La precaria salute mentale di Van Gogh, le sue stravaganze e le sue inquietudini emergono chiaramente nelle sue opere, dove si nota anche un continuo cambiamento dell’uso del colore, che riflette il modificarsi delle sue esperienze emotive. Nei dipinti di Van Gogh la luce non è mai calibrata: o è accecante o è tenebrosa, proprio come i suoi stati d’animo.
Se consideriamo l’arte come una rappresentazione del sé, gli ultimi dieci anni di vita di Vincent Van Gogh (1853-1890), che coincidono con la sua produzione artistica, ci permettono di affermare che il pittore olandese era un individuo profondamente depresso, ansioso e mentalmente confuso. Nel 1889 l’artista scrisse al fratello Theo:
Penso di accettare apertamente il mio mestiere di matto, come Degas ha vestito i panni del notaio. Ma ecco, non mi sento ancora tutta la forza necessaria per un simile ruolo.
La precaria salute mentale di Van Gogh, le sue stravaganze e le sue inquietudini emergono chiaramente nelle sue opere, dove si nota anche un continuo cambiamento dell’uso del colore, che riflette il modificarsi delle sue esperienze emotive. Nei dipinti di Van Gogh la luce non è mai calibrata: o è accecante o è tenebrosa, proprio come i suoi stati d’animo. La pittura è, per Vincent, un’ossessione che esaspera la sua nevrosi, tant’è vero che, in alcuni dei suoi ricoveri, gli venne proibito di dipingere. Pochi artisti sono riusciti ad esprimere i dolori e le sofferenze della propria vita con la stessa intensità di Van Gogh.
Dal 1880 il suo colore preferito divenne il giallo e dipinse una serie di ritratti di girasoli per decorare la sua casa gialla ad Arles, nel sud della Francia: i fiori sono sistemati su uno sfondo giallo burro, appoggiati su un tavolo color ocra, i petali, sempre gialli, sono spigolosi, dipinti con un’energia quasi maniacale. La predilezione di Van Gogh per il colore giallo era dovuta, molto probabilmente, all’abuso che faceva dell’assenzio: questo liquore agiva sul suo sistema nervoso, provocando delle allucinazioni e la xantopia, ovvero la visione gialla degli oggetti.
Mentre viveva ad Arles, Van Gogh invitò Paul Gauguin a trascorrere un periodo con lui: la fragilità mentale del primo e l’arroganza del secondo si rivelarono, però, una miscela esplosiva. Dopo una violenta lite tra i due, il pittore olandese si tagliò con un rasoio la parte di un orecchio che portò poi in un bordello per donarlo ad un’amica. Dopo questo episodio, al ritorno dall’ospedale, Vincent dipinse due straordinari autoritratti che mostrano la portata della ferita. Lo scopo degli autoritratti era quello di tranquillizzare il fratello Theo, al quale scrisse:
Credo che il ritratto possa dirti meglio di una lettera come sto.
Iniziò così un periodo caratterizzato da lunghi ricoveri psichiatrici e da una produzione artistica dove le pennellate di giallo diventarono sempre più violente. L’impeto delle sue creazioni è lo specchio della sua condizione psichiatrica.
In questo periodo Vincent ebbe l’aiuto di alcuni amici, tra cui il dottor Rey ed il pastore Salles; alternava periodi di lucidità a momenti di ricadute nella malattia. Nel mese di maggio 1889, Van Gogh entrò volontariamente nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole. La diagnosi del direttore della clinica fu di epilessia: i medici gli somministrarono la digitale che accentuò il disturbo della xantopsia. I soggetti principali del lavoro di Van Gogh divennero gli ospedali ed i manicomi: nel 1889 dipinse infatti ‘Davanti al manicomio di Saint-Rémy‘, ‘I giardini di Saint-Paul‘, ‘Il dormitorio di Saint-Paul‘ ed il ‘Ritratto del dottor Rey‘.
Nella primavera del 1890 Van Gogh lasciò definitivamente Saint-Remy e si stabiliì a Auvers-sur-Oise, un villaggio non lontano da Parigi, dove viveva il dottor Gachet, che si sarebbe preso cura di lui. Van Gogh era particolarmente nervoso in questo periodo e litigò con lo stesso Gachet di cui scrisse al fratello:
Credo che non bisogna contare in alcun modo sul dottor Gachet. Mi sembra che sia più malato di me, o almeno quanto me. Ora, quando un cieco guida un altro cieco, non andranno a finire tutti e due nel fosso? Non so che dire. Certamente la mia ultima crisi, che fu terribile, fu in gran parte dovuta all’influenza di altri malati.
Ad Auvers-sur-Oise l’artista realizzò parecchi quadri, molti dei quali rappresentavano paesaggi e scene di campagna, in particolare campi di grano. Il suo ultimo capolavoro, ‘Campo di grano con corvi’ (1890), è la sintesi dell’irrequieta esperienza umana ed artistica di Vincent che scriverà, a tal proposito:
immense distese di grano sotto cieli tormentati, non ho avuto difficoltà ad esprimere la mia tristezza, l’estrema solitudine.
Qualcosa di irreparabile era nell’aria ed il sentirsi abbandonato a causa di un mancato arrivo a Auvers-sur-Oise del fratello Theo che per motivi di salute e di lavoro dovette rinunciare alle vacanze, contribuì alla decisione di compiere un drammatico gesto: nel luglio 1890, dopo essere uscito a dipingere nelle campagne che circondavano il paese, Vincent Van Gogh decise di togliersi la vita.
Le cronache hanno sempre parlato della morte per suicidio del pittore; tuttavia, nel 2011, due storici dell’arte, Steven Naifeh e Gregory Smith hanno proposto una diversa ricostruzione: ad uccidere l’artista sarebbe stato un colpo partito accidentalmente dalla pistola di un ragazzino. Durante le ore di agonia, Van Gogh avrebbe deciso di non denunciare il giovane, perché aveva accolto la morte come una liberazione dalla sua depressione.
Pochi mesi dopo anche il fratello Theo venne ricoverato in una clinica per malattie mentali, a Parigi. Dopo un apparente miglioramento si trasferì ad Utrecht, dove morì a gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello.