expand_lessAPRI WIDGET

Un altro me (2016) di Claudio Casazza – Recensione del film

'Un altro me' ci conduce nel percorso rieducativo di detenuti condannati per reati sessuali, lo sguardo è senza giudizio e chiarisce cos'è la devianza.

Di Gianluca Frazzoni

Pubblicato il 30 Mar. 2017

Un altro me di Claudio Casazza ci conduce all’interno del carcere di Bollate nel percorso rieducativo di un gruppo di detenuti condannati per reati sessuali.

IN SALA da giovedì 13 aprile 2017

 

Un altro me (2016) di Claudio Casazza - Recensione del filmI gruppi terapeutici, le attività artistiche, i film, lo sport, il rilassamento corporeo. Un’equipe di operatori della salute mentale e di educatori. Il confronto tra le diverse figure impegnate nel progetto.

Il tema, complesso, viene trattato in modo asciutto, tondo. Cercando di conciliare tutte le istanze coinvolte.

Da un lato infatti vi è il tentativo, riuscito, di scandagliare l’umanità dei detenuti. L’umanità di soggetti nati come persone e diventati detenuti. Dall’altro, il film Un altro me non nasconde la verità.

 

Un altro me: la riabilitazione nei reati sessuali

I reati sessuali, gravissimi per la profondità degli sconvolgimenti generati nelle vite delle vittime, ricevono uno stigma sociale per molti aspetti inevitabile. Giustificato, pure.

Nessuno vuole avere a che fare con individui così pericolosi, colpevoli di azioni lecitamente associabili all’idea di un’intrinseca malvagità. E’ qui che il progetto di recupero, e il film Un altro me nel mostrarlo, colgono nel segno. La riabilitazione terapeutica dei detenuti deve passare da una riabilitazione morale che può avvenire solo attraverso l’espiazione emotiva.

Gli operatori lavorano con loro sulla necessità di far emergere una consapevolezza del male compiuto, superando le resistenze che il carnefice frappone tra sé e la constatazione empatica del dramma. Il carcere non emette giudizi universali ma applica sentenze. Le sentenze cercano di tradurre in linguaggi universali il bisogno di giustizia.

Molto interessante, non solo per gli addetti ai lavori, l’onestà con cui i terapeuti si rapportano ai detenuti, senza temere l’impatto della verità e anzi ricercandolo, nella convinzione che il carcere, contenendo fisicamente le pulsioni devianti, sia un contesto adatto a tale scivolosa operazione.

Lo sguardo del film Un altro me è davvero senza giudizio e lucido al contempo nel chiarire cos’è la devianza, per quanto grave. Impossibile perdonare se il perdono è revisionismo ideologico, proviamo invece a promuovere un diverso incontro di questi uomini con se stessi, plasmati nella mentalità che li porta a trasformare l’irresponsabilità di una “puttanella da discoteca” nel diritto maschile di imporre sesso. Se questo è il presupposto tutto il resto scorre naturale.

La fatica dei detenuti nel trovare respiri più ampi ai loro pensieri e ancor più nel contattare l’emozione che anche dentro di loro procede ferita, i dubbi dei terapeuti sull’esistenza di reali margini di cambiamento, lo spettro che una volta fuori di lì potrebbe ripresentarsi con la stessa fame.

La verità è che uno stupro cambia la vita per sempre. La vita di chi lo subisce. Nessun dubbio, nessuna ambiguità, la lettera di una vittima che confluisce come un rivolo implacabile nell’immagine sfuocata dei detenuti senza parole, uno incrocia le gambe, l’altro inizia a grattarsi la testa, nessuno mantiene la spocchia del carnefice. La verità. Iniziando a guardarla per la prima volta ciascuno di loro reagisce con le proprie corde. Il cambiamento non può essere per finta e non può essere così grande, non stiamo dentro un film.

Nel carcere le persone hanno strumenti di sopravvivenza, gli stessi che utilizzati fuori li hanno condotti dentro. Molestare donne era l’unica valvola di sfogo, forse l’unica competenza relazionale e pensarlo è tanto mostruoso quanto vitale per poter costruire una speranza futuribile.

Cambiare significa accorgersi che l’assoluzione data dalla propria famiglia è una bestialità, che tua moglie ti vuole in carcere perché ti ama e almeno ti fermano, che la vittima portata al gruppo a raccontare l’esperienza che l’ha rovinata è un plotone di esecuzione, e davanti a lei sei nudo come un verme. Stavolta per davvero. E può anche accadere che la psicologa non ne possa più, quando fissi le tirocinanti con gli occhi della belva. Non ne possiamo più. Un giorno forse uniti, vittime ed ex carnefici. Ma senza ambiguità.

 

UN ALTRO ME – IL TRAILER DEL FILM DOCUMENTARIO:

 

Si parla di:
Categorie
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Memorie - In viaggio verso Auschwitz (2015) - Recensione e Intervista al Regista
Memorie – In viaggio verso Auschwitz (2015) – Recensione e Intervista al Regista

Memorie - In viaggio verso Auschwitz è un film di Danilo Monte con Roberto Monte dove il regista e l'attore, suo fratello, esplorano il loro conflitto.

ARTICOLI CORRELATI
Emozioni, effetto esposizione e familiarità nell’ascolto di una canzone

La familiarità con una canzone e l'effetto esposizione sembrano favorire il nostro apprezzamento verso di essa

Psicopatia e disturbo antisociale di personalità: un’analisi clinica e cinematografica dei disturbi

Discriminare tra la psicopatia e il disturbo antisociale di personalità tramite il supporto di parallelismi cinematografici

WordPress Ads
cancel