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L’uso di droghe e i tratti di personalità

Negli anni sono state svolte numerose ricerche sulla possibile esistenza di un’associazione tra uso di sostanze e personalità, alcuni tratti in particolare

Di Sara Bellodi

Pubblicato il 12 Ott. 2016

Aggiornato il 04 Ott. 2019 13:30

Indipendentemente dalla funzione o dal tipo di droga, dall’età o dalle caratteristiche della popolazione indagata, si potrebbe affermare con un certo grado di sicurezza l’esistenza di una correlazione tra uso di sostanze e personalità, in particolare con alcuni tratti.

Sara Bellodi – OPEN SCHOOL Studi Cognitivi Milano

 

Fino agli anni Cinquanta, quando si pensava alla parola droga, ci si stava riferendo semplicemente a spezie ed aromi. È solamente nel 1967 che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) fornisce una definizione di droga, tuttora in vigore: “droga è ogni sostanza naturale o artificiale in grado di modificare la psicologia e l’attività mentale degli esseri umani”. Questi effetti vengono detti psicoattivi (alterazione sia degli stati di coscienza che del sistema nervoso).

 

L’utilizzo di sostanze nel corso della storia

Ogni individuo è inserito all’interno di un contesto sociale, che influenza i suoi comportamenti e le reazioni delle altre persone a tali atteggiamenti. Inoltre risulta particolarmente importante determinare i confini tra ciò che è considerato lecito da quello che invece viene valutato come illecito. Appare chiaro che questo confine è molto labile, a seconda del periodo storico di riferimento.

Nelle civiltà primordiali e fino al diciannovesimo secolo dopo Cristo, l’uso di sostanze è da considerarsi autocratico, in quanto veniva gestito dal potere con modalità peculiari e per i propri scopi religiosi, mistici, artistici e terapeutici. È stato utilizzato anche per fini bellici e politici.

Nell’Ottocento, al contrario, l’uso libero di sostanze si è rapidamente diffuso in tutto il mondo occidentale, soprattutto negli ambienti artistici e della moda.

Successivamente, nel ventesimo secolo, negli stati occidentali le droghe vennero dichiarate illecite, entrando di conseguenza nel giro della clandestinità. Negli anni Sessanta, in concomitanza con il movimento hippy, il consumo di sostanze si trasformò in un fenomeno di massa, definito erroneamente ‘cultura della droga’, che coinvolse prevalentemente i giovani. Si evince quindi un utilizzo di tipo democratico, in quanto coinvolge tutti i componenti del gruppo, benché la sostanza sia considerata illecita dal resto della società.

Ancora oggi esiste una cultura della droga del mondo occidentale. In questi raggruppamenti vi è normalmente un poliabuso di sostanze, tra cui hashish, marijuana, allucinogeni (es. LSD), stimolanti (es. cocaina), psicofarmaci sedativi, narcotici fino all’eroina. È emerso che queste comunità sono molto precarie, a causa della tendenza dei giovani componenti a cercare continuamente nuovi tipi di esperienze. Da qua si giunge al fenomeno della droga di massa, utilizzata da ragazzi sempre più giovani, alimentato dagli spacciatori delle sostanze illecite.

Riassumendo, è possibile individuare, nel corso della storia delle varie società umane, cinque funzioni del consumo di droghe (Durrant, Thakker, 2003): terapeutica, sociale, ricreazionale, strumentale, religiosa ed alimentare.

 

Classificazione delle droghe

Le droghe, a loro volta, possono essere classificate in sette gruppi (Malizia, Borgo, 2006): depressivi (alcol, barbiturici, gamma-idrossibutirrato – GHB –, tranquillanti – benzodiazepine –); oppiacei e oppioidi (oppio, morfina, eroina, codeina, tebaina ed etorfina); anestetici dissociativi (ketamina); antidepressivi e psicostimolanti (caffeina, nicotina, coca, cocaina); stimolanti anfetaminosimili (anfetamine, ecstasy); cannabici (marijuana, hashish).

Infine, come afferma Piccone Stella (1999, 2002, pag 15):

Non esiste un muro tra chi consuma tabacco, birra, superalcolici da una parte e chi consuma hashish o eroina dall’altra, come generalmente si ritiene, c’è piuttosto un continuum, una lunghissima e disuguale linea di gusti e di abitudini, di paure e di piaceri, di autocontrollo e di consumo sfrenato, di rischi più o meno consapevoli, lungo la quale le somiglianze e le differenze vanno attentamente esaminate e vagliate

L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce l’uso di droga un atto attraverso cui un soggetto si autosomministra una sostanza psicoattiva, senza subire effetti negativi. Mentre l’abuso di sostanze psicoattive viene definito dal DSM-IV come: “una modalità patologica d’uso di una sostanza, dimostrata da ricorrenti e significative conseguenze avverse correlate all’uso ripetuto della stessa” (American Psychiatric Association, 1996, p.206).

L’utilizzo prolungato e costante può provocare nel consumatore uno stato di dipendenza, che può essere fisica o psichica. Nel 1973 l’OMS ha definito:

  • Dipendenza fisica: “abitudine o assuefazione a una droga, che si manifesta con la comparsa di disturbi fisici violenti allorché l’autosomministrazione è interrotta. Questi sintomi, chiamati ‘sindrome di astinenza’ o ‘di privazione’, costituiscono un insieme specifico di sintomi psichici e fisici che variano per ciascun tipo di droga”. In alcuni casi i sintomi possono essere addirittura mortali, come nel caso di quelli da alcol.
  • Dipendenza psichica: “situazione nella quale una droga produce sensazioni di benessere e una pulsione psichica (spinta incontrollabile) a consumarla in maniera periodica o continua, al fine di ottenere un piacere o di prevenire sensazioni spiacevoli”. Si tratta quindi di un fenomeno biologico correlato a specifiche alterazioni biochimiche. Essa è normalmente associata ad un senso d’inadeguatezza interiore, alienazione e incapacità ad eseguire compiti che richiedano responsabilità. Questo tipo di dipendenza, come si deduce dalla definizione sopraccitata, è simile al desiderio di un’esperienza positiva, fino a diventare craving.

 

Uso di sostanze e personalità

Nel corso degli anni sono state svolte numerose ricerche relativamente alla possibile esistenza di un’associazione tra uso di sostanze e personalità, alcuni tratti in particolare (Comeau, Stewart e Loba, 2001; Denson & Earleywine, 2006; Dawe & Loxton, 2004; Deykin et al., 1987; Dougherty et al., 2007; Buckner & Smith, 2008; Harder, Stuart e Anthony, 2008; Foltin et al., 1990; Brook et al., 2001; Bernstein et al., 2015; Edlund et al., 2015).

L’uomo ha da sempre elaborato teorie sulla personalità, ma è solamente dal secolo scorso che sono state proposte usando una specifica strumentazione teorica ed empirica. Tuttavia, nonostante ciò, non si è ancora giunti ad un’univoca proposta interpretativa.

Allport (1931,1966), ad esempio, considera i tratti come le unità di base della personalità. Inoltre, secondo l’autore, questi rappresentano delle disposizioni generali della personalità in grado di spiegare le regolarità, a seconda delle situazioni e nel corso del tempo, nel comportamento di un individuo. Ha proposto una distinzione tra tratti cardinali (le passioni e le motivazioni che perdurano durante la vita dell’individuo), tratti centrali (tutti quegli aspetti che rappresentano la persona, come ad es. la pigrizia, che hanno una forte influenza sui suoi comportamenti) e tratti secondari (aspetti specifici del comportamento del soggetto, come amare o detestare una certa tipologia di film. Sono influenzati dall’ambiente circostante).

Cattell (1946c) invece aveva individuato 171 tratti, raggruppati in 36 gruppi fattoriali. Tra questi aveva identificato i tratti di superficie (aspetti che procedono assieme all’osservatore esterno) e i tratti sorgente (strutture che danno coerenza alla personalità, ma che non sono immediatamente individuabili).

Tra i tratti principalmente indagati nella ricerca sulla correlazione tra uso di sostanze e personalità troviamo ansia, depressione ed impulsività.

L’ansia è definita come un’emozione naturale e universale, che è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress, il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest’ultimo sia chiaramente sopraggiunto, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono, da un lato, all’esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall’altro, all’evitamento e all’eventuale fuga.

In uno studio condotto da Leventhal et al. (2013), con soggetti maggiorenni consumatori di tabacco, è emerso che la sintomatologia ansiosa (es. nervosismo) aveva una forte influenza nel determinare stati negativi (es. rabbia) durante l’astinenza da nicotina.

In accordo con questi risultati, in due ricerche svolte rispettivamente con giovani adulti e con degli studenti frequentati il college, si è scoperto che gli individui socialmente ansiosi consumavano più facilmente cannabis (Buckner, Bonn-Miller, Zvolensky, & Schmidt, 2007; Buckner & Schmidt, 2008). Tuttavia, in contrasto con gli studi appena citati, in una ricerca condotta in una popolazione non clinica, non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa tra l’uso di cannabis e l’ansia derivante dalle situazioni quotidiane (Tournier, Sorbara, Gindre, Swendsen, & Verdoux, 2003).

La depressione invece può essere definita come un disturbo dell’umore, in cui c’è un’interazione tra sintomi cognitivi, comportamentali e affettivi. Nei casi peggiori può portare a gravi patologie (es. disturbo depressivo maggiore) che influenzano negativamente la vita lavorativa e quotidiana.

In un recente studio sull’ uso di sostanze e personalità condotto da Edlund et al. (2015) su una popolazione adolescente (età compresa tra i 12 e i 17 anni), si è osservata una forte correlazione tra gli episodi depressivi maggiori e il seguente utilizzo di oppioidi, portando gli autori a considerare l’episodio depressivo come un vero e proprio fattore, sia di rischio, sia predisponente ad un futuro uso/abuso della sostanza.

Similmente, McCann et al. (2014) hanno riscontrato che soggetti che consumavano ecstasy tra gli 11 e i 15 anni, avevano maggiori probabilità di sviluppare sintomi depressivi entro i 16 anni d’età.

Precedentemente, Denson e Earleywine (2005), hanno suddiviso la loro ricerca sull’uso di cannabis in due parti. Nella prima hanno separato il campione in base alla frequenza di utilizzo (uso quotidiano, una volta a settimana o meno, mai) ed è emerso che i consumatori quotidiani erano meno depressi e più positivi rispetto agli altri due gruppi. Nella seconda parte dello studio invece hanno analizzato i livelli di depressione in soggetti che usavano la cannabis con scopi ricreativi o con scopi medici. Questi ultimi avevano dei livelli di depressione più alti rispetto ai primi.

Un altro tratto di personalità spesso associato all’utilizzo di sostanze è, come detto inizialmente, l’impulsività. L’impulsività è ciò che spinge un individuo a compiere un’azione o un determinato comportamento senza pensarci, istintivamente.

Bernstein et al. (2015), in linea con i risultati ottenuti nelle ricerche su ansia e depressione, hanno riscontrato una correlazione tra impulsività ed uso di sostanze, in questo caso analizzando un campione di carcerati. Nello specifico, gli autori hanno rilevato che i soggetti abituati ad un poliabuso di droghe (alcol, oppiacei, benzodiazepine, cocaina, allucinogeni) oltre alla cannabis mostravano livelli di impulsività molto più alti rispetto ai non consumatori.

Sono state ottenute conclusioni similari anche in studi antecedenti sulle cosiddette ‘droghe leggere‘, quali tabacco (Baker, Brandon & Chassin, 2004; Bilieux, Van Der Linden & Ceschi, 2007) e marijuana (Dougherty et al., 2007), dove è stata confermata la correlazione con questo tratto di personalità.

In conclusione, indipendentemente dalla funzione o dal tipo di droga, dall’età o dalle caratteristiche della popolazione indagata, si potrebbe affermare con un certo grado di sicurezza l’esistenza di una correlazione tra uso di sostanze e personalità, in particolare con alcuni tratti.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Tournier, M., Sorbara, F., Gindre, C., Swedsen, J. D., & Verdoux, H. (2003). Cannabis use and anxiety in daily life: a naturalistic investigation in a non-clinical population. Psychiatry Research, 118, 1-8.
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