza. Esso integra elementi dalla terapia cognitivo comportamentale (TCC) con il protocollo MBSR. Il protocollo prevede 9 sessioni, durante le quali vengono affrontati i temi inerenti alle emozioni, alla possibilità di accettare e gestire alcune emozioni quali la rabbia e il senso di colpa; vengono svolti esercizi di meditazione consapevole sull’alimentazione, sul senso di fame e sazietà, sulla scelta degli alimenti, sulle sensazioni che possono scaturire attraverso il cibo e il gusto; alcuni temi vengono affrontati attraverso la meditazione del perdono e della saggezza. Ciascun incontro prevede una pratica meditativa, la condivisione, la discussione dei temi e l’assegnazione di compiti da svolgere in casa che riguardano per lo più la pratica formale e informale e il pasto consapevole. Gli ultimi incontri sono caratterizzati da una riflessione sulle possibili scivolate e dunque alla prevenzione delle ricadute.

I meccanismi neuropsicologici della mindfulness nei disturbi alimentari

Al fine di descrivere i meccanismi neuropsicologici della mindfulness, Malinowski ha presentato il Liverpool Mindfulness Modell (2013), che descrive minuziosamente cosa accade a livello corticale nelle differenti fasi della meditazione in riferimento per lo più alle funzioni attentive. Il modello fa riferimento a pratiche meditative caratterizzate da specifici processi neuropsicologici (Lutz et al., 2008), quali la modulazione dell’arousal, lo stato di vigilanza, l’orientamento e la selezione degli stimoli. Essi costituiscono 5 differenti ma interattivi networks cerebrali: alerting, orienting, executive, salience, default network.

E’ stato dimostrato che il default network viene attivato involontariamente dalle persone quando la mente è distratta, sogna a occhi aperti, produce pensieri ruminativi sul passato e sul futuro. Durante la pratica meditativa e in particolar modo nella fase di attenzione sostenuta si attivano le aree corticali e cerebrali dell’alerting network mentre quando l’attenzione sostenuta viene meno si attivano le aree raggruppate nel default network.

Le funzioni di monitoraggio dell’attenzione e le aree che costituiscono il salience network garantiscono il riconoscimento di tale condizione di default e dunque di abbandonare lo stato errante (executive network) e di riportare l’attenzione all’oggetto osservato e al momento presente (orienting network).

Gli studi di Luders (Luders et al., 2012) hanno evidenziato come la pratica meditativa possa favorire cambiamenti strutturali a livello corticale. In particolar modo la meditazione può aumentare il numero di girificazioni al livello della corteccia insulare, area particolarmente coinvolta nella regolazione delle emozioni. Studi recenti hanno inoltre evidenziato possibili correlazioni tra disturbi alimentari e alterazioni dell’insula (Franck et al, 2013). In uno studio condotto da Bryan Lask (2011) del Great Ormond Street Children’s Hospital (UK) su un gruppo di 8 donne affette da anoressia nervosa sono state rilevate, attraverso la scansione cerebrale per immagini, anomalie funzionali dell’insula, particolarmente coinvolta nel controllo del proprio corpo, degli stimoli della fame e della consapevolezza enterocettiva (Bryan Lask et al., 2011). Anche per quanto riguarda la bulimia nervosa sono state rilevate in pazienti affette dal tale patologia importanti anomalie morfologiche nel lato sinistro dell’insula antero ventrale. Ovvero, in tutti i soggetti affetti da disturbi dell’alimentazione è stato osservato un aumento del volume della materia grigia della corteccia orbito-frontale mediale e dell’insula (Frank G. et al., 2013). È’ stato dimostrato inoltre che i soggetti con anoressia nervosa presentano una diminuzione della sensitività e della consapevolezza enterocettiva.

Seppur lo stato della ricerca a proposito necessiti di ulteriori approfondimenti, tali studi sembrano supportare il ruolo della mindfulness come strategia terapeutica utile al trattamento dei Disturbi alimentari, facilitando lo sviluppo di un atteggiamento mentale volto alla consapevolezza e di un maggiore senso di padronanza e autoefficacia nei confronti dei propri processi emotivi, cognitivi e di comportamento.

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