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Pensieri e rimuginio: un pericoloso dispendio di energia per la mente!

Vari disturbi mentali sono teorizzati come frutto di un' eccessiva attività mentale, dispendio dissennato di energie. E' il caso del famigerato rimuginio. 

Di Giovanni Maria Ruggiero

Pubblicato il 15 Apr. 2016

Oggi non si ritiene più che pensare tanto sia un esercizio privo di svantaggi. Al contrario, pensare troppo è uno spreco di tempo e di energie, non solo mentali. Una dilapidazione perfino futile e sciocca, nonché dannosa. Gravemente dannosa.

Questo articolo è stato pubblicato da Giovanni Maria Ruggiero su Linkiesta il 09/04/2016 

 

Agli psicologi non piace accoppiare mente ed energia. Energia sa di macchine e motori, e macchine e motori minacciano sempre di rubare il mestiere agli psicologi e di consegnarlo nelle mani dei loro supremi avversari, i neuroscienziati.

Un giorno i neuroscienziati spiegheranno tutto!’ Mi disse un collega psicoanalista molto tempo fa, il viso stropicciato nella smorfia dello scontento e del disappunto che ci prende di fronte a qualcosa che è, o almeno sembra, brutalmente più forte di noi, più capace di noi di prendersi il piacere di vincere nel gioco della vita, quel gioco che desideriamo goderci a grappoli e che invece forse sarà dominato da qualcun altro.

E, per uno studioso, il gioco da vincere è la capacità di spiegare, di capire come funziona la mente. Tutte le volte che si parla di energia, la sensazione è che si vada in un luogo in cui gli psicologi hanno poco da dire, un luogo dove c’è il cervello e non la mente. Ci aveva provato il vecchio Freud a fare una psicologia basata sull’energia e sulla scarica dell’energia, e quella non è stata la sua idea migliore. Gli psicologi preferiscono parlare di pensieri, di emozioni e di relazioni.

Vero è che a evitare troppo di parlare di energia si finisce per concepire una mente disincarnata, uno spirito dal carburante inesauribile e incorporeo, e quindi capace di invecchiamento e di decadimento. Una mente che vive una vita di eterna giovinezza, senza infanzia e crescita e che va incontro a una scomparsa improvvisa, la morte, senza prima deperire.

Anche nella sua esistenza ideale la mente è capace di sprecare energie.  Questo la psicologia lo ha sempre pensato, fin dal tempo delle isteriche di Freud, che sembravano gettare al vento energie mentali in comportamenti e sintomi incomprensibili. Quel che è cambiato rispetto al passato è che forse un tempo si temeva che la mente sprecasse energie quando tradiva se stessa, quando non seguiva il precetto di pensare tanto e di pensare rettamente, insomma quando rinunciava a capire il mondo e a comprendere razionalmente e cadeva in preda a forze estranee, le forze dell’istinto e dell’es. Insomma, la spiegazione che Freud dava del fenomeno delle isteriche, donne la cui vita mentale era preda di istinti di cui non si erano liberate.

Oggi la si pensa diversamente. Oggi si diffonde l’idea che la mente sprechi energie quando non è in grado di economizzare i propri pensieri, quando si dedica troppo ad almanaccare, ad analizzare, a lambiccarsi in mille inutili sottigliezze. Rispetto al ritmo tranquillo e regolare dell’ottocento che dava il tempo all’individuo di soffermarsi sui pensieri oziosi, oggi si vive una vita accelerata in cui non c’è spazio per l’ozio. E anche il pensiero ha perso la sua qualità allegramente prodiga e sprecona di se stesso.

Oggi non si ritiene più che pensare tanto sia un esercizio privo di svantaggi. Al contrario, pensare troppo è uno spreco di tempo e di energie, non solo mentali. Una dilapidazione perfino futile e sciocca, nonché dannosa. Gravemente dannosa.

Una serie di disturbi mentali ormai sono teorizzati come frutto di un eccesso di attività mentale, di un dispendio dissennato di energie mentali delle quali sarebbe stato meglio fare economia, come le massaie di una volta. È il famigerato rimuginio, termine che si diffonde sempre di più ed entra nella cultura popolare, quello stato mentale di fissazione su un pensiero. Fissazione che non è più misteriosa e inquietante, come poteva esserlo nella vecchia psicopatologia ottocentesca, in cui un’ideè fixe si poteva impadronire di un uomo abbrutito dalla decadenza e dagli stravizi e trascinarlo nei bassifondi di Parigi a inebriarsi di assenzio. Berlioz ci ha scritto sopra un’intera sinfonia, la Fantastica.

Oggi nulla è più romantico. La ideè fixe del rimuginio moderno, lontana dall’essere romantica, ha dalla sua solo il fascino della stupidità, se di fascino di può parlare. Molti disturbi ormai hanno questo marchio, sono spiegati in questi termini: frutto di un equivoco, di una tendenza a dare troppa importanza a pensieri e idee che non meritano affatto tanta attenzione e concentrazione e che sarebbe preferibile mettere da parte. È il  caso, ad esempio, del disturbo ossessivo-compulsivo.

E così le terapie si stanno adattando a questa nuova tendenza, tendenza che è poi antica perché non tutte le epoche sono state così intellettualistiche come i due ultimi secoli del passato millennio, in cui davvero il pensiero è stato messo al di sopra di tutto. Poche epoche sono state così chattering come l’ottocento e il novecento del vecchio millennio, poche epoche sono state al tempo stesso così cerebrali e così ferocemente impulsive, con masse di uomini impazziti dietro a quelle che erano soprattutto idee, pensieri: fascismo e comunismo prima di tutte, e poi tante altre.

Forse è stato l’avvento della borghesia, la classe discutidora per eccellenza, a scatenare questo fenomeno. E anche un disturbo così apparentemente così privo di pensieri, così emotivo e corporeo come il panico, in realtà sembra frutto di un eccesso di riflessione, di consapevolezza deteriore. La consapevolezza di ogni minimo segnale corporeo che a sua volta scatena mille pensieri che interpretano catastroficamente le sensazioni, con tutto il corredo di timori del panico: impazzire, morire e perdere il controllo. Insomma, oggi anche pensare è una risorsa limitata, da trivellare con prudenza.

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Giovanni Maria Ruggiero
Giovanni Maria Ruggiero

Direttore responsabile di State of Mind, Professore di Psicologia Culturale e Psicoterapia presso la Sigmund Freud University di Milano e Vienna, Direttore Ricerca Gruppo Studi Cognitivi

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