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Io e l’altro come specchio di me: l’amore nella coppia e la nostra identità

Il sé mnemonico è sostegno dell’identità e suoi indispensabili complici sono le persone per noi tanto importanti da non volerle perdere

Di Roberto Lorenzini

Pubblicato il 10 Mag. 2016

Cosa è che ci fa persistere nello scegliere un soggetto che se incontrassimo adesso non sceglieremmo assolutamente e che non ha più gran parte di quei predicati che ce lo avevano fatto preferire? Per certi versi entra in gioco il bias dei costi sommersi per cui il valore di un certo oggetto è la somma del suo valore reale aumentato delle risorse che vi abbiamo investito, ma è piu che altro una questione che riguarda la nostra identità.

CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE (RUBRICA) – LEGGI L’INTRODUZIONE

 

Premessa: pensiero normale e pensiero schizofrenico

Questo ciottolo parte da una riflessione teorica di molti anni fa nata per formulare un modello del pensiero schizofrenico e paranoico e mettere a frutto la mia insana passione per Ignacio Matte Blanco, psicoanalista e matematico originalissimo.

Non riassumo in questa sede la questione e mi limito agli aspetti che  riguardano il tema  della vita quotidiana che voglio affrontare. Von Domarus, ripreso da Arieti nella sua monumentale opera sulla schizofrenia, sostiene che i “normali”, stabilita  l’identità di due o più soggetti, inferiscono l’identità anche dei loro predicati: due auto identiche hanno tutte le caratteristiche identiche e conoscendo quelle dell’una posso prevedere con certezza quelle dell’altra.

Al contrario, secondo il pensiero paleologico che Von Domarus ritiene peculiare degli schizofrenici, si passa dall’identità dei predicati ad inferire l’identità dei soggetti. Esempio. Una schizofrenica dice ‘La madonna è vergine, io sono vergine dunque io sono la madonna‘. Un altro dice ‘I morti sono freddi, io sono freddo, dunque io sono morto‘.  La mia obiezione a questa ghettizzazione di tale modalità al solo pensiero schizofrenico è che, in verità, sia ciò che avviene continuamente in ambito scientifico, ad esempio nel processo diagnostico quando dalla presenza di alcuni segni, sintomi o dati di analisi inferiamo la presenza di una certa malattia e dunque di un più ampio corredo di altri segni e sintomi.

Nella vita di tutti i giorni, per cui quando rispondo al telefono il solo riconoscimento della voce mi fa ipotizzare che si tratti di mio padre che ha molte altre caratteristiche oltre a quel tono di voce e da cui so cosa posso aspettarmi, mi basta la voce per inferire che sia mio padre.

Nella vita quotidiana addirittura facciamo qualcosa di molto più azzardato: dalla presenza di alcuni predicati inferiamo direttamente la presenza di altri  passando attraverso un soggetto prototipico che sta solo nella nostra mente. Per cui se uno è elegante, gentile ed educato mi aspetto anche che sia onesto. Se uno è ricercato nel linguaggio mi aspetto che sia anche intelligente. In parole povere si tratta del meccanismo del pregiudizio.

Secondo me, argomentai allora con esempi e tesi che qui lo spazio e il focus non consentono, la vera differenza tra il pensiero normale e quello schizofrenico è che il primo rifiuta l’identità dei soggetti, indipendentemente se la ipotizzi sulla base dell’identità di uno solo o moltissimi predicati, sulla base della differenza anche di un solo predicato sostanziale mentre lo schizofrenico no. Potremmo affermare che lo schizofrenico non ha appreso la lezione di Popper per cui solo la negazione può passare dal particolare al generale, è rimasto un induttivista ingenuo e commette errori che però facciamo tutti.

 

Identità e Amore

Ma arriviamo adesso all’argomento che mi interessa e che riguarda i due grandi temi dell’identità personale e delle relazioni. Primo: quando dico che resto me stesso nonostante il mio corpo e il mio modo di vedere il mondo (dunque la mia mente) cambino, cosa significa effettivamente? e da cosa viene la sensazione di essere ancora e sempre ‘io’ ancorché irriconoscibile per i miei compagni di liceo? Secondo: quando diciamo alla persona amata che continueremo ad amarla qualsiasi cambiamento avvenga in lei, vogliamo semplicemente essere galanti ma sappiamo di ingannarla o ci crediamo davvero? e, in questo secondo caso, abbiamo ragione o ci stiamo sbagliando?

Mi rendo conto che l’argomento è di pertinenza prevalentemente filosofica ma il possibile danno è piuttosto modesto e poi non abbiamo forse subito di recente un invasione di campo da parte loro con la consulenza filosofica che peraltro trovo utilissima  su certi rodimenti che più che psicopatologici sono squisitamente esistenziali.

Insomma il tema di questo ciottolo è appunto la stabilità dell’identità dei soggetti (che sia l’io o il tu) nonostante il modificarsi dei predicati. Inizio da questo secondo problema. E’ evidente che  quando scegliamo una persona come possibile nostro partner lo facciamo sulla base di una serie di caratteristiche che ci piacciono in quanto presumiamo soddisfino i nostri scopi.

Sono esattamente i suoi predicati che ci spingono ad avvicinarci a lei piuttosto che a qualcun altro. L’altro è esattamente la sommatoria dei suoi predicati e null’altro, non c’è un tu sostanziale che li trascende. Anzi succede in genere che molte persone che incontriamo abbiano un pacchetto di predicati estremamente interessante creando i conflitti, a tutti noti sulla scelta del partner. Purtroppo non è possibile montarsi un puzzle perfetto prendendo un po’ di qua e un po’ di là. Comunque sia passata questa fase di scelta, inizia la relazione che si dipana nel tempo. Durante questo periodo si scoprono in genere nuovi predicati del soggetto che abbiamo scelto, alcuni graditi ed altri sgraditi.

Contemporaneamente alcuni dei predicati originali che avevano determinato la scelta vengono perduti. Il costituire una novità e l’essere imprevedibile cessano e l’altro diventa più scontato e consueto, la bellezza e la prestanza fisica sono tutte caratteristiche che tendono ad attenuarsi col tempo per non considerare cambiamenti bruschi derivanti da malattie,  incidenti e contingenze negative d’ogni sorta. Eppure almeno parzialmente in buona fede affermiamo che l’altro è il nostro Tu (la T maiuscola non è casuale) e non lo cambieremmo anche se lui è vistosamente cambiato. Che i fatti spesso smentiscano questa credenza non ci riguarda in questa sede.

Cosa è, dunque, che ci fa persistere nello scegliere un soggetto che se incontrassimo adesso non sceglieremmo assolutamente e che non ha più gran parte di quei predicati che ce lo avevano fatto preferire?  Per certi versi entra in gioco il bias dei costi sommersi per cui il valore di un certo oggetto è la somma del suo valore reale aumentato delle risorse che vi abbiamo investito per cui è difficile abbandonare imprese su cui si è speso molto anche quando si mostrano chiaramente perdenti.

Ma c’è qualcosa, credo, di più. L’altro è diventato il testimone di noi stessi, di chi siamo, è lo specchio fedele che ci rimanda la nostra identità. Non c’entra molto etimologicamente con il termine ‘riconoscenza’ ma è attraverso lui che riconosciamo noi stessi. E’ questo che ce lo rende prezioso normalmente e, al contrario, odiosissimo quando viviamo una conversione radicale o una rivoluzione kunhiana della nostra identità. Questa funzione dell’altro rimanda al primo problema che avevo posto e cioè come faccio a riconoscermi e ad affermare che sono lo stesso di 40 anni fa nonostante il mio fisico e la mia mente siano radicalmente cambiati.

L’unico invariante è che io resto il protagonista di quella storia che mi narro continuamente come la ‘mia storia’, non importa quanto effettivamente corrispondente alla realtà. E’ il sé mnemonico ad essere il sostegno dell’identità e suoi indispensabili complici sono quegli interlocutori che scegliamo come privilegiati testimoni  che proprio per questo sono tanto importanti e  non vogliamo perdere. Ci reggono il gioco nel credere di essere quello che crediamo di essere.

Questo val bene la promessa di non lasciarli mai, qualsiasi cosa accada nella buona e nella cattiva sorte e siamo pronti a ricambiarli con la stessa moneta. Se pensate che stante così le cose e data l’importanza della posta in palio sia meglio munirsi di più testimoni, non me ne attribuite la responsabilità e soprattutto attenti a non rimanere senza nessuno.

RUBRICA CIOTTOLI DI PSICOPATOLOGIA GENERALE

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