expand_lessAPRI WIDGET

Calci di rigore: il rigore del calcio

I rigori dell'italia agli Europei sono uno spunto per approfondire un aspetto psicologico del gioco del calcio che esula dalla routine della partita.

Di Luca Calzolari, Guest

Pubblicato il 26 Lug. 2016

Aggiornato il 29 Ago. 2022 09:35

La tentazione di parlare dei calci di rigore e delle loro componenti psicologiche é troppo forte ora che l’Italia é uscita dagli Europei proprio a causa di questi maledetti 11 metri che separano il rigorista dalla porta e dal portiere. Inoltre la “forma” con cui almeno due di questi rigori sono stati tirati (Zaza e Pellé) sono uno spunto prezioso per approfondire un aspetto psicologico del gioco del calcio che esce dalla routine della partita.

Luca Calzolari, Massimo Rondilone

 

Il calcio di rigore infatti é l’unico momento della partita in cui il giocatore si trova davanti al portiere senza difesa, con la palla ferma sempre nella stessa posizione. Inoltre a calciare sono giocatori selezionati; quelli con i piedi più educati. Se durante la partita viene fischiato un calcio di rigore non lo tira il giocatore che ha subito il fallo, ma quello che dovrebbe avere più possibilità di segnarlo. Tutti gli elementi sembrano portare alla conclusione che dovrebbe essere facile segnare un rigore. Invece Zaza e Pellé lo hanno sbagliato. Perché?

La risposta a questa domanda non la avremo mai. Non solo perché non abbiamo la possibilità di chiederlo ai diretti interessati ma anche perché con buone probabilità neanche loro saprebbero spiegarlo con precisione.

Il giornalista Paolo Condò il giorno dopo la partita condivide sui social il suo pensiero:

“Un calcio di rigore è un duello all’Ok Corral di freddezza, precisione e psicologia. Dentro alle regole codificate, vale tutto”.

Zaza e Pellè ci provano laddove la classe e i mezzi tecnici non possono aiutarli, con il torto di sbagliare è vero ma con il coraggio di provare ad usare tutto quello che in quel momento pensavano potesse aiutarli.  Quello che possiamo fare é prendere questi due episodi e usarli come spunto per aprire una riflessione sulla particolarità di questo momento di una partita di calcio.

Dopo aver vissuto in campo o in panchina un’intera partita con la squadra si sono ritrovati a giocare “da soli” e a dover contare unicamente sulle loro qualità (tecniche, fisiche e psicologiche). Già perché a tirare un rigore si é “da soli” e non “soli”.

La solitudine è uno stato mentale, l’interpretazione soggettiva di una circostanza esterna. Di fatto ci si può sentire soli pur essendo in compagnia o ci si può sentire accompagnati anche se si é da soli.

Il rigorista quindi si trova davanti al primo bivio. Può sentirsi solo oppure sapere di essere da solo a svolgere il suo compito. La differenza é sostanziale.  Nel primo caso ci si ritrova inermi di fronte a una circostanza che non cambierà (non esiste la possibilità che arrivi qualcuno a calciare il rigore con lui) e le risorse personali utili per calciare il rigore sono offuscate dai sentimenti. Nel secondo caso accetta la circostanza e organizza il pensiero in modo da trovare la giusta strategia per affrontare il compito. Una tecnica che si utilizza in psicologia dello sport è la costruzione di una routine in cui una sequenza di azioni crea uno schema in cui l’atleta ha fiducia, sente di poter padroneggiare il compito, e che lo aiuta a non focalizzare l’attenzione sui pensieri negativi uscendo dal contatto col momento presente ed entrando nel duello dell’Ok Corral.

Risolto il primo enigma  il giocatore poggia la palla sul dischetto, alza lo sguardo e vede il portiere. Secondo enigma. Cosa ne faccio della presenza del portiere? Posso controllare il suo movimento (Pellè ci ha provato con il gesto del cucchiaio, Zaza con la rincorsa)? Devo gestirlo in qualche modo o posso escluderlo? Cosa sceglierà di fare? Si butterà o rimarrà al centro della porta?

Phil Jackson, “zen master”, famoso allenatore di Michael Jordan, diceva che un tiratore quando tira a canestro tira a se stesso. Intendeva il fatto che il tiro, indipendentemente dalla presenza dei difensori é una questione personale del tiratore. La presenza del difensore o del portiere quindi viene gestita prima del momento del tiro e non durante lo svolgimento dell’azione. Cercare di controllarlo prevede la possibilità di non riuscire e questo genera la paura. Inutile dire che la paura non é un sentimento che permette al corpo di muoversi in modo efficace. Inoltre cercare di controllare il portiere mette in atto una serie di movimenti che alterano la routine del tiro aumentando le possibilità di sbagliarlo.

Un vecchio aneddoto zen racconta di una delle prove che dovevano superare gli aspiranti monaci. La prova consisteva nel trovare la soluzione ad un enigma; c’è un anatra in una bottiglia, come si più togliere l’anatra dalla bottiglia senza rompere la bottiglia o uccidere l’anatra?

La soluzione consiste nel pensiero che “l’anatra non é mai stata nella bottiglia”.

Zaza e Pellé con la rincorsa o il gesto del cucchiaio hanno cercato di gestire il portiere “anatra”. Così facendo hanno introdotto un problema che ha alterato la loro esecuzione del gesto rendendolo spurio e impreciso.

I due giocatori mi hanno ricordato quei film in cui il cattivo di turno ha la sua chance di sconfiggere l’eroe ma si perde in discorsi inutili permettendo di fatto il capovolgimento della situazione e l’inevitabile sconfitta.

Per rimanere nell’immaginario cinematografico preferisco il momento in cui John Snow (Trono di spade) deve decapitare uno dei suoi uomini per inadempienza a uno dei suoi ordini. Un compito duro che spetta al capo. Non giustifica il suo gesto, chiede le ultime parole al condannato e con gesto deciso esegue la punizione.

L’idea non è quella di negare la presenza del portiere ma quella di aver già gestito la questione prima. In psicologia dello sport si chiama allenamento ideomotorio. Allenare la mente perché possa permettere al corpo di muoversi senza ostacoli inutili come pensieri non pertinenti o problemi irrisolvibili. Alcuni atleti hanno queste qualità in forma innata, altri le costruiscono e le allenano fino a farle diventare una parte naturale del loro gioco. Quando un atleta accede allo stato ottimale della performance vi è un’unica dimensione del tempo, quello presente, vissuto con la massima consapevolezza, concentrandosi sul “qui e ora” della sua prestazione, escludendo giudizi o distrazioni che lo portano lontano da quel momento.

Al di là di tutto ci piace immaginare che Zaza e Pelle nella loro estate ai tropici abbiano ascoltato nella loro playlist una certa canzone di Di Gregori

“Ma Nino non aver paura a sbagliare un calcio di rigore,

non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore,

un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.”

(De Gregori,  “La leva calcistica della classe ’68)

Si parla di:
Categorie
CONSIGLIATO DALLA REDAZIONE
Portieri bias d azione donnarumma
Portieri di calcio e bias d’azione: uno studio sui calci di rigore

Strategia ideale per i portieri sarebbe rimanere al centro della porta, ma perché spesso ai rigori, il portiere si tuffa? Sarebbe implicato un bias d’azione

ARTICOLI CORRELATI
WordPress Ads
cancel