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Rinfacciarsi tutto, come vecchi amanti: baruffe tra giornalisti

Nei nostri giorni, si è aperta una baruffa tra giornalisti di opposto orientamento politico e ideale, che reciprocamente si rinfacciano delle mancanze.

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 31 Mag. 2017

Aggiornato il 01 Giu. 2017 15:33

Nelle relazioni speculari e rancorose, segnate dall’eterno rinfacciarsi delle scambievoli mancanze e goffaggini, ci si specchia nell’altro e proprio per questo non ci si capisce, pur parlandosi molto. Come tra vecchi amanti che si sono troppe volte delusi a vicenda, a volte ci si comincia a capirsi tacendo.

 

Una baruffa di questi giorni tra giornalisti

Breve cronaca di psicologia delle relazioni umane: una baruffa tra giornalisti che forse potrebbe interessare tutti noi. Vediamo i fatti. Domenica 14 maggio in uno dei suoi lunghi articoli su Repubblica Eugenio Scalfari lascia cadere un breve commento sprezzante verso altri giornali di opposto orientamento politico e ideale, tacciandoli di scarso spessore culturale.

Risponde due giorni dopo il direttore di uno dei quotidiani sprezzati da Scalfari, Claudio Cerasa del Foglio. La risposta è lunga e articolata ma apparentemente poco centrata sul contenuto sdegnoso del commento di Scalfari. Cerasa non perde tempo nel rivendicare a sè e al suo giornale spessore culturale. Semmai rinfaccia qualcosa d’altro a Scalfari, qualcosa che somiglia a un: “certo che anche voi quanto a profondità culturale lasciate a desiderare”. E cosa rinfaccia Cerasa a Scalfari? Di avere nutrito un certo tipo di populismo che oggi ci tormenta, la sfiducia crescente verso la classe politica ritenuta incurabilmente corrotta e inetta, in nome di una moralità rigida che rischia sempre più di sfociare in un facile moralismo e qualunquismo che deresponsabilizza i cittadini, rendendoli proni a derive autoritarie.

Sarà vero? Sarà falso? Non importa, seguiamo invece i rimpalli, che possono essere rivelatori. Come nel coro del Conte di Carmagnola, dopo che si è sentito a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo emesso da Michele Serra il 18 maggio, adagiato nella sua amaca. Adagiato ma nervoso, Serra rinfaccia a sua volta a Cerasa, o meglio a Giuliano Ferrara, una sorta di immoralismo compiaciuto, un cattivismo altrettanto poseur e fastidioso del buonismo attribuito alla sinistra.

Chiude infine per ora la diatriba Luca Sofri che nota malinconicamente come sia difficile trovare un luogo di incontro tra queste diverse anime politiche, tutte chiuse in un reciproco rinfacciarsi su chi ha cominciato per primo a provocare l’altro.

Il meccanismo è psicologicamente abbastanza tipico e ricorrente, e va incontro a vari nomi nelle varie branche della psicologia. Gli psicoanalisti parlerebbero di transfert e identificazione proiettiva, i cognitivisti di cicli interpersonali e i sistemici di doppio legame. Parole che tutte esprimono questo reciproco legarsi degli individui in ruoli irrigiditi che si incancreniscono proprio quando entrano in vicendevole contatto.

È una melanconica osservazione che non sempre il dialogo crei comprensione, anzi. E nemmeno la ricerca di ciò che si ha in comune. Anzi, a volte sono le somiglianze che creano incomprensioni e dissapori. A ben vedere, Repubblica e il Foglio, buonismo e cattivismo, Scalfari e Cerasa e soprattutto Serra e Ferrara sono separati più dalle radici comuni che dalle differenze. Sbaglierebbe in parte chi porrebbe Il Foglio e Ferrara a destra.

Non si tratta solo delle origini comuniste di Ferrara, è proprio il profumo che si sente a volte nel Foglio. Quella molto leninista e togliattiana e perfino un po’ gramsciana familiarità con il potere. Quell’idealismo estremo che si converte nel disperato machiavellismo così tipico dei comunisti disillusi, rivoluzionari di professione troppo induriti dalle rudezze della conquista del potere. Quella convergenza così russa e dostoevskiana tra il santo e il criminale che Ferrara avrà assorbito nella sua infanzia sovietica.

Però poi ci sono le differenze. Michele Serra è di una generazione successiva rispetto a Ferrara. La generazione di Berlinguer, per troppo tempo reclusa all’opposizione, mai davvero arrivata ad alcun potere a differenza dei togliattiani. E quindi mai capace di superare la propria linea d’ombra, sempre rinchiusa in un moralismo puro quanto purtroppo sterile. Non ha del tutto torto il Direttore del Foglio quando nota come un moralismo così puro possa generare un qualunquismo già pentastellato. In fondo Grillo faceva parte dell’ambiente satirico cresciuto intorno a Serra.

Nelle relazioni speculari e rancorose, segnate dall’eterno rinfacciarsi delle scambievoli mancanze e goffaggini, ci si specchia nell’altro e proprio per questo non ci si capisce, pur parlandosi molto. Come tra vecchi amanti che si sono troppe volte delusi a vicenda, a volte ci si comincia a capirsi tacendo.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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