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Bisogni Educativi Speciali – BES: best practice per una Buona Scuola dei bambini e dei ragazzi

Il concetto di Bisogni Educativi Speciali sottolinea come ogni bambino apprende in modo diverso, in base alle proprie capacità e alla propria storia.

Di Loredana Paradiso

Pubblicato il 10 Mar. 2016

La Circolare ministeriale sugli alunni con BES – Bisogni Educativi Speciali – riprende i principi alla base delle riflessioni e dei risultati di ricerca in psicologia e pedagogia: ogni bambino apprende in modo diverso in funzione delle capacità e delle storie personali di vita.

 

Circolare Ministeriale per chiarire il concetto di Bisogni Educativi Speciali

La Circolare Ministeriale 8/2013 è stata emanata con l’obiettivo di chiarire il concetto di Bisogni educativi speciali, presentati nella Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 ‘Strumenti di intervento per alunni con BES e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica’.

Un concetto che ogni educatore, insegnante, nonno, genitore conosce: i bambini sono tutti diversi, sono portatori di storie individuali, di fatiche esistenziali, di difficoltà emotive, sociali, cognitive e culturali che possono rendere complesso l’apprendimento, influenzarlo in positivo o in negativo. Ogni bambino ha bisogno dei suoi tempi, dei suoi spazi e dei suoi modi per apprendere che non è altro che dire che ha bisogno di strumenti compensativi o dispensativi, ovvero di essere aiutato da adulti capaci di comprendere quello che sta vivendo.

La Circolare ministeriale sugli alunni con Bisogni Educativi Speciali riprende quindi i principi alla base delle riflessioni, degli studi e dei risultati di ricerca in psicologia e pedagogia: ogni bambino apprende in modo diverso in funzione delle capacità e delle storie di vita personali.

 

I Bisogni Educativi Speciali prima della Circolare ministeriale

Il rispetto dei bisogni di diversità e il diritto al benessere psicologico in uno dei contesti di vita primari del bambino è il presupposto dei progetti di inclusione che hanno l’obiettivo di accogliere il disagio sociale, culturale, psicologico (emotivo-cognitivo) per offrire spazi di crescita e di sviluppo. Prima della circolare ministeriale relativa ai Bisogni Educativi Speciali, i bambini e i ragazzi che presentavano difficoltà erano lasciati a sé stessi.

L’impossibilità di raggiungere i risultati definiti dai programmi trasformano le storie di vita dei ragazzi in storie di sofferenza e di abbandono scolastico. La scuola non era per tutti perché impostata soltanto per i ragazzi che avevano le capacità cognitive ed emotive per raggiungere i risultati definiti dai programmi o le famiglie in grado di sostenerli in questo percorso.

Con la Circolare Ministeriale 8/2013 si è cercato di rimediare a questo problema riconoscendo le difficoltà di un bambino nel suo percorso formativo. A due anni dall’emanazione della Circolare 8/2013 relativa ai Bisogni Educativi Speciali  è possibile fare un bilancio culturale di come la scuola ha affrontato l’obiettivo dell’inclusione scolastica proprio attraverso la lettura dal basso, la valutazione delle famiglie, dei bambini che arrivano agli sportelli di ascolto degli psicologi e pedagogisti individuando le criticità che si sono presentate nel processo di gestione educativa, relazionale e didattica per poi valutare invece le best practice in caso di Bisogni Educativi Speciali.

 

Le criticità del concetto di Bisogni Educativi Speciali

Il primo aspetto che si è evidenziato come criticità è la tendenza all’etichettamento a cui i bambini e le loro famiglie sono stati sottoposti. Il Bisogno Educativo Speciale è diventato nel linguaggio comune un aggettivo che qualifica erroneamente il nome ‘bambino’. Un errore semantico grave che ha portato a un linguaggio politically incorrect come ‘lui è un bambino BES o ‘tutti i BES vengono con me’ o ‘questa è una prova solo per i BES‘ o ‘hanno tolto il BES a mio figlio‘.

Bambini etichettati, insieme ai DSA o altre etichette che assumono il valore di un marchio di uno stigma per un bambino che percepisce soltanto di non essere come gli altri. E’ fondamentale ricordarsi che i Bisogni Educativi Speciali esprimono, invece, un bisogno di cui il bambino è portatore e come tale richiede un’osservazione ed un percorso di progettazione didattica educativa centrata sulla personalizzazione degli apprendimenti.

Il secondo aspetto è la facilità con cui è stata fatto rientrare qualsiasi caratteristica di bambino nella definizione di Bisogni Educativi Speciali : il bambino timido, vivace, aggressivo in un attimo è diventato un bambino che ha un problema emotivo, sociale, cognitivo. Nello stesso tempo si è assistito alla tendenza di diagnosticare qualsiasi comportamento con un linguaggio tecnico preso in prestito dalla psicologia che fuori da un contesto professionale accurato diventa uno strumento di labeling.

E’ importante invece ricordarsi che i Bisogni Educativi Speciali rappresentano dei semplici bisogni di cura, di attenzione, di rispetto dei tempi del bambino che non hanno nulla a che fare con un processo diagnostico.

Il terzo aspetto è collegato al precedente e rappresenta un paradosso dello stesso: la richiesta la certificazione di un BES, confondendo il bisogno educativo di un bambino che è sempre transitorio, con un quadro psicopatologico che definisce un tratto della persona. Alla luce di queste criticità è possibile ribadire che la Buona Scuola dei bambini e dei ragazzi non ha bisogno di altri strumenti di classificazione, di differenziazione, ma di inclusione attraverso modalità di fare scuola orientata alla personalizzazione dell’apprendimento, che valorizza le risorse del gruppo classe e del percorso personale di ciascuno.

 

Bisogni Educativi Speciali e best practice

Ed ecco allora che la Buona Scuola dei bambini e dei ragazzi diventa una scuola che lavora per l’inclusione, l’integrazione, il diritto alla diversità di apprendimento, la valorizzazione della storia e delle origini di ogni bambino.

La personalizzazione degli apprendimenti diventa, quindi, un obiettivo trasversale della scuola che si avvale di metodologie di insegnamento e di gestione della classe basate sulle risorse e potenzialità di ogni bambino che sono meglio espresse all’interno del gruppo classe anziché del rapporto individuale insegnante allievo.

In questa prospettiva la scelta della apprendimento cooperativo diventa una best practice in grado di lavorare sul fronte dello sviluppo delle competenze cognitive e parallelamente su quelle emotive, sociali e culturali.

L’apprendimento cooperativo diventa quindi un’opportunità concreta per gestire i bisogni educativi di ogni bambino e di iniziare un percorso verso una scuola delle competenze che pone la conoscenza a servizio del saper essere e del saper fare.

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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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  • Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bes e organizzazione territoriale per l'inclusione scolastica”
  • Circolare ministeriale 8/2013
  • Legge 104/1992 Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate.
  • Legge 53 dell' 8 marzo 2000. n
  • Decreto Legislativo n° 151 del 26 marzo 2001
  • www. apprendimentocooperativo.it
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