Martin Lindstrom è un po’ lo Sherlock dei nostri giorni. Famosissimo consulente di marketing di aziende come Walt Disney Company, Nestlé, PepsiCo, American Express, non è né psicologo né sociologo né detective, bensì uno straordinario osservatore, collezionista e interprete di dati.
Ho da poco scoperto Sherlock e ancora mi domando come ho potuto vivere senza aver mai visto questa serie tv. La versione in chiave moderna delle avventure di Sherlock Holmes è un esilarante capolavoro che ha come punto di forza le straordinarie (e talvolta inopportune) infallibili capacità deduttive del protagonista.
Martin Lindstrom è un po’ lo Sherlock dei nostri giorni. Famosissimo consulente di marketing di aziende come Walt Disney Company, Nestlé, PepsiCo, American Express, nonché tra i maggiori esperti di brand building al mondo, non è né psicologo né sociologo né detective, bensì uno straordinario osservatore, collezionista e interprete di dati.
Martin Lindstrom ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita intervistando migliaia di consumatori di determinati brand – uomini, donne e bambini – nelle loro case in 77 paesi del mondo, a volte facendosi ospitare e vivendo con loro alcuni giorni, il che può sembrare alquanto eccentrico! In realtà questa strategia gli ha permesso di raccogliere un’enorme mole di informazioni che rappresentano il Santo Graal per ogni azienda, la chiave per arrivare al cuore (e al portafoglio) di ogni consumatore.
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Martin Lindstrom: altro che Big Data!
Se un’azienda vuole comprendere le ragioni che spingono un consumatore a scegliere un brand piuttosto che un altro, non deve basarsi solo sui Big Data (che esprimono correlazioni, non causalità), ma deve prendere in considerazione anche quelli che Martin Lindstrom definisce Small Data, cioè preziose informazioni nascoste nei dettagli della vita di tutti i giorni dei consumatori. Dopotutto, è nei dettagli che si nasconde il diavolo, no? Ed è proprio ignorando questi dati che si rischia di fare scelte controproducenti per il proprio brand.
Conosci i tuoi consumatori?
Come si può pensare di capire i propri consumatori – anche potenziali – se non si conosce la loro vita? E come si fa a conoscere la loro vita se non si parla con loro, se non si interagisce fisicamente con loro, se non si vede con i propri occhi dove e come vivono?
Anni fa la iRobot chiamò Martin Lindstrom per una consulenza: il Roomba, l’aspirapolvere a forma di disco nero, stava perdendo quote di mercato e non riuscivano a capire come mai. Martin Lindstrom trascorse del tempo negli appartamenti dei proprietari di Roomba a New York e nel New England e scoprì, osservando le loro case e chiacchierando con loro, che i proprietari di questo aspirapolvere andavano letteralmente pazzi per questo robottino, ma non tanto per la sua indubbia efficienza!
Lo consideravano quasi un animale da compagnia, gli davano un nome, anziché riporlo nello sgabuzzino lo lasciavano spuntare da sotto il divano come se si fosse nascosto e l’espressione più utilizzata per descriverlo era “è così tenero, aaawwww”! Ne erano talmente entusiasti che lo consigliavano a tutti; e si sa, non c’è miglior testimonial per un brand di un amico che consiglia un prodotto.
Peccato che qualche ingegnere troppo zelante, per rendere il Roomba più silenzioso, avesse eliminato nei modelli successivi il caratteristico suono che il robottino emetteva andando a sbattere contro un ostacolo: un tenerissimo “oh-oh!”. Lo aveva così reso “senza anima”, non più cuccioloso, alla pari di qualsiasi altra vuota diavoleria ipertecnologica, per la quale era difficile perdere la testa e parlarne con entusiasmo quasi fanatico. Bastò quindi rendere il Roomba nuovamente umano per risolvere il problema del calo delle vendite: quando Roomba tornò a esclamare il suo carinissimo “oh-oh”, tutti si innamorarono nuovamente di lui.
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Questo aneddoto illustra benissimo l’errore che spesso compiono le aziende: si dimenticano che i consumatori sono umani, irrazionali ed emotivi. Un brand che voglia avere successo non deve mai dimenticarsi che a muovere le scelte dei consumatori sono le emozioni e per scoprirle non è sufficiente affidarsi ai Big Data o alle informazioni che vengono restituite dai social network (dove mentire sulla propria immagine è la prassi); bisogna invece tornare al contatto reale con i propri clienti.
Il “Martin Lindstrom Small Data Symposium”, organizzato da NeuroPeople® il 28 aprile 2017, era tra gli eventi dell’anno più attesi nel settore marketing e comunicazione e non ha di certo deluso le aspettative. Se già con il libro Neuromarketing Martin Lindstrom aveva ribaltato le conoscenze finora acquisite sui comportamenti di consumo, con Small Data ha portato avanti la sua rivoluzione, illustrando come raccogliere i piccoli indizi che possono svelare i grandi trend e mostrando come nel marketing acquisterà sempre più importanza la riscoperta della relazione reale e non più (solo) virtuale con il consumatore.
Durante il simposio Martin Lindstrom ha sottolineato come le scelte di consumo siano guidate soprattutto a livello subconscio – suoni, sensazioni tattili, immagini, odori, ecc. giocano un ruolo decisivo, così come i marcatori somatici – e che non conta tanto cosa dice il consumatore, bensì cosa prova.
Diventa pertanto fondamentale trascorrere del tempo con il consumatore per individuare le emozioni che rappresentano la spia di una mancanza di equilibrio tra ciò che egli desidera e ciò che ha, perché è lì che si presenta l’opportunità per sviluppare un nuovo brand. Che cosa ci raccontano i libri sfoggiati sul tavolino in salotto, le calamite attaccate al frigorifero, il robottino che spunta da sotto il divano del mondo interno del loro proprietario
Raccogliere i piccoli indizi e parlare con i consumatori per scovare le loro emozioni e identificare così i loro desideri: questo è Il futuro del marketing. In pratica, essere un po’ Freud e un po’ Sherlock Holmes. Elementare, Watson, no?!