La storia narrata da John Williams nel romanzo Stoner (2012) è la biografia di un professore universitario nato nell’ultimo decennio dell’800 e cresciuto in una fattoria insieme a due genitori nati stanchi e vecchi. William Stoner trascorre un’esistenza desolante, gli avvenimenti sono piatti e privi di colpi di scena rocamboleschi, ma la sfera di significati con cui costruisce il suo sé, il rapporto con gli altri e infine le aspettative, i desideri e le aspirazioni dall’infanzia fino alla maturità sono interessanti e rilevanti.
Con una narrazione scorrevole e pulita, intrisa di tatto e linearità, l’autore coglie abilmente i vissuti e facilita, nei lettori più attenti, la condivisione affettiva e la riflessione sui circoli viziosi che rafforzano le modalità disfunzionali di spiegarsi gli eventi che sfociano, talvolta, in pericolose profezie auto-avveranti.
Una famiglia stanca e distanziante
Stoner nasce e cresce in una famiglia predisposta allo sforzo, senza alcun interesse per il calore e le relazioni affettive. La comunicazione è assente e talvolta scarna, e il silenzio diventa l’unico suono assordante che pervade i momenti di contatto e di separazione tra i membri. La coppia genitoriale appare brutta, trascurata, stanca e rassegnata agli occhi del piccolo protagonista che non possiede gli strumenti adeguati per prepararsi ad un mondo sconosciuto, progressivamente scolorito e raffreddato dall’anaffettività. Fin da bambino, William carica sulle spalle il peso delle aspettative famigliari mirate a trasformarlo in un adulto precoce, un bracciante dedito ai campi e contemporaneamente uno studente ligio al dovere, escludendo così il gioco e le relazioni sociali. In sostanza anche Stoner nasce già vecchio, a 17 anni ha le spalle curve per la stanchezza fisica, un riflesso della fatica psicologica incitata e tramandata dai genitori come l’unico modus vivendi possibile.
[blockquote style=”1″]Erano una famiglia solitaria – e lui era l’unico figlio – tenuta insieme dalla necessità della fatica. La sera sedevano tutti e tre nella piccola cucina illuminata da un’unica lampada al cherosene a guardare la fiamma gialla: spesso, durante quell’oretta di pausa tra la cena e il letto, l’unico suono era quello di un corpo che si muoveva con fatica su una sedia, o il leggero scricchiolio di una chiave che cedeva un poco sotto il peso degli anni. [/blockquote](Williams, 2012, p.10)
Le parole si spendono solo in occasioni importanti, tra queste l’ingresso di William all’università di Agraria. Ancora una volta è la coppia genitoriale a stabilire il futuro del figlio optando per una facoltà finalizzata ad approfondire l’unica passione che sono stati in grado di coltivare. Nella prima transizione significativa che sancisce l’uscita del figlio dalla casa d’origine il discorso è orientato sull’importanza dello studio nel futuro lavorativo, l’accento è posto sull’autosufficienza a cui il figlio dovrà ricorrere a spada tratta, il congedo è arido e distaccato. In quello che dovrebbe essere un evento straordinario dove la felicità per l’inizio della carriera scolastica è solitamente mista all’infelicità della separazione, il tono affettivo è apatico e monocorde. Non stupisce l’indifferenza con cui Stoner affronta per la prima volta lo studio della disciplina, accontentandosi di voti appena sufficienti: probabilmente è in quel momento che inizia a ribellarsi dal volere dei genitori anche se in modi passivi e silenziosi.
La separazione-individuazione dalla famiglia d’origine si realizza in due momenti distinti: quando il protagonista rinuncia all’agraria per dedicarsi con fervente passione alla letteratura e nel momento in cui decide di proseguire gli studi. Questa volta la famiglia non è preparata al distacco definitivo dal figlio avvertito con un dolore stanco, impotente, trattenuto e vergognato. Il padre si oppone con poca convinzione ed energia, terminando con una frase di circostanza pronunciata con rassegnazione e impotenza, mentre la madre prorompe in una reazione di tristezza incasellata dallo sforzo ed energicamente compressa dalla vergogna di chi non è mai stato abituato ad esternare le emozioni. Lo stupore del protagonista davanti all’unico momento di commozione e opposizione è espresso differentemente nella solitudine e in pubblico: di fronte alla madre, Stoner evita il contatto emotivo allontanandosi con fatica, mentre da solo rimane immobile ad osservare il vuoto nel buio, come se in qualche modo non potesse più allontanare la meraviglia di aver colto una sfumatura emotiva mai osservata in tutti quegli anni di silenzio assordante.
Notevole è il ritorno per le vacanze, nel quale il protagonista si accorge di essere stato sostituito da un bracciante che si fa carico della gran parte del lavoro senza lamentarsi. In quel momento in cui l’equilibrio famigliare si è ricostituito con l’ingresso di un nuovo arrivato, il protagonista sembra accolto come un estraneo i cui progressi sono complimentati con felicità priva di risentimento. L’estraneità è avvertita in prima istanza da Stoner ma è in qualche modo l’estraneità con cui la famiglia guarda l’unico figlio che si ribella ai desideri famigliari, si slaccia e si riscatta costruendo un’altra parte di sé, senza fare rumore. Il sentimento di perdita nasce nel momento in cui William sente il distacco dalle figure di attaccamento e da questo sentimento parte la necessità impellente di accrescere l’amore nei loro confronti, come se la distanza accentuasse la sensazione di inamabilità da correggere con uno sforzo ad amare di più. Da ciò si deduce la tendenza illusoria di poter controllare gli eventi e di modificarli con le proprie forze anche quando questi esulano dalla responsabilità personale.
Stoner è in qualche modo consapevole dell’inutilità di consacrarsi al lavoro dei campi specialmente quando, alla morte dei genitori, si ritrova a paragonare la terra che li ha seppelliti con la terra alla quale hanno dedicato l’intera vita. La terra diventa il simbolo della logorante ossessione per il lavoro che ha spezzato comunque quelle esistenze nelle quali la compulsione allo sforzo sopportata con rassegnazione tacita ed austera costruisce il senso degli eventi e, al tempo stesso, distrugge la possibilità di essere altro e di coltivare, quindi, le parti di sé creative e costruttive. In quelle parti rientra anche l’amore sano verso il figlio soppresso dal silenzio e dal distacco, privo di carezze e di contatto, che il protagonista imprimerà nella memoria condizionando così le scelte nei legami futuri. A parte ciò i genitori non hanno nessuna colpa, dal momento che hanno trasmesso al figlio l’unico tipo di amore che conoscevano e di cui, a loro volta, si sono nutriti nei loro precedenti legami primari. In questo senso il circolo vizioso tende a perpetrarsi senza consapevolezza di generazione in generazione, costruendo situazioni disfunzionali che si ripetono nel tempo e generano sofferenze continue.
Edith, Grace e Katherine: l’amore nelle sue forme
Il primo innamoramento di Stoner è rivolto ad una ragazza dell’alta società, di bell’aspetto e apparentemente molto diversa. Edith è frivola, acida, aggressiva, sadica, una donna a dir poco insopportabile che rifiuta il contatto fisico ed emotivo e sabota ogni tentativo di avvicinamento tra Stoner e la bambina, Grace. L’interesse del protagonista si posa su una donna che dimostra, fin dai primi incontri, un distacco e una mancanza di interesse che rasentano l’indignazione e il rispetto. Edith desidera la popolarità e gli ammiratori, non considera Stoner come un partner di vita, ma si affretta a sposarlo quando riceve l’approvazione dei genitori.
In pubblico recita la parte della moglie devota, perfetta e premurosa, in privato è svilente, distanziante e isterica. La doppia faccia stordisce William che reagisce adattandosi passivamente. A parte qualche sporadico impeto di passione meccanica e improvvisa, il letto coniugale è permeato da una distesa di ghiaccio impermeabile. Il fallimento matrimoniale avanza già prima che la cerimonia sia compiuta. Stoner non si oppone fin dal principio: capisce al volo che il legame non sarebbe mai diventato soddisfacente, che Edith non è mai stata la donna fantasticata prima di conoscerla, ma continua a sopportare l’infelicità senza sollevare lamentele, in totale solitudine.
A legare i due personaggi è proprio il senso di solitudine che li ha colti fin dai primi legami. Edith è cresciuta in un ambiente diverso, dove ogni manifestazione di rabbia e rancore veniva spazzato sotto il tappeto con cordialità e la coppia genitoriale si preoccupava di mantenere una parvenza di felicità forzatamente cortese, e fronte di ciò, non stupisce la disorganizzazione psichica manifestata in vari momenti del libro: ride istericamente, piange, diventa irascibile, si distanzia e si avvicina con veemenza, è gelosa, possessiva, svalutante. Il vuoto prende forma così nell’estrema variabilità degli affetti che si susseguono come un vulcano in eruzione. A questo proposito Edith sembra per l’esattezza un vulcano pronto ad esplodere in modalità improvvise e imprevedibili, al contrario di Stoner che si struttura come un deserto lineare e faticoso, per poi prorompere anche lui in maniera caotica e scissa nell’ultima parte. Sono pochi i momenti in cui il protagonista esprime la rabbia e la delusione che sembrano oscurate dall’impotenza di fronte alla realtà. Il progressivo distacco dalla figlia ne è un esempio lampante: inizialmente Stoner assume una funzione materna nei confronti di Grace, ignorata totalmente dalla madre, ma l’alleanza padre-figlia diventa scomoda per Edith che distrugge ogni tentativo di riavvicinamento tra i due. Edith è feroce e al tempo stesso seduttiva con Grace che si ritrova a subire repentini attacchi d’ira e di cura, inaspettati, lancinanti e invadenti: la sgrida con energia e poi le compra i vestiti e organizza le feste in suo onore per renderla visibile agli altri bambini. In realtà il suo atteggiamento è finalizzato a richiedere le attenzioni del marito che, rassegnato dai rifiuti e dall’atmosfera famigliare desolante, investe sulla figlia l’amore che non ha mai ricevuto. Stoner è tenerissimo con Grace, gioca con lei quando l’atmosfera è serena, ma non riesce a proteggerla quando si intromette la moglie a cui si sottomette con rassegnazione.
L’amore vero e sufficientemente sano arriva finalmente con Katherine e Stoner lo riconosce immediatamente per le sensazioni suscitate nello stare insieme. La rappresentazione di sé inamabile è tale che William non riconosce quanto possa essere desiderabile agli occhi dell’esterno e in particolare di una giovane, carina e promettente studentessa sulla strada per spiccare il volo. A partire dall’aspetto fisico fino a toccare i tratti caratteriali, Katherine è il contrario di Edith: è spontanea, naturalmente bella, allegra, e ama in modo sano. Stoner se ne accorge perché se ne innamora con lentezza e gradualità, scopre lati di lei che all’inizio non aveva notato, ne condivide gli interessi e percepisce un affetto ricambiato e costruttivo. Così si tramuta anche l’idea dell’amore: in gioventù quando non lo aveva ancora conosciuto credeva che fosse un dono per pochi eletti, desiderato ma lontano da sé, per poi considerarlo un processo di conoscenza e disvelamento dell’essere umano, progressivo e dettato dalla volontà, dall’intelligenza, dal cuore (Williams, 2012, p. 226). Qualcosa è cambiato perché mentre all’inizio ha scelto una partner senza consapevolezza dei propri desideri e bisogni, adesso sembra essere cosciente di queste qualità e finalmente vive una storia serena che gli permette di scoprire la vita non più sul lato della pesantezza da patire in silenzio, bensì sulla via della naturale spontaneità. L’individualità è integrata nella corporeità, le persone non sono più senza anima e cuore, ma diventano soggetti dotati di un’individualità impressa nel corpo che abitano.
[blockquote style=”1″]Si accorse che, prima di allora, non aveva mai conosciuto il corpo di un altro; e capì anche che era per quel motivo che, in qualche modo, aveva separato l’io delle persone dal corpo che le conteneva. E infine realizzò, con piena consapevolezza, che non aveva mai conosciuto nessuno con tanta intimità e fiducia, con il calore umano di chi si dona completamente ad un altro.[/blockquote] (Williams, 2012, p. 227)
Le difficoltà non mancano neanche in questo rapporto; in qualità di docente universitario la relazione con Katherine diventa per Lomax, l’acerrimo nemico, il pretesto perfetto per colpirlo alle spalle. Stoner non combatte, non si ribella, soccombe non perché sia privo di interesse verso la ragazza, ma perché non possiede la capacità di riscattarsi: il cambiamento da un tipo di relazione all’altro è troppo repentino per diventare solido e duraturo. Le parti di sé non sono elaborate a sufficienza e ritornare ad essere quello che è sempre stato è un processo immediato. In altre parole dopo aver vissuto un’intera vita sotto il peso dell’impotenza appresa, la perdita è un’aspettativa indelebile, pertanto combattere diventa inutile perché la partita è già persa in partenza. Il declino del protagonista prende l’avvio in due punti principali: il primo è quando abbandona Grace, il secondo, quando lascia Katherine. In entrambi i casi rimane un lutto rassegnato, ma non elaborato, che prende forma dappertutto: la dissociazione separa il corpo dalla mente, suscitandogli reazioni di distacco ed estraneità da sé e si evidenzia attraverso gli atteggiamenti che si susseguono rapidamente e contemporaneamente in maniera disorganizzata, dalla passività disperata all’irascibilità irruenta.
La comprensione e l’accettazione compaiono sporadicamente nel rapporto con Grace che, ormai adolescente, riversa la rabbia sadico-masochistica nutrita per anni e anni verso la coppia genitoriale; dai disturbi alimentari alla gravidanza indesiderata, frutto di uno dei tanti rapporti sessuali promiscui e non protetti per poi sfociare drammaticamente nella dipendenza da alcol, la ragazza presenta il conto al padre rimasto inerme di fronte alla pazzia di una madre che la considerava un’estensione narcisistica dei suoi bisogni. Edith, ossessionata dalla popolarità, realizza in un istante di aver contratto un legame frettoloso e superficiale con un uomo che non ha mai desiderato, e strumentalizza la figlia per colmare il vuoto dei bisogni insoddisfatti. Agli occhi della madre, Grace è un giocattolo da vestire e imbellettare per sfoggiarlo all’esterno e da punire e ignorare quando rivolge le attenzioni al padre che la ama, ma non riesce a proteggerla. Stoner sembra essere consapevole della responsabilità mancata e probabilmente le perdona la gravidanza indesiderata, il sesso facile che ai primi del Novecento costituiva uno scandalo inaudito e inammissibile, e infine la dipendenza dall’alcol che si trascinerà nell’età adulta. Grace e Stoner condividono l’incapacità di autodeterminarsi, evitano di esprimere costruttivamente la rabbia e la delusione che sfociano in reazioni autodistruttive. Il senso di colpa pervade entrambi: Grace sente di aver deluso il padre, e Stoner sente di aver deluso Edith. Nell’ultima fase in cui i coniugi si perdonano e interrompono la lotta, il protagonista avverte un senso di autocritica per non essere stato in grado di cambiare l’atteggiamento della moglie.
[blockquote style=”1″]Se fossi stato più forte, pensava. Se avessi saputo di più. Se avessi potuto comprendere. E alla fine spietato pensò: se l’avessi amata di più [/blockquote](Williams, 2012, pp. 315-316).
Ancora una volta l’amore è percepito come l’antidoto alle situazioni incontrollabili: aggiungendo più dosi, la situazione cambia, o meglio, la persona cambia, e le illusioni di monitorare gli eventi in tal senso diventano pericolose appunto perché l’affetto in sé, sebbene elargito in quantità smisurate, non modifica una personalità. È curioso che tra Katherine ed Edith la scelta si posi sulla donna che gli ha procurato più sofferenza, accantonando l’unica che l’abbia reso felice, seppur per un breve lasso di tempo. Non ci sono molti rimpianti per Katherine, solo un fremito nel tenere in mano il suo libro, ma quando si tratta di stabilire con quale delle due continuare il rapporto, Stoner posa l’attenzione di nuovo su Edith. Non chiede il divorzio nonostante soffra per l’allontanamento dell’altra partner, rimane con la consorte senza esprimere nessuna considerazione e affetto nei suoi riguardi, ad eccezione degli attimi finali in cui la malattia del protagonista peggiora e la moglie, finalmente, inizia ad intenerirsi. È a partire da quel momento che William prova spietatamente il senso di responsabilità per ciò che non è andato per il verso giusto, come se lui solo potesse caricarsi di tutto il peso della coppia.
Probabilmente in quell’ultima fase della vita il protagonista si aggrappa a questo pensiero, lasciando scivolare via il rimpianto di aver condotto una vita misera ed infelice con una donna che avrebbe potuto lasciare fin dalle prime battute di incontro. Stoner sapeva com’era, ma non sapeva perché desiderava proprio lei. Non era Edith in sé, ma la sensazione che le suscitava Edith a risuonargli familiare e quindi ad attirarlo. Forse con Katherine ha trovato il vero se stesso, sperimentando altre sensazioni più costruttive, ma la gamma emotiva era troppo intensa da essere accolta in poco tempo.
Per un uomo che ha vissuto nell’inconsapevolezza di sé, nell’idea che in lui non ci fosse niente di bello da offrire agli altri, reiterata nel tempo dal distacco e dalle denigrazioni esterne, l’avvenimento straordinario è l’incontro con una donna sinceramente interessata e in grado di offrirle il calore e l’affetto di cui necessita: da ciò l’evitamento diventa una strategia naturale, appunto perché quel tipo di amore appare sconosciuto e immeritevole di essere vissuto. In tal senso per lui è stato più facile tornare alle origini, adattarsi passivamente ad una vita desolante invece di invertire la rotta e buttarsi nella novità. Non si può predire l’andamento della storia con Katherine, ma è ormai nota la relazione con Edith, le dinamiche di rottura e mantenimento, pertanto le trasformazioni radicali sono inattese e improbabili. Dopo anni insieme, William è consapevole delle strategie relazionali della moglie e sceglie di sentire quelle sensazioni con lei, di vivere in altre parole, un tipo di vita da cui non riesce a staccarsi, la vita impotente, silenziosa e faticosa che ha respirato fin da piccolo.
I significati personali in Stoner
La narrazione presenta alcuni punti che costituiscono il fil rouge nella storia del protagonista. I legami primari di attaccamento improntati su uno stile distanziante e rifiutante, la disposizione allo sforzo nel lavoro dei campi e successivamente nella carriera universitaria, l’autosufficienza compulsiva, il senso di solitudine e l’isolamento dalle relazioni sociali, nonché il senso di sé come inamabile e inadeguato suggerirebbero un’organizzazione di significato personale di tipo depressivo (Guidano, 1992; Reda, 2014).
Nell’ultima parte del romanzo Stoner oscilla tra la rabbia che zampilla improvvisamente con i colleghi, Edith e gli studenti, e la disperazione e l’isolamento ricercato a casa e nello studio. Le attività si alternano tra l’inerzia e la compulsione: alcune scene lo ritraggono in veranda in uno stato di immobilità perenne, altre eccessivamente occupato a ricevere gli studenti, a partecipare attivamente alle riunioni e a correggere i compiti. Questa ambivalenza potrebbe sottolineare una duplice tendenza ad affrontare il sentimento di inamabilità; da una parte con un atteggiamento auto-accusatorio che porta al rallentamento motorio, alla disperazione e alla cessazione delle attività intraprese, dall’altra parte con una disposizione a darsi da fare il più possibile, incrementando i compiti. Questa dicotomia è visibile anche nei momenti in cui il protagonista affronta le discussioni in pubblico, partendo dalla timidezza e goffaggine per finire con la sfrontatezza senza limiti. Oltre a questo, William manifesta in varie occasioni i sintomi dissociativi di fronte agli eventi emotivamente più impattanti; l’incontro con il professor Sloane che, attraverso l’interrogazione orale, è il primo essere umano a dimostrargli considerazione e attenzione e l’amore di Katherine che lo sbilancia da un vissuto di integrazione a non-integrazione di sé, da percepirsi un tutt’uno a un estraneo che si osserva dall’esterno, da vedere i corpi separati dalla mente, a integrati in una sola unità.
Nell’organizzazione depressiva lo scompenso avviene in seguito ad una perdita reale o immaginaria, ipotetica o presente (Guidano, 1992; Reda, 2014). Nel caso di Stoner, ci sono alcuni avvenimenti in grado di scatenare il vissuto di perdita; l’allontanamento dalla figlia e il suo comportamento sregolato in età adulta, la fine della relazione con Katherine e lo scandalo nell’università. In questi casi la disperazione è affrontata silenziosamente e in solitudine e il malessere psicologico prende forma in un corpo che invecchia a vista d’occhio e si ammala velocemente. Il dolore non è elaborato, ma soppresso e trasformato in una malattia che risucchia il protagonista e lo porta lentamente verso la fine.
Il fallimento e l’impotenza si mostrano negli ultimi istanti dove l’esistenza viene esaminata ancora una volta da una prospettiva esterna. A partire dall’amicizia per arrivare al matrimonio, alla relazione con Katherine e infine alla carriera universitaria, permane l’idea di aver condotto una vita mediocre e insoddisfacente, con due amici, uno morto, l’altro pressoché assente, con cui ha intrattenuto dei legami superficiali, una moglie con cui ha intrattenuto un rapporto coniugale passivo, una ragazza che amava ma che non è stato capace di tenersi stretto, e infine una posizione lavorativa poco brillante. Non che questo sia un ritratto della realtà, bensì il personale modo di spiegarsi gli eventi improntato sull’impotenza davanti ad un destino ineluttabile e sul senso di colpa per non aver migliorato ciò che non poteva cambiare, come l’intimità mancata con Edith.
La solitudine invade i momenti di sconforto e tocca l’apice negli ultimi istanti di vita. Non è casuale che il protagonista muoia da solo, anzi, è una decisione che prende con consapevolezza per vivere l’esperienza in assenza degli altri. L’isolamento è una reazione che sottolinea un’aspettativa di incomprensione esterna: in altre parole la solitudine è ricercata non solo per non disturbare gli altri, ma anche perché non ci si aspetta una comprensione empatica (Reda, 2014). D’altronde l’ambiente da cui è circondato è realmente non protettivo e anaffettivo, a tal punto che Edith spende le sue ultime parole in una preoccupazione rivolta alla solitudine che dovrà affrontare, senza preoccuparsi di quello che pensa e sente il marito. Stoner si congeda così dal mondo esterno, solo con un libro qualsiasi che diventa il simbolo dell’unica base sicura alla quale si è sempre aggrappato e che non gli ha mai procurato dolore: la passione per la letteratura.